Battesimo del Signore
Celebrando la festa del Battesimo di Gesù, inevitabilmente il pensiero va al nostro Battesimo, al giorno in cui – come il catechismo ci ha insegnato – ci è stato cancellato il peccato originale e siamo divenuti figli di Dio. E su questi due elementi teologici – sacrosanti, per carità – il mio modo di intendere e vivere il sacramento del Battesimo, soprattutto quello dei bambini (che tra le Chiese di antica tradizione rimane il più diffuso), esprime qualche riserva o comunque vi evidenzia qualche limite. Insomma, il Battesimo non può essere solamente cancellazione del peccato originale e figliazione divina: ci vuole qualcosa di più. Già in se stessi questi due elementi sono aspetti limitanti o comunque di non facile comprensione.
Quando si parla di peccato originale (senza necessità di stare qui ora a ripercorrere tutte le questioni teologiche riguardanti la grazia divina e la natura umana su cui essa interviene per salvarla), si parla di quella colpa “delle origini”, legata alla Creazione dell’umanità, ma anche a quella colpa “originaria”, cioè che le ha originate tutte perché è stato proprio il tentativo dell’uomo di negare la Creazione, la sua “creaturalità”, il fatto di essere creatura e non Creatore, di non essere come Dio (cosa che l’avversario insinuava, e continua a insinuare, nel cuore dell’uomo), per cui da quella colpa, da quel peccato, sono originati tutti gli altri tentativi di andare contro il dono di grazia che Dio ci ha fatto, quello appunto di essere sue creature. Dall’orgoglio, dal volersi credere come Dio, infatti, hanno origine tutti i peccati, e nessun uomo ne è esente, ovviamente: sennonché, quando battezziamo un bambino e troviamo nel Rito del Battesimo la “Preghiera di Esorcismo” con cui si chiede a Dio di eliminare il peccato originale, beh…consideratemi pure un eretico, ma a me viene qualche dubbio sul senso di questa preghiera pronunciata su un bambino di pochi mesi… Che ci sia una predisposizione umana al male, non fa una piega: ma che la preghiera per togliere il peccato originale, e la “vita nuova” di cui viene rivestito il bambino debbano essere visti come elementi fondamentali della teologia del Battesimo mi pare, come dicevo prima, limitante. Perché allora, a questo punto, l’obiezione di Giovanni Battista sul Battesimo a Gesù “per il perdono dei peccati” non farebbe una grinza: che bisogno ha costui di venire a farsi togliere la colpa, originaria o puntuale che essa sia, dato che è il Figlio di Dio, privo di colpa?
Ed è appunto per questo motivo che non possiamo scindere l’elemento legato alla cancellazione del peccato originale dal secondo elemento, quello della figliazione divina: il battesimo come cancellazione del peccato originale (soprattutto in un bambino) non avrebbe alcun senso se non ci rendesse “figli nel Figlio”, ovvero figli di Dio. Proprio come è avvenuto quel giorno nelle acque del Giordano: non si sentì una voce dal cielo che diceva “Ho liberato dalle sue colpe quest’uomo”, bensì “Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Gesù viene proclamato dal Padre non “uomo libero da ogni colpa” (non ne aveva bisogno), ma “Figlio prediletto”, così come lo siamo noi che abbiamo ricevuto il sigillo dello Spirito nel Battesimo.
Ma anche questo, a mio avviso, non basta. Non basta, o comunque non è specifico del cristiano, in quanto credo che nessuno di noi abbia dei dubbi nel definire che Dio è Padre di tutti, e che ogni uomo è figlio di Dio al di là della sua appartenenza religiosa; e lo può dimostrare attraverso una vita fatta di opere di bontà, di giustizia e di pace. L’elemento che a mio avviso fa del Battesimo lo specifico cristiano è che attraverso di esso si entra a far parte del popolo dei battezzati, ovvero di una comunità, della Chiesa. Non per nulla, solamente dove c’è una comunità parrocchiale c’è un battistero; non per nulla, solamente dove esiste una comunità cristiana esiste un cammino battesimale che dice la nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa. E questo ha delle implicazioni pastorali fortissime, che spesso come Chiesa (soprattutto noi pastori) non riusciamo a recepire.
Mi riferisco al fatto che spesso la celebrazione del Battesimo viene vista come il fatto privato di una o più famiglie, e quindi non gli si dà tutta la visibilità necessaria a livello comunitario, celebrandolo magari in orari in cui la comunità fatica a partecipare; oppure, si relega la preparazione del Battesimo di un bambino a una serie di pochi incontri che rilascino “l’attestato” di formazione. Per non parlare dell’accompagnamento di cui le giovani coppie che hanno fatto battezzare dei figli necessitano per sentirsi parte di una comunità cristiana. Nella stragrande maggioranza dei casi, il Battesimo è il primo Sacramento dell’iniziazione cristiana, come deve essere, e poi la famiglia viene lasciata a se stessa, ritrovandola, nel migliore dei casi, in occasione della Prima Comunione del battezzato, e – forse – più avanti nella Cresima.
Se il Battesimo ci fa veramente figli di Dio, liberi dal peccato originale di orgoglio, allora deve anche stimolare il nostro impegno a evitare una vita di fede vissuta in modo solitario ed esclusivo, quasi fosse un privilegio l’essere stato battezzato. Il Battesimo ha senso in una comunità che lo celebra, che lo vive, che lo accompagna: è il senso del Vangelo di Matteo che leggiamo quest’anno, che apre e chiude la vita pubblica di Gesù con il suo Battesimo e con l’invito ad andare a battezzare tutte le genti nel suo nome. Se lui stesso ha vissuto la sua vita di Figlio di Dio nell’ottica del Battesimo, non perdiamo noi l’occasione di vivere il nostro battesimo come un sentirci Chiesa, famiglia, comunità che cammina.
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