II domenica del tempo ordinario
Il Signore si rivolge a Isaia (I Lettura) che rivolgendosi al popolo di Israele, fa parlare il cosiddetto “Servo di Yahve” destinato a diventare apportatore di salvezza non solo al popolo eletto (Israele appunto) ma a tutte le nazioni della terra. A rafforzare questa salvezza universale è l’immagine della “luce”, con la quale il Servo illuminerà tutti i popoli sulla conoscenza del vero Dio. Il Servo di Yahve’ realizzerà la sua missione salvifica disponendo se stesso come “agnello votato al macello”, disprezzato e reietto dagli uomini, il cui sangue sarà indispensabile a riscattare tutti i popoli dai peccati. Tale si presenterà il Servo isaiano negli altri canti successivi (capp 52 – 53), innocente vittima di vessazioni e di tormenti. E’ evidente che il riferimento di Isaia è messianico e annuncia molti secoli prima, l’arrivo del “Cristo luce del mondo”, il cui sangue sarà sparso in riscatto per tutti. Sarà Cristo l’agnello immolato il cui sangue sarà per la nostra salvezza e per il nostro riscatto. Non per niente il vecchio Simone, nel giorno della presentazione al Tempio di Gesù, guardando al Fanciullo divino riconosce in lui la “luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”(Lc 2,32) annunciando poi che “anche a te, Maria, “una spada trafiggerà l’anima”(Lc 2, 35), perché i patimenti del Figlio sulla croce interesseranno direttamente anche lei. Essi saranno però necessari affinché si realizzi il nostro riscatto, la nostra salvezza e la liberazione dal peccato, così come testimonia Giovanni avendo davanti a sé l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Questo tema dell’agnello è particolarmente caro al quarto evangelista, che lo riprende anche nel libro dell’Apocalisse, nel quale ribadisce che la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”(Ap 7, 10) e adesso mentre si descrive la scena del Battista, dell’Agnello vero e reale, Gesù Cristo si rende testimonianza. Secondo gli esegeti il termine “agnello” usato da Giovanni in questo versetto indica anche il “servo” che si offre in senso estremo; anche per questo si ravvede che in Gesù Cristo si realizza quanto preannunciato dal Servo Sofferenti di Isaia: Cristo sarà l’agnello del nostro riscatto.
C’è però un protagonista in tutta questa vicenda che renderà fattibile il sacrificio dell’agnello Cristo: lo Spirito Santo. Questi discende e rimane su Gesù per conferirgli potere, gloria ma anche persistenza nella missione sofferta e sottomessa da continue persecuzioni, da sacrifici innumerevoli e soprattutto dalla morte di croce. Lo Spirito, di cui Gesù sarà dispensatore dalla sua resurrezione in poi, è lo stesso che ora conduce Gesù e lo dirige nella sua disavventura terrena per esaltarne la dignità di Figlio di Dio e per testimoniare come questa dignità di grandezza si spenda a beneficio di tutti quanti noi.
Gesù, secondo la testimonianza di Giovanni, viene a liberarci dal peccato, considerato nella sua realtà singolare (non “i peccati”) cioè da cioè che è il malessere universale e che è all’origine della destabilizzazione della vita individuale e sociale dell’uomo. La sua croce ci affrancherà dalla schiavitù inconsapevole del successo, dell’orgoglio e della presunzione che sfociano nell’odio, nella violenza e nell’illecito del guadagno facile e a tutti i costi, e donandoci la vita con la resurrezione ci guadagna alla vita eterna proponendo tutto ciò che è antitetico al peccato: l’amore, la solidarietà, l’apertura e il dono di sé. Propone anche a noi la vita divina, la partecipazione della gloria che lui stesso vive sin dall’eternità con il Padre e con lo Spirito Santo e sostenuti dallo stesso Spirito possiamo godere dei suoi doni di sapienza, intelletto, timor di Dio, con i quali saremo in grado di individuare anche i carismi, che diventano ministeri quando vengano messi in atto a vantaggio di tutti. La vita nello spirito ci aiuta a superare le soddisfazioni velleitarie della carne e della concupiscienza, avendo essi come conseguenza la gioia, la pace e l’armonia con noi stessi e con tutti.
Era necessario dunque che il Figlio di Dio, divenuto Figlio dell’Uomo offrisse se stesso quale agnello nonché vittima per la nostra espiazione, perché solo con il suo sangue poteva guadagnarci la salvezza, la vita e la gioia, perché morti con lui ci rendessimo partecipi della sua resurrezione.
Ed era altrettanto necessario che Giovanni Battista predisponesse il cuore alla conversione, trasformazione radicale per l’accoglienza del dono unico e irripetibile del nostro Redentore.
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