Battesimo del Signore
La Festa di oggi conclude il tempo di Natale e ci apre al Tempo Ordinario. Da una parte, sentiamo ancora la gioia, le luci, il calore del Natale; dall’altra, abbiamo già a che fare con un Gesù adulto pronto a iniziare la sua vita pubblica. Le coincidenze di calendario di quest’anno ci hanno portato più volte a passare da una festa a un’altra, o a contemplare due misteri della vita di Gesù tra loro apparentemente antitetici, nell’arco di pochissime ore. E così, mentre ieri alcuni Magi venuti da Oriente andavano in cerca di un bimbo nato da poco per rendergli omaggio come re, oggi questo bambino è già adulto, e viene proclamato e manifestato da Dio come “il suo Figlio prediletto” attraverso un gesto che poco ha a che fare con il figlio di Dio, ossia un battesimo di penitenza.
Che senso può mai avere che il figlio di Dio fatto uomo si debba sottomettere a una pratica penitenziale di cui, sinceramente, non pare proprio avesse bisogno? Perché mai deve morire al peccato, colui che ha ucciso il peccato? Perché mai deve sottomettersi a una pratica che richiama il mistero della morte, colui che ha dominato la morte? Certo, il battesimo è vita, il battesimo ci comunica la vita nuova in Cristo: eppure, ci comunica vita a partire dalla morte e resurrezione di Gesù, e Marco ce lo narra offrendoci la possibilità di comprendere a pieno questo mistero.
Occorre, a mio avviso, partire da una frase che ci fa fare un passo indietro nell’anno liturgico e alcuni passi avanti nella comprensione del mistero di Gesù. La frase è centrale al brano che abbiamo letto, e si riferisce a ciò che Gesù visse al momento del suo battesimo nel Giordano: “E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli”. Occorre, come dicevo, fare un passo indietro e andare all’inizio dell’anno liturgico, alla prima domenica di Avvento, quando il profeta Isaia, interpretando le domande esistenziali dell’umanità alle quali l’umanità stessa non trovava risposta, si rivolge a Dio con questo accorato grido: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. Nella mentalità ebraica, la chiusura dei cieli era il segno della totale mancanza di comunicazione tra Dio e gli uomini, provocata dal peccato dell’uomo che si allontana talmente da Dio da non riuscire più a trovare il modo di parlare con lui. Allora il cielo si chiude, e per l’umanità è la fine, è la morte: morte fisica, perché se i cieli si chiudono neppure l’acqua che dona vita può scendere sulla terra; morte spirituale, perché se Dio decide di ritirarsi nel cielo non c’è più modo per l’uomo di “ricaricare” l’anima. Il peccato prende il sopravvento su di lui, ed è per la sua anima l’inizio della fine.
Il grido di Isaia sembra essere ascoltato solo sette secoli più tardi, quando la comunicazione tra Dio e l’uomo riprende con la presenza del Figlio di Dio (e insieme Figlio dell’uomo), che al momento della sua manifestazione al mondo riesce a “squarciare i cieli” e addirittura a far parlare Dio e a fare intervenire un terzo protagonista, lo Spirito, assente sulla terra dal momento della Creazione, da quando, cioè, come una colomba “si librava sulle acque”. Lo “squarcio”, tuttavia, non è ancora definitivo: per quello, ci sarà bisogno di un’altra morte, quella del Figlio di Dio, appunto, attraverso la quale anche l’ultimo baluardo, l’ultimo ostacolo tra Dio e l’uomo, crollerà, quello del Tempio e di tutte le sue norme, regole e istituzioni, squarciate e distrutte dalla morte di Gesù in quello squarcio simbolico del velo del Tempio che divideva la parte comune dal “Santo dei Santi”, il cui accesso era riservato ai soli sacerdoti. La morte di Gesù fa crollare anche quella barriera, forse la più insormontabile: e lo fa in maniera definitiva, perché uno squarcio non è un’apertura qualsiasi. Un’apertura fatta a regola d’arte, attraverso un taglio, permette a una cosa di essere richiusa; uno squarcio fatto su un vestito, ad esempio, lo rende inservibile, non c’è più modo che lo strappo venga ricomposto senza cicatrici.
Le barriere tra Dio e l’uomo crollano definitivamente nella morte di Gesù, di cui il battesimo ricevuto da Giovanni diviene un’anticipazione: e non solo per quello squarcio, che avviene oggi nei cieli e a Pasqua sul velo del Tempio, ma pure in quella voce che scende dal cielo a proclamare la figliolanza divina di Gesù, e che torna al cielo nel grido di Gesù – che invoca il Padre che lo ha abbandonato – e nella professione di fede del Centurione che, unico tra quelli sotto la croce, riconosce pure lui in Gesù il Figlio di Dio tanto amato; così come in quello Spirito che nel battesimo al Giordano scende sotto forma di colomba e si posa su Gesù, il quale, morendo sulla croce, “restituì lo spirito”, e da allora “spirare” non è più solo sinonimo di “soffiare”, ma anche di concludere la propria esistenza restituendo a Dio ciò che è di Dio, ossia lo Spirito di vita.
E tutto questo ci è dato, quel giorno nel fiume Giordano, da quel gesto semplice e anche molto meravigliato di Giovanni il Battista, che ad ogni modo non si oppone ai disegni salvifici di Dio, e accetta di battezzare il Figlio di Dio perché tutti, guardando a lui, abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
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