I Domenica di Avvento
“L’anno B”
L’anno B del ciclo triennale delle letture è l’anno di Marco. Eppure non si comincia dal paragrafo iniziale del suo Vangelo, che sarà oggetto di lettura nella settimana prossima: si parte dal punto in cui terminerà la penultima settimana dell’anno, con l’annuncio del ritorno di Cristo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
A prima vista, ciò può sembrare strano ed illogico. Invece, nella liturgia, c’è un’estrema sottigliezza nell’effettuare il cambiamento di tono: la nostra attenzione, che nelle ultime settimane era centrata sul giudizio e sulla fine del mondo, si sposta ora sul modo di accogliere Cristo: non con paura, ma con impazienza, proprio come un servo che attende il ritorno del padrone (Mc 13,35).
In quanto preparazione al Natale, l’Avvento deve essere un tempo di attesa nella gioia. San Paolo interpreta il nostro periodo d’attesa come un tempo in cui dobbiamo testimoniare Cristo: “Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1,7).
Fate attenzione!
Avvento: tempo di attesa. Non sei tu che attendi, è il Signore che attende te.
Non mancare alla sua presenza e Lui non mancherà a te.
Buon cammino!
Giungendo all’improvviso…
Avvento. È il tempo della vigilanza e dell’attesa. Il richiamo di Gesù è forte e preciso: Fate attenzione, vegliate, perché non sapete… Primo invito alla conversione interiore per noi che pensiamo di sapere tutto! Recuperare la percezione della precarietà, del non controllo sulle cose e sulle persone, sui tempi, sul presente e sull’avvenire è quanto di più grande possiamo farci di regalo. Tutto ciò che viviamo è finalizzato a star bene, a star tranquilli, a placare l’ansia del non conosciuto. La fede ci ricorda che non abbiamo da temere, se Dio è con noi. Lui ha cura di noi. Noi siamo “piccoli”, non incapaci di, ma semplicemente piccoli. Non è data alla nostra misura di comprensione tutta la complessità del vivibile. Per questo siamo chiamati a fare attenzione. Affiniamo lo sguardo per non lasciar passare sotto i nostri occhi le opportunità della grazia. E come? Non bisogna addormentarsi. Chiama le cose con il loro nome e riacquisterai la lucidità profonda del tuo essere “servo”, cioè legato a qualcuno. Ti lamenti spesso di essere solo, di non essere capito, di affannarti per tante cose, di dover pensare a tutti… ma non sarà eccessivo questo lamento? Tu sei legato a qualcuno, la relazione che risponde ai tuoi gemiti è la relazione con Dio: lui ti ha lasciato un compito nella sua casa. Quindi, intanto, la casa non è tua. Il potere che eserciti ti è stato dato, ma non da solo, insieme ad altri. A ciascuno ha dato il suo compito. Ti stordisci inventandoti il da fare tutti i giorni oltre le cose necessarie per vivere, quando il compito che ti è stato dato è vivere la pienezza del tuo tempo “nella casa del tuo Signore”, non altrove. Qual è questa casa? Tu sei questa casa. Se non vivi tra le tue mura, ma sei disperso qua e là come pretendi di restare vivo? Ti frammenti e ti disintegri continuamente se non dai della tua vita un centro unificante. Vegliare! Chi attende qualcuno di importante, sta all’erta, tende l’orecchio, vive per quell’incontro. Chi non attende nessuno, si chiude nelle sue cose e mette a riposo le sue facoltà. L’avvento ci chiede di svegliare tutte le nostre facoltà interiori perché traccino vie nuove all’incontro con Cristo. Se Lui non nasce in te, tutto ciò che vivi si diluisce e svanisce, e a te non resta che l’affanno e la delusione. Quando ti senti al centro dell’universo, prova a pensare che stai usurpando il posto a Colui che è il cuore dell’universo. Tu sei prezioso, amabile, degno di fiducia, e Dio te ne dà continuamente prova, ma il centro spetta a Lui. Sposta dal tuo cuore l’immagine di te e contempla il volto dell’unico capace di colmare il tuo estremo bisogno di amore: Gesù. In questo tempo siamo chiamati a fare spazio, ad allargare i confini, ad alzare il capo: sera, mezzanotte, alba, mattino… ogni istante è tempo dell’arrivo di Dio, non te ne accorgi?
Il Vangelo dei piccoli
Gesù ci raccomanda di fare attenzione e di vegliare. Perché? Cosa sta per succedere? Lui viene continuamente nella nostra vita ma noi non ce ne rendiamo conto, perché siamo presi da mille cose. Per vedere Gesù che viene ci vogliono gli occhi del cuore. Ma se li lasciamo chiusi, come potremo vederlo? Se i tuoi occhi stanno sempre appiccicati alla televisione, come puoi accorgerti che Gesù è lì con te? Il cuore si addormenta perché tu vivi fuori casa, costantemente. A casa, a scuola, con gli amici: parli, giochi, studi, ti diverti… ma non pensi mai che non riusciresti a fare niente di tutto questo se Gesù non ti avesse dato la possibilità di farlo. Puoi comprarti la vista? Se fossi nato cieco come tanti bambini non vedresti nulla. Se avessi avuto un incidente e avessi perduto le gambe, come a tanti bambini è capitato, non potresti correre come fai. Se fossi nato in un orfanotrofio come tanti bambini, non avresti avuto una casa tutta tua e tanto affetto come invece hai. In questo tempo di Avvento puoi pensare un po’ di più ai tanti doni che hai e dire grazie al Padre del cielo che te li mantiene ogni giorno. Fare attenzione a tutto quello che si vive e non dare nulla per scontato è importante per aprire il cuore e crescere nell’amore. E soprattutto per riconoscere dove si “nasconde” Gesù. Nei tuoi occhi che vedono: ci puoi stare solo tu oppure ci puoi stare tu insieme a Gesù. Ad esempio: tu vedi un tuo compagno di scuola, lo guardi per le cose che fa. Ti sembra di conoscerlo bene. Se lo guardi con gli occhi di Gesù, vedrai tante altre cose, perché Gesù ama sempre, tu a volte sì a volte no. Prepara la tua vita a Gesù che nascerà, facendo del tuo cuore una culla accogliente piena di amore.
Un povero vecchio
C’era una volta un vecchio che non era mai stato giovane. In tutta la sua vita, in realtà, non aveva mai imparato a vivere. E non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire. Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere. Tutto ciò che succedeva nel mondo non lo addolorava e neppure lo stupiva. Passava le sue giornate oziando sulla soglia della sua capanna, senza degnare di uno sguardo il cielo, l’immenso cristallo azzurro che, anche per lui, il Signore ogni giorno puliva con la soffice bambagia delle nuvole. Qualche viandante lo interrogava. Era così carico d’anni che la gente lo credeva molto saggio e cercava di far tesoro della sua secolare esperienza. “Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità?” chiedevano i giovani. “La felicità è un’invenzione degli stupidi” rispondeva il vecchio. Passavano uomini dall’animo nobile, desiderosi di rendersi utili al prossimo. “In che modo possiamo sacrificarci per aiutare i nostri fratelli?” chiedevano. “Chi si sacrifica per l’umanità è un pazzo” rispondeva il vecchio, con un ghigno sinistro. “Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?” gli domandavano i genitori. “I figli sono serpenti – rispondeva il vecchio – Da essi ci si possono aspettare solo morsi velenosi”. Anche gli artisti e i poeti si recavano a consultare il vecchio che tutti credevano saggio. “Insegnaci ad esprimere i sentimenti che abbiamo nell’anima” gli dicevano. “Fareste meglio a tacere” brontolava il vecchio. Poco alla volta, le sue idee maligne e tristi influenzarono il mondo. Dal suo angolo squallido, dove non crescevano fiori e non cantavano uccelli, “Pessimismo” (perché questo era il nome del vecchio malvagio) faceva giungere un vento gelido sulla bontà, l’amore, la generosità che, investite da quel soffio mortifero, appassivano e seccavano. Tutto questo dispiacque molto al Signore, che decise di rimediare. Chiamò un bambino e gli disse: “Va’ a dare un bacio a quel povero vecchio”. Il bambino obbedì. Circondò con le sue braccia tenere e paffute il collo del vecchio e gli stampò un bacio umido e rumoroso sulla faccia rugosa. Per la prima volta il vecchio si stupì. I suoi occhi torbidi divennero di colpo limpidi. Perché nessuno lo aveva mai baciato. Così aperse gli occhi alla vita e poi morì, sorridendo.
A volte, davvero, basta un bacio. Un “Ti voglio bene”, anche solo sussurrato. Un timido “Grazie”. Un apprezzamento sincero. E’ così facile far felice un altro. Allora, perché non lo facciamo?