I domenica di Quaresima
Il brano evangelico di Marco è estremamente sintetico e ci presenta l’episodio di Gesù che si ritira nel deserto per quaranta giorni, dove sarà tentato da Satana. Qui subirà le tentazioni che, nel passo odierno, non vengono menzionate, ma sulle quali dobbiamo riflettere in apertura della nostra quaresima. Anche noi abbiamo un periodo per rivedere la nostra vita nei suoi cedimenti alle lusinghe delle più varie seduzioni. Non possiamo dire che gli adescamenti del demonio non ci riguardano o, peggio, che sono troppo alti, come ad esempio quello del potere, per le nostre semplici vite. Luca è, infatti, esplicito nel dire che il diavolo si allontanò “esaurita ogni specie di tentazione”.
L’episodio mostra come nessuno può dirsi immune dall’essere tentato. Con il suo ritiro nel deserto e con i suoi digiuni, il Signore rende evidente, dandone per primo l’esempio, il monito che, in seguito, rivolgerà a tutti noi dicendo che certe tentazioni si vincono solo con la preghiera e il digiuno. Questa è la via maestra ed è per questo ci invita a riesaminarci e a convertirci con le parole che ci ricorda Marco: “ravvedetevi e credete all’evangelo”. Il non cedere alle tentazioni, a volte, può costare caro e, non a caso, ci viene ricordata la fermezza di Giovanni Battista che, pur di non cedere alle pretese del suo sovrano, fu messo prima in carcere e, poi, fu ucciso.
C’è in questo schematico racconto un’affermazione apparentemente oscura: “Il tempo è compiuto ed il regno di Dio è qui”. Ma qui, dove? Sono secoli che i credenti lo attendono e, non pochi spiriti mondani, aggiungono invano. Il fatto è che il regno di Dio è senza tempo e al di fuori del tempo. Il regno al quale siamo destinati inizia nella nostra coscienza dove Dio, se gli diamo spazio, parla e ci confida i suoi disegni che verificheremo quando anche noi usciremo dal tempo. Intanto è qui! Lavora dentro di noi, se noi glielo permettiamo seguendo i suoi consigli e testimoniando il vangelo. In questa prospettiva, alla luce della carità vissuta, fortifichiamo la nostra speranza e vivifichiamo la nostra fede.
In questa prospettiva, tutto viene trasfigurato, persino il male. Come ci ricorda Pietro, nell’odierna lettera, basta essere zelanti nel bene e il male non potrà toccarci. Anche qui, questa conclusione non significa l’essere esentati dal soffrire a causa della giustizia, ma da questo trovare il vero senso per la nostra beatitudine, quella che ci aiuta a non turbarci e a rinchiuderci nella paura. Solo così predominerà in noi l’autentico senso della speranza cristiana.
Tutto questo, però, senza arroganza, ma “con dolcezza e riserbo, forti della vostra buona coscienza”. Sarà questo atteggiamento a sgomentare e, poi a svergognare il mondo. Certo, calunnie e tradimenti ci faranno soffrire, ma, ci ricorda ancora Pietro, che è “meglio soffrire, se tale è la volontà di Dio, facendo il bene che facendo il male”. Con questa convinzione bisognerà essere sempre pronti a rispondere, sempre e solo a gloria di Dio, “a chiunque ci domandi ragione della speranza”.
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