Domenica 12^ del Tempo Ordinario
Il Vangelo in mano ai piccoli
Chissà quante volte i vostri amici, o qualche conoscente, vi avranno domandato: “Perché fai quello sport? Quanto impegno ti chiede? Quante ore di allenamento?”. Dalla risposta che uno dà, si capisce la passione che ha nel vivere quella disciplina sportiva, o musicale, o artistica. L’amore con cui fai quella cosa ti aiuta a superare la fatica, il disagio, tutto il tempo che richiede il praticarla.
Una domanda un po’ simile la pone Gesù ai discepoli, come a dire: “Ma voi, perché state con me?”.
Inizialmente, lo avete ascoltato anche voi nel brano di vangelo di oggi, Gesù parte da lontano e chiede: “Le folle chi dicono che io sia?”. Come a dire:” Cosa pensa di me la gente?”.
I discepoli rispondono riportando quello che hanno sentito vociferare tra le persone. Sono tutte impressioni positive. La gente stima Gesù e infatti lo paragona a personaggi che sono stati importanti nella storia di Israele.
La folla vede in Gesù un uomo diverso, proprio come Giovanni Battista, Elia, o uno degli antichi profeti che hanno aiutato il popolo di Israele a convertirsi, a camminare verso Dio: insomma, uno di quei grandi personaggi ritornato in vita.
Gesù, però, vuole capire cosa davvero i discepoli pensano di Lui: “Voi chi dite che io sia?”.
E qui il discorso si fa impegnativo, perché non basta rispondere con una bella frase imparata a memoria, ma solo con la verità che abita il nostro cuore: “Per me, Gesù è…”.
Provate a pensarci, provate anche voi a dare la vostra risposta. Gesù l’aspetta!
Pietro risponde con una frase bellissima: “Tu sei Il Cristo di Dio”. Una frase piccola ma che esprime una verità enorme. In quel momento egli riconosce Gesù non semplicemente come un uomo qualunque, ma lo vede come l’inviato di Dio, colui che Dio manda agli uomini per aiutarli a ritornare a lui. Pietro riconosce Gesù come il Messia, l’atteso del popolo di Israele, il liberatore, il salvatore.
“Bravo Pietro – diciamo noi- che bella risposta che hai dato, ti è venuta proprio bene!”.
Gesù cerca di spiegare chi è veramente il Cristo, il Messia, il Figlio dell’uomo. Sono tre termini che indicano la stessa cosa: Gesù è l’inviato di Dio, anzi è Dio lui stesso.
Tutto questo, però, può portare i discepoli ad avere delle attese diverse dal progetto di Dio. Infatti, era idea comune tra la gente e i discepoli che il Messia, il Cristo, fosse un grande guerriero che con forza e superiorità avrebbe potuto sconfiggere i nemici e il male che affliggeva tutto il popolo di Israele: una specie di Paladino, di grande Cavaliere, di liberatore, di eroe.
Gesù, invece, spiega che «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Sì, Gesù con queste parole mostra quale sarà il programma del vero messia, un progetto davvero diverso dal trionfo atteso dagli apostoli e dalla folla, e proprio per questo chiede il silenzio ai discepoli.
Il regno del Messia Gesù, infatti, non è fatto di castelli ma di uomini e donne coraggiosi e gioiosi. Per questo motivo fa l’affascinante proposta a noi e a coloro che scelgono di stare con lui, di camminargli vicino, di seguirlo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
Cerchiamo di capire queste bellissime parole: “Se qualcuno vuol venire dietro a me”. Gesù non obbliga nessuno a seguirlo, è una scelta personale. Come nell’amicizia. Nessuno può essere obbligato a diventare amico di un altro: l’amicizia nasce da un incontro, dal cuore, come con Gesù.
“Rinneghi se stesso”, una frase dura e difficile. Ma proviamo a tradurla: chi vuole seguire Gesù deve smettere di pensare a se stesso, di chiudersi nel suo recinto, di pensare di essere al centro dell’universo, per aprirsi a Dio e ai fratelli.
Sono i “grandi” che vivono questo. Quando uno diventa papà e mamma è chiamato a smettere di pensare a se stesso per volgere tutto il suo amore allo sposo, o alla sposa e ai suoi figli. È un impegno da adulti. Ma posso assicurarvi che ho conosciuto ragazzi e giovani che erano adulti nella fede anche se avevano pochi anni di vita. Sono stati capaci, anche se piccoli, di fidarsi ed affidarsi a Dio e al suo amore mettendo la loro vita nelle sue mani perché sapevano che nelle mani di Dio stavano bene, che erano custoditi pienamente, anche se vivevano il dolore o la malattia.
“Prenda la sua croce e mi segua”. Che croce dobbiamo prendere?
Gesù, ve lo posso garantire, non vuole per noi nessuna croce, né tanto meno che moriamo sulla croce come lui.
Allora di quale croce si tratta? I discepoli hanno capito subito.
La lettera T dell’alfabeto ebraico si scriveva originariamente a forma di croce, proprio come la nostra T. Con quella lettera ha inizio una parola preziosa per il popolo di Israele e anche per noi: la parola TORAH, la legge, la Parola di Dio.
La croce che siamo chiamati a prendere ogni giorno con noi e su di noi è la Parola di Dio che, sola, è capace di orientare il nostro cammino dietro al Signore.
Essere uomini e donne del Regno di Gesù significa lasciare i nostri progetti per entrare nel progetto di Dio. Ma vi posso garantire che Dio, i nostri progetti, non li butta via, ma li conserva, li mantiene tutti e ce li fa realizzare nel modo migliore!
Salvare la vita vuol dire “perderla”, cioè farla entrare nel progetto di Dio, nel suo Regno. Solo così si arricchisce, diventa bella, luminosa, pienamente realizzata e ritrovata in tutto il suo splendore.
Buona domenica
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