Domenica 25^ del Tempo Ordinario
Gesù, oggi, si confida con i suoi, parla delle sue preoccupazioni: la folla, dopo i primi entusiasmi, si è raffreddata: Gesù è un bidone, un bluff. Le cose hanno preso una piega inattesa, devastante. Gesù, turbato, è disposto ad andare fino in fondo al suo disegno d’amore.
Gesù parla della sua morte e i dodici stanno distribuendosi i posti, litigano sui privilegi, misurano le priorità. Gesù cerca conforto e riceve meschinità, attende un consiglio e annega nell’indifferenza. E Gesù, l’immenso Gesù, il Rabbi Gesù, questo Dio paziente e misericordioso, ancora una volta si mette da parte, non pensa al suo dolore, insegna: “tra voi non sia così”. Che emozione, amici! Che tristezza! Tristezza, sì, perché gli apostoli ci assomigliano, siamo loro simili anche in questa piccineria insostenibile. Gesù si mette da parte. Non è l’esatto contrario di ciò che immaginiamo di Dio? Un Dio autosufficiente e certo, un Dio bastante a se stesso, un Dio che mette la sua eternità al centro, un Dio sommo egoista bastante a se stesso? Dio è bisognoso di ascolto, Dio sa mettersi da parte perché Dio è l’amore assoluto, l’amore finalmente realizzato. Gesù condivide in tutto la fatica e la fragilità degli uomini ma non lascia che la paura soffochi l’amore.
Vedo Gesù mettersi da parte e penso alle tante volte che ho visto uno sposo farsi da parte, una madre passar sopra alla sua stanchezza per ancora donare e amare, un prete che vede anno dopo anno il proprio entusiasmo soffocare sotto il peso di una sterile quotidianità. Come Gesù.
Insidiamo il giusto
La lettura è la parte conclusiva del discorso degli empi: come si rapportano col giusto? Egli li disturba, costituisce un ostacolo, uno “scandalo”, un inciampo a perseguire i loro scopi in quanto, a parole e fatti, li contesta. Nel mondo non c’è posto per tutti e due: il giusto per un verso e gli empi per un altro non possono semplicemente camminare per la propria strada senza interferire e “intralciare” la strada dell’altro. Ma mentre il giusto costituisce intralcio con la vita e le parole, con ciò che egli in vario modo testimonia, gli empi rispondono con l’insidia, la rete tesa. Essi infliggono attivamente una sofferenza mediante la quale si potrà vedere, verificare la realtà. Il giusto afferma di essere “figlio di Dio”, cioè non nato per caso e per la morte, ma oggetto di una cura amorosa di Dio. Invece i suoi nemici pensano: “Vediamo se ciò corrisponde alla realtà, se Dio lo salva dai nemici. Il giusto afferma che ci sarà una ‘visita’ di Dio, ossia che Dio si farà vivo, giudicherà, prenderà a cuore la sua causa. Vediamo se davvero lo libera dalla morte. Vediamo come va a finire, come il giusto conclude la sua vita, vediamo se la morte non ha davvero l’ultima parola”.
Questo “vediamo” non indica l’incertezza del risultato, ma la certezza di un esito scontato: date le premesse dalle quali essi partono, è evidente che per il giusto non può che finire male. Essi sono convinti che, saggiando la pazienza e la mitezza del giusto, la morte comunque si dimostrerà più forte, vittoriosa sulla fede: se il giusto cede, se cade, se abbandona la sua linea, passerà dalla parte degli empi, e sarà una conferma della loro tesi; se rimane saldo, sarà comunque eliminato e smetterà finalmente di disturbare.
Il brano, impressionante per quanto richiama da vicino la vicenda di Gesù, attira l’attenzione sul perenne scontro che è in atto nella storia. Nessuno può accettare tranquillamente chi, in un modo o in un altro, lo contesta. Ogni vita testimonia qualcosa, “depone a favore” di certi valori e contro altri. Anche il nostro mondo, a prima vista così tollerante, nel quale ognuno è libero di seguire le proprie strade, in realtà non sfugge a questo scontro. Lo mostra, tra le altre cose, l’intolleranza con la quale risponde a chi non si allinea al dogma della equipollenza delle scelte.
Non è dunque possibile sottrarsi a questo scontro. Nuove “spiritualità” si affacciano con la promessa della fine di ogni contrapposizione e divisione, di solito rimproverando al Cristianesimo (e ai monoteismi) di aver favorito le divisioni. Ma ogni irenismo è illusorio ed equivoco. Rimane necessario scegliere la vita e non la morte, corroborando la nostra scelta non attraverso la sopraffazione, l’imposizione e la violenza di qualunque tipo (questa è l’opzione degli empi), ma attraverso la fedeltà, mite ma decisa, alla Parola del Signore. Una fedeltà che sarà messa alla prova proprio attraverso il confronto duro con chi sceglie in modo opposto; ma che in questo modo diverrà sempre più solida, limpida e integrale.