Domenica XVIII del Tempo Ordinario
Date loro voi stessi da mangiare
Gesù, saputa dell’uccisione del Battista, pensa di tornare a casa. Ma la folla ormai lo conosce, la sua fama lo precede. Allora Gesù mette da parte la prudenza e il buon senso e si mette in ascolto della gente, del loro desiderio, delle loro fragilità.
L’umanità ha fame, amici, fame che Dio sazia, non noi, che Lui vede, non noi, che commuove Dio e – speriamo – un poco anche noi. Il mosaico di luce che il Maestro vuole disegnare ha bisogno anche di noi, a Dio (burlone!) piace coinvolgere i suoi discepoli nel suo sogno di pace, e Dio chiede, al solito. “Date loro voi stessi da mangiare”, chiede Gesù. «Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel cuore», rispondiamo. Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che siamo, anche se ciò che siamo è poco. La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e parlo di Dio per un’ora a settimana, poi escono, e per un’intera settimana sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo. Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano. Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che io sia una specie di funzionario di Dio. Occorre arrendersi? No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.