II domenica del Tempo Ordinario
Non ha ancora iniziato il suo ministero pubblico, e Gesù ha già voglia di mettere ben in chiaro le cose: il suo Vangelo è novità, egli è venuto a fare nuove tutte le cose. E il Gesù del Vangelo di Giovanni è poco diplomatico: nell’arco di tre capitoli, tra il secondo e il quarto, l’evangelista gli fa compiere gesti e discorsi simbolici che denotano chiaramente il desiderio di farla finita con l’Antica Alleanza, quella del Sinai stabilita da Mosè.
Immediatamente dopo le nozze di Cana, dalla Galilea Gesù va a Gerusalemme per la sua prima Pasqua, e con il gesto della cacciata dei mercanti dal tempio dice in modo inequivocabile che quel tipo di tempio ha fatto il suo tempo, che quella religiosità basata sui sacrifici e sulla ritualità non ha più senso di esistere, e che il tempio di pietra può essere benissimo distrutto, perché c’è già un altro tempio ben più importante, la sua persona. A Nicodemo, il fariseo che va da lui di notte, chiede lo sforzo di rinascere di nuovo, ovvero un cambio di rotta radicale. Alla donna di Samaria tutta presa dalla necessità di capire dove fosse il luogo in cui rendere culto a Dio – se Gerusalemme o il monte Garizim – Gesù annuncia che è arrivato il tempo della fede nuova, in cui Dio è adorato senza segni o luoghi visibili (senza necessità di costruire una chiesa, diremmo oggi), ma “in spirito e verità”. Sono stati scritti meno di tre capitoli, e il Gesù di Giovanni ha già quasi portato a compimento la sua predicazione, perché ha già detto dove vuole arrivare.
Ma torniamo un istante in Galilea, e contempliamo il primo dei “segni” di Gesù, uno dei più grandi, ma soprattutto uno dei più emblematici della sua necessità di fare nuove tutte le cose. L’episodio delle nozze di Cana, infatti, è tutto giocato su elementi che annunciano l’arrivo della “ora”, del “tempo” della salvezza: e il concetto fondamentale di questa salvezza è che la vecchia alleanza non c’è più, il Vecchio Testamento sta lasciando il posto al Nuovo, l’antica alleanza stabilita da Mosè sul monte Sinai sta cedendo il passo alla nuova alleanza, sigillata dal sangue dell’Agnello di Dio sul monte Calvario. E di questa nuova alleanza, inaugurata oggi a Cana ma portata a compimento solo il venerdì santo a Gerusalemme (infatti, “non è ancora giunta la mia ora”, dice il Maestro) abbiamo una testimone d’eccellenza: la Madre. Lei, e solo lei, tra gli invitati di Cana, sarà presente con Gesù sul Calvario: per di più, nel Vangelo di Giovanni, questa “Donna”, “la Donna”, dopo Cana sparirà per ricomparire solamente sotto la Croce, ormai al termine del racconto. Il suo “Qualsiasi cosa dica, fatela” vale quanto l’affermazione del popolo d’Israele nel deserto, quando Mosè presentò a tutti l’Alleanza con Dio, ed essi risposero: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo”.
Quell’Alleanza, però, era stata preparata da un rito di purificazione ed era stata scritta su tavole di pietra; questa alleanza è qualcosa di totalmente nuovo, e allora l’acqua di quella purificazione rimarrà nelle anfore, perché la nuova alleanza sarà sigillata dalla gioia del vino, di un vino nuovo e buono; quelle anfore rimarranno legate ai vecchi riti di purificazione dei Giudei, ed è per quello che non sono come tutte le altre, di ceramica o di terracotta, ma sono “di pietra”, pesantissime (120 chili l’una solo di contenuto!) come le tavole della Legge antica, e di pietra rimarranno. Non riusciranno a far parte della creazione nuova, perché sono “sei”, come “sei”, sono i giorni trascorsi dalla comparsa di Gesù nel Vangelo di Giovanni al giorno delle nozze di Cana, mentre invece la Creazione arriva a compimento il settimo giorno, quello del riposo: nell’Antica Alleanza è il sabato, nella Nuova Alleanza è “il primo giorno dopo il sabato”… e noi cristiani sappiamo bene di che giorno stiamo parlando.
Il “miracolo” di Cana (ma sarebbe meglio dire “il segno”), non avviene quindi nelle anfore di pietra, non può avvenire lì, dove tutto richiama l’Antica Alleanza: avviene mentre i servi attingono l’acqua e la portano al maestro delle cerimonie, a colui che dirigeva il banchetto. I servi sanno bene come è avvenuto “il segno”, perché hanno visto bene che le anfore erano piene di acqua fino all’orlo; a loro, ai servi, agli ultimi, è rivelato il mistero del Regno, e non al maestro delle cerimonie, che è legato al passato, alla tradizione, ai vecchi modi di fare (come i sacerdoti, gli scribi e i farisei attaccati alla vecchia legge), a quello stile usuale e scorretto di dare subito un po’ di vino buono per far ubriacare la gente e di allungarlo poi con l’acqua quando tutti sono ormai “partiti”. No, lui non può capire, e per questo se la prende con lo sposo: perché non capirà mai che qui è avvenuto qualcosa di nuovo; non capirà mai che qui a Cana si è inaugurata la “ora” della salvezza che si compirà “il primo giorno dopo il sabato”; non capirà mai che questa festa di nozze non è semplicemente tra un uomo e la sua donna, ma tra un popolo e il suo Dio, un Dio che viene a fare nuove tutte le cose.
La fede in Gesù Cristo fa nuove tutte le cose: lo ha fatto quel giorno, a Cana, con “l’inizio dei segni compiuti da Gesù”, attraverso il quale “i suoi discepoli credettero in lui”. Lo fa con noi, ogni giorno, ogni volta che crediamo in lui: ogni volta che decidiamo di seguirlo, ogni volta che diciamo “no” a un ritorno al passato, ogni volta che ci buttiamo alle spalle la mentalità del “abbiamo sempre fatto così”; ogni volta che sperimentiamo qualcosa di nuovo nella Chiesa, ogni volta che proviamo a buttare lì un’idea diversa, ogni volta che facciamo un passo in avanti nella conoscenza delle cose di Dio, ogni volta che apriamo le porte a qualcuno o a qualcosa di nuovo nella comunità, anche se “non sappiamo da dove viene” (come il vino di Cana); ogni volta che siamo disposti a fare “qualsiasi cosa egli ci dirà”, anche se totalmente nuova per noi, purché ci fidiamo di lui.
Perché tutto ciò che è nuovo, sa sempre di voglia di vivere.
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