Battesimo del Signore
A quanto pare, alle prime comunità cristiane il battesimo di Gesù poneva qualche difficoltà. Come testimonia il dialogo tra Gesù stesso e il Battista riportato dal Vangelo di Matteo, ci si interrogava sul senso di un battesimo come “perdono dei peccati” amministrato al Figlio di Dio, colui che la prossima domenica lo stesso Giovanni Battista ci presenterà come “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Ma ancor più, faceva specie la modalità con cui veniva amministrato il battesimo, dal valore fortemente simbolico. Per noi, oggi, il battesimo ha valenza in quanto sacramento iniziale della nostra fede, ma da un punto di vista puramente rituale si è ridotto a poco più che un’infusione di poca acqua benedetta sul capo del bambino, rigorosamente riscaldata nei mesi freddi dell’anno, per evitare – giustamente – che il bimbo si ammali. Ma all’inizio, le cose erano ben diverse, a partire proprio dall’etimologia della parola “battezzare”, che in greco significa “immergere”, quasi nel senso di affondare. E infatti, Giovanni amministrava il battesimo in un punto in cui l’acqua del fiume Giordano era abbastanza profonda da consentire che una persona adulta risultasse totalmente immersa; e nelle prime chiese cristiane, i battisteri altro non erano se non vasche a terra nelle quali il battezzando entrava in piedi fino appunto a immergersi totalmente nell’acqua, il più delle volte acqua corrente. Solo dal X secolo iniziano a farsi presenti nelle chiese i battisteri come arredo monumentale nella forma in cui li abbiamo ancora oggi, e questo a motivo del fatto che – raggiunto ormai il regime di cristianità con il Sacro Romano Impero – il battesimo divenne un fenomeno di massa identitario da amministrare ai bambini sin dai primi giorni di vita, mentre in precedenza veniva amministrato solo agli adulti.
C’erano ovviamente delle motivazioni teologiche, a sostegno del battesimo dei bambini, legate soprattutto alla cancellazione del peccato originale, mentre nei primi secoli, il battesimo amministrato solo agli adulti aveva la valenza anche di cancellazione dei peccati puntuali, quelli della vita di ogni giorno. E se teniamo conto che non esisteva ancora il sacramento della riconciliazione, è facile intuire come la maggior parte dei cristiani scegliesse di farsi battezzare in età molto adulta, se non quasi nella fase terminale della vita, proprio per dare al battesimo il significato di gesto purificatore, con il quale si voltava pagina e si metteva fine a una vita di peccato per abbracciare definitivamente la vita nuova in Cristo (simboleggiata dalla veste bianca con cui i neofiti rimanevano rivestiti dalla Veglia Pasquale – momento del Battesimo – sino alla domenica successiva, detta “in Albis” proprio perché si tornava in chiesa a deporre la “alba”, il camice bianco). In questo senso, si comprende come mai il battesimo per immersione avesse il significato di “morte” al peccato e alla vita passata, all’interno di un’acqua che più che rappresentare la vita nuova rappresentava la morte di quella vecchia (l’immagine più ricorrente a livello iconografico per spiegare il battesimo era, infatti, quella del Diluvio Universale): e allora, ancora di più, si comprende lo stupore della Chiesa primitiva di fronte a un battesimo che portava Gesù alla “morte” prima ancora che egli la soffrisse sul Calvario. Come può ricevere la cancellazione dei peccati colui che ha condiviso con gli uomini tutto, tranne propriamente il peccato? Come può morire colui che è il simbolo per eccellenza della vita, al punto che raffigurarlo in croce risultava addirittura scandaloso, nei primi secoli del cristianesimo? Sono cose per noi superate e assodate, dopo duemila anni di teologia del battesimo e dei sacramenti in generale, ma non lo erano per Matteo e la sua comunità. Come far capire, allora, ai primi seguaci di Cristo, il gesto compiuto da lui e dal Battista nel Giordano?
Riusciamo a capire qualcosa di più innanzitutto dalla costruzione del Vangelo stesso di Matteo (che tra l’altro ci accompagnerà lungo tutto quest’anno liturgico): l’entrata in scena di Gesù nella vita pubblica avviene proprio al momento del battesimo – il brano che stiamo leggendo -, mentre le sue ultime parole ai discepoli dopo la resurrezione contengono l’invito a battezzare tutte le genti “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Ciò vuol dire che la missione di Gesù può essere compresa appieno solo alla luce del battesimo, che diviene così un gesto fondamentale per la vita della comunità cristiana. In pratica, se vuoi dirti discepolo di Gesù, non puoi prescindere dal battesimo. Ma cosa significa per il cristiano il battesimo, se non può di certo avere lo stesso significato che aveva con il Battista, ovvero quello di morte a se stessi e alla propria vita di peccato? Ci aiutano i dialoghi che abbiamo ascoltato oggi.
Di fronte al rifiuto del Battista, Gesù gli chiede di agire perché “conviene che adempiamo ogni giustizia”. Nell’Antico Testamento (alla cui mentalità Giovanni Battista ancora appartiene), il concetto di “giustizia” stava a indicare la fedeltà all’Alleanza, ovvero alla volontà di Dio: Gesù pertanto invita il Battista a rimanere fedele a quel Dio che lo ha voluto ultimo dei profeti e primo dei testimoni della nuova Alleanza. Questo significa che si sta aprendo un percorso nuovo, una strada nuova: e allora, occorre anche una mentalità nuova, un nuovo modo di vedere Dio. Dio non è più il padrone e il giudice da venerare attraverso un’osservanza stretta e obbediente della Legge, ma un padre da amare che ci dà prova della sua paternità con quella voce che “apre i cieli”, rimette in contatto Dio con l’umanità, e proclama Gesù “il figlio amato”, nel quale tutti diveniamo figli di Dio attraverso il battesimo. In lui e in ognuno di noi, Dio è disposto a porre il suo “compiacimento”, ovvero a dimostrare la sua tenerezza di padre verso ogni creatura. Il gesto incomprensibile di Gesù che si immerge nelle acque del Giordano significa tutto questo.
E allora, ripensiamo anche al nostro modo di vivere e di intendere il battesimo: non un gesto tradizionale (“Battezziamo nostro figlio perché siamo tutti battezzati”), né una sorta di vitamina per l’anima (“Ma sì, dai, battezziamolo: male non gli fa”), né tantomeno un sigillo sulla nostra identità culturale cristiana (“Dobbiamo ribadire con forza le nostre radici cristiane”), ma l’impegno a vivere il nostro rapporto con Dio nel segno della figliolanza, dell’amore a lui e ai fratelli, di una tenerezza ricevuta e restituita.