Domenica III^ di Avvento
Il vangelo di questa domenica presenta di nuovo la figura di Giovanni il Battista. Nel Vangelo di Giovanni egli è il testimone di Gesù. È lui che indica il Cristo ai suoi uditori. La sua predicazione e la sua testimonianza, però, travalicano i tempi e giungono a tutti gli uomini di ogni tempo che attendono il Veniente. Lasciandoci guidare dalla sua testimonianza, possiamo indirizzarci alla ricerca di Colui la cui presenza nella nostra vita porta la vera gioia.
Io gioisco pienamente nel Signore?
Siamo a metà del cammino penitenziale dell’Avvento e questa domenica viene chiamata “Gaudete” sia dalla prima parola dell’antifona iniziale che dal tema della prima e seconda lettura, cioè la gioia. Nel vangelo l’evangelista Giovanni ci presenta Giovanni il Battista, personaggio che abbiamo incontrato domenica scorsa e quindi non ci soffermeremo più su di lui. Cosa invece da approfondire è il tema della gioia.
Ha un sapore così strano questa parola per molti cristiani praticanti perché – guardiamoci un po’ intorno – non tutti i nostri volti sprizzano di gioia. Eppure dovremmo essere gli uomini della gioia e del sorriso.
Un tempo questa terza domenica doveva dare ai fedeli un po’ di respiro dalle rinunce e penitenze che venivano praticate in Avvento. Oggi, diciamolo chiaramente, l’Avvento non si sente proprio come tempo penitenziale perché prevale il desiderio dell’attesa: non si tratta quindi di dare sollievo ai fedeli gravati da chissà quali penitenze e l’atmosfera festaiola dei negozi, della televisione, degli addobbi e dei regali lo conferma fin troppo, ma di dare all’attesa il colore della gioia, anziché quello della mestizia. La sobrietà e la serietà che la Chiesa ci propone in questo periodo non devono diventare tristezza.
La liturgia della Parola e i testi delle preghiere di oggi traboccano di parole come gioia, letizia, esultanza… Al centro di tutto questo c’è la certezza della presenza del Signore nella e con la vita del fedele. Ancora di più per San Paolo essere sempre lieti è volontà di Dio. Certo, non esiste il dovere di essere felici: casomai è una certa mentalità mondana che spinge le persone a mostrarsi sempre “su di giri” e a nascondere tristezze e dispiaceri. Per il cristiano, però, la gioia interiore è segno della presenza dello Spirito Santo, anche in mezzo a sofferenze, prove, dolori.
La vera fonte della gioia per noi che crediamo è l’Eucaristia perché in essa siamo associati alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Non si tratta di una eccitazione superficiale e chiassosa, come quando vince la nostra squadra del cuore, i motivi di questa gioia sono più profondi, non immediatamente fruibili; è necessario interiorizzare la fede e la speranza della Chiesa per poter gioire con essa. La gioia del cristiano non è apparente ma profonda e motivata dalla continua e costante certezza di sentirsi amati da chi ha dato la vita per noi, per questo il nostro sorriso non sarà una farsa ma autentico e convinto.
A un predicatore che continuava a dire: «Dobbiamo mettere Dio nelle nostre vite»,
il maestro disse: «C’è già. Il nostro compito è rendercene conto».