Domenica 17^ del tempo ordinario

Signore, insegnaci. Quanto cammino sarà utile fare dietro a questa frase “scontata” degli apostoli? Signore, insegnaci. Se è lui il maestro della vita, perché ci ostiniamo a insegnare? Ci è chiesto di imparare, sempre, per gustare la bellezza della comunione e per assaporare i frutti dello Spirito. Essere discepoli: quale posizione migliore per non nutrire continue ansie di prestazione? per non inseguire fantasmi di successo che ben presto si rivelano attentatori della propria pace? Signore, insegnaci. Alla luce di queste parole pregare ha un senso. Se noi ci poniamo come maestri di fronte agli eventi, finiremo per ritenere inutile il cercare significati e aprire porte di ulteriori segreti esistenziali. Perché essere dipendenti da un Padre? Siamo adulti, non più mocciosi in cerca di rassicurazione. Stare attaccati alle gonne della fede non aiuta a rendere la propria storia interessante per gli altri! Sta a noi ora rassicurare gli altri… Quanto dà alla testa il credersi maestri! Ma fino a quando le nostre cattedre non diventeranno trappole che esauriscono le nostre forze, ci sentiremo incapaci di sollevare lo sguardo nel tentativo di recuperare gli spazi della ricerca e del confronto. Le scintille dell’illusione divoreranno il territorio di ogni nostra conquista! Torniamo a chiedere umilmente al Signore: Signore, insegnaci… Quale stupore allora quando udremo dalle labbra della nostra sete l’invocazione: Padre nostro…. Gesù ci parla di questo Padre che non aspetta altro che di essere importunato per sentirsi libero di donarci tutto di Sé. E noi che stiamo lì invece a non osare! Se c’à amicizia, andare a casa sua in ora inopportuna non è un problema! Sarà allora che non riceviamo ciò che chiediamo perché non viviamo un rapporto di amicizia ma di dare e avere? Quanta libertà nel sapere di poter contare su Qualcuno, poter contare senza condizioni. Se non otteniamo da Dio, probabilmente è perché ci poniamo in condizione di maestri, vogliamo insegnargli ciò che ci deve dare in quanto figli suoi. Il problema più grave di noi uomini è che non sappiamo ancora distinguere un pane da una pietra, un pesce da una serpe, un uovo da uno scorpione, e stiamo lì a insistere che il nostro sguardo su ciò che è bene è corretto. Signore, insegnaci. Insegnaci ad essere discepoli… e a lasciare a te il discernimento su ciò che abbiamo tra le mani.

Il Vangelo dei piccoli

Un giorno Gesù ha insegnato a pregare. Cosa significa pregare? Dire parole come una poesia? Oppure parlare a cuore a cuore con un amico grande che è Gesù o con un Babbo che sta lì accanto a te perché ti vuole bene? Il Padre nostro è una preghiera speciale. Vogliamo oggi farne uno più adatto a noi piccoli? “Papà, mi piace il tuo nome, vieni a stare vicino a me; quando ho fame, dammi tu il pane più buono e se faccio i capricci, perdonami così anch’io imparerò a farlo con i miei amici. Aiutami a non allontanarmi da te senza dirtelo perché non voglio farti stare in pensiero per me”. I grandi fanno tanta fatica a pregare perché non capiscono che la preghiera non è pensare o portare al Signore le cose belle che si riesce a fare. Quando si sta bene con il proprio Babbo, non esistono problemi di parole. Il cuore si apre da sé. Nascono i problemi quando si pensa che Dio invece di essere un Papà è uno che sta lì a contare i tuoi sbagli. Si sa che i bimbi devono imparare. Quando uno impara, sbaglia! Per questo Gesù ha detto che bisogna essere bambini per entrare nella casa di Dio! E tu, che sei piccolo, anche quando sarai grande, non dimenticare che sempre dovremo imparare. L’unico capace di insegnare i segreti della vita è il Signore!

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