II domenica di Pasqua
Considerare questa Domenica come dedicata alla Misericordia è conveniente e adeguato. Perché in essa ci viene descritta soprattutto la pazienza e la condiscendenza di Dio, che si rivela nelle letture. Dio non ha fretta nell’attendere che l’uomo gli corrisponda e che sia sollecito partecipe della sua creazione; sa aspettare che sia come individuo che come comunità, collabori al suo progetto di salvezza non prima di aver aderito a lui.
Dopo la resurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito Santo, ecco la costanza degli apostoli nella realizzazione della comunione man mano che procede la missione (I Lettura) e che sempre più elementi si aggiungono al Corpo che è la Chiesa. Sia gli apostoli che lo stesso Signore lavorano, spargono il seme della Parola nei cuori degli astanti e poi con pazienza e lungimiranza attendono i frutti del loro operato, che saranno copiosi e lussureggianti.
Pazienza e bontà e misericordia ha avuto Gesù quando, una volta risuscitato, la sera del primo giorno della settimana si è presentato ai discepoli apparendo in mezzo a loro prodigiosamente, nonostante fossero sbarrate le porte del cenacolo per paura dei Giudei. In tale circostanza gli apostoli sono incerti, dubbiosi e come rileva anche Luca a proposito dei discepoli di Emmaus e della seguente apparizione, certamente erano anche increduli. Marco addirittura descrive che, apparso agli Undici mentre erano a tavola, dovette rimproverarli per la loro incredulità e durezza di cuore, anche perché non avevano creduto neppure alle testimonianze di altri su di lui (Mc 16, 12 -14). Tuttavia la pazienza di Gesù si rivela subito nella fiducia che egli accorda ai suoi discepoli, nonostante non avessero compreso, dalle parole della Scrittura, che il Cristo avrebbe dovuto patire, essere riprovato e perseguitato, morire per poi appunto risorgere. Nonostante non avessero prestato attenzione al suo messaggio e adesso vedano distorto il prodigio della Resurrezione, non credono. Ma Gesù dimostra pazienza nella fiducia: alita su di loro e infonde lo Spirito Santo per la remissione dei peccati. Si tratta della prima effusione, quella del ministero specifico del perdono. La seconda effusione, che li spronerà nella predicazione e nell’annuncio del Risorto, avverrà il giorno di Pentecoste. Già in questa prima effusione Gesù si avvale della ministerialità e della mediazione dei suoi apostoli e questa costituisce un’immeritata dimostrazione dell’amore paziente e fiducioso che Gesù accorda ai suoi, consapevole che comunque, in forza dello Spirito Santo, lui sarebbe stato sempre assieme a loro e avrebbe anzi agito nella loro persona.
Pazienza e fiducia che si ripetono nel famoso episodio dell’incredulo Tommaso, il quale non si accontenta della testimonianza dei suoi compagni, ma vuole toccare con mano, fare esperienza, avere la certezza e non solo la parola indiretta. Non è la prima volta che questo discepolo usa titubanza nei confronti di Gesù: quando questi aveva invitato i suoi a seguirlo a Betania, spiegando che sarebbe andato a “risvegliare Lazzaro dal sonno “, Tommaso esclamò: “Andiamo anche noi a morire con lui (Gv 11, 16). Adesso i volti radiosi dei compagni che gli parlano dell’apparizione miracolosa di Gesù dovrebbero quanto meno porgli il problema ed entusiasmarlo, o quantomeno suscitare in lui una volontà di ricerca, e invece Tommaso manifesta ancora la sua mancata volontà di accettare quello che per tutti, anche per noi, è il mistero culminante della fede in Gesù: la resurrezione. Questo personaggio è stato tacciato di incredulità e di ostruzionismo alla fede, ma in realtà non si può imputare eccessiva colpa a questo apostolo, dal momento che, come già descritto, anche altri suoi fratelli si mostrano refrattari alle testimonianze e ai giuramenti altrui, soprattutto a quelli di Maria Maddalena. Anzi, anche Pietro chiese a Gesù, che camminava sulle acque, di identificarsi con un segno tangibile: “Signore, se sei tu comanda che io venga da te sulle acque”(Mt 14, 28 – 29); l’unica differenza fra Pietro e Tommaso è data dalla circostanza: Pietro si trovava di fronte a un prodigio particolare di Gesù, Tommaso nella circostanza della Resurrezione. Il tentennamento e il dubbio sono analoghi.
D’altra parte è pur vero che non è possibile dar credito a qualsiasi racconto verosimilmente frutto di fantasia o di spiccata emotività, quale potrebbe anche risultare, in casi come questi, quello dei fratelli di questo discepolo di Gesù. Credere in ciò che si vuol credere è ricorrente anche al giorno d’oggi, soprattutto nelle occasioni di lutto e di dolore come nel caso della psicofania e della divinazione: genitori disperati per la perdita dei loro figli vogliono credere a tutti i costi di sentire qualche loro presunto messaggio dall’aldilà. Ma dar credito alle fantasie e alle leggende, senza speculare o razionalizzare almeno sul necessario, è sconveniente e deleterio.
Sia quel che sia, Tommaso è lo stereotipo del credente comune sorpreso non di rado dal dubbio e dall’incertezza, perché accettare determinati argomenti o accogliere certe testimonianze non sempre è facile. Il titolo di un libro di Karl Ranher si intitolava “La fatica di credere” e di fatto la fede è comunque un’esperienza faticosa. Non va dimenticato del resto che la nostra religione si fonda sull’irrazionale, sul dogma e sotto certi aspetti, umanamente parlando sull’ “assurdo”. Si preferisce “provare per credere”, ossia toccare con mano, fare esperienza, conoscere tangibilmente.
Ripetiamolo: credere in qualsiasi cosa è spesso ingannevole, aprirsi al mistero non comporta passività ma partecipazione attenta quanto la prudenza e la discrezione; rimane però il fatto che la fede è “il fondamento delle cose che si sperano, la prova di quelle che non si vedono (Eb 11, 1) e di fronte alla Parola di Dio (che aveva già parlato di Gesù in Mosè e nei profeti) l’unica risorsa congeniale è quella di aprire il cuore, affidarsi, donarsi senza riserve e vivere. In una parola, credere. E’ quello che Gesù chiede nella sua osservazione “Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno” e che elogia anche Pietro ai destinatari dispersi della sua lettera: “Voi lo amate (Gesù) senza averlo visto, e adesso, senza vederlo, credete in lui (1Pt 1, 8). E aggiunge che questa fede incondizionata, libera e disinvolta è matrice di gioia e conseguirà in noi il suo vero obiettivo: la salvezza delle anime. E’ sempre meglio non soccombere al dubbio e alla perplessità, ferma restando la prudenza e l’attenzione su ogni cosa; occorre reagire al dubbio incentivando la fede e atteggiarci con umiltà chiedendo aiuto allo stesso Signore nella “fatica di credere”, come quel genitore afflitto che professava a Gesù “Io credo, Signore, ma aiuta la mia incredulità”(Mc 9, 24).
Come si diceva, Gesù mostra somma pazienza con la nostra ostinazione e la nostra incredulità, anche assecondando le nostre pretese. Pur ricordandoci che l’unico segno lampante è il segno di Giona (cioè appunto la sua resurrezione e non altro), non manca di esortarci a volte anche con elementi tangibili con l’unico obiettivo di averci in comunione con sé. Un obiettivo di indiscussa misericordia.
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