II domenica di Quaresima
In questi giorni, una trasmissione radiofonica parlava dell’imminente viaggio di papa Francesco in Iraq, il prossimo fine settimana; un viaggio che avviene nel nome della fratellanza fra i popoli, in particolare fra le tre grandi religioni monoteiste che riconoscono il loro padre comune in Abramo, originario, secondo la tradizione, di Ur dei Caldei, attualmente appunto in territorio iracheno. In questa trasmissione, uno degli ospiti sottolineava come caratteristico di Abramo fosse il suo stare perennemente in cammino: e questo, non solo per il fatto di essere un nomade e grande possessore di capi di bestiame (per cui, obbligato a cercare ogni volta pascoli migliori), ma anche perché sempre mosso dal desiderio di seguire e incontrare Dio, e questo avviene per lui in luoghi ogni volta differenti, e in situazioni ogni volta nuove. Sappiamo come Dio, all’inizio della sua vicenda storica gli chiese di intraprendere il grande cammino della sua vita, da Ur, in Mesopotamia, fino alla terra di Canaan: in linea d’aria circa 1000 chilometri, che a piedi divennero quasi il doppio, perché non si poteva certo attraversare il deserto arabo con una carovana di persone e di animali. Ma una volta giunto in prossimità della terra promessa, il suo cammino non si concluse: varie furono le tappe del suo peregrinare prima di giungere alla sistemazione definitiva (ma comunque di tipo nomade) alle querce di Mamre, in quanto dovette prima sostare a lungo per via della presenza dell’anziano padre che morì a Carran, poi fu costretto anche a prendere la decisione sofferta, ma necessaria, di separarsi da suo nipote Lot per assicurare una pacifica convivenza fra le due rispettive tribù. E comunque fu un uomo che stette ben poco fermo, perché ebbe anche l’incombenza di doversi difendere dagli attacchi di varie popolazioni nemiche, intraprendendo alcune campagne di guerra.
Fino a giungere a un ultimo, drammatico viaggio, intrapreso in età molto avanzata, che ci viene raccontato nella prima lettura di oggi: il viaggio verso il territorio del monte Moria, sul quale Dio, il suo Dio, il Dio della promessa, gli aveva chiesto la più terribile e incomprensibile delle prove di fedeltà nei suoi confronti, il sacrificio di Isacco, il figlio unico e amato a partire dal quale avrebbe dovuto realizzare la promessa, la creazione del popolo dell’alleanza. Questa alleanza veniva ora messa totalmente in discussione dall’ultima tappa del cammino della sua vita: eppure Abramo la affronta, non si ferma, convinto che se Dio gli chiede una prova, è perché sa quello che fa. E così avviene.
Certo, credo che nessuno di noi possa dire con certezza di avere la stessa convinzione e la stessa fede di Abramo: eppure, anche a noi Dio chiede di metterci in cammino, sin dal primo istante della nostra vita, da quando ancora “gattoniamo”, fino a quando ci viene data “la terza gamba” e oltre…fino all’ultimo grande Viaggio. Questo cammino che si snoda lungo il sentiero della Vita ha le sue incognite, le sue fatiche, i suoi momenti di riposo, le sue pause… ad ogni modo, non si ferma mai, non può fermarsi mai. “Chi si ferma è perduto!”, diceva il celebre titolo di un film comico degli anni ’60 divenuto poi una sorta di slogan; un’altra celebre frase (di cui non dirò l’autore per evitare di essere connotato politicamente) recitava “Se avanzo, seguitemi; se mi fermo, spingetemi; se retrocedo, eliminatemi!”, per dire con quanta convinzione il cammino della vita non si debba mai fermare, nemmeno di fronte alle prove più dure, nemmeno di fronte alle fatiche più insuperabili, nemmeno – per chi crede – di fronte a un Dio che chiede l’impossibile.
Perché il nostro Dio non è un Dio che ci comanda di camminare; è un Dio che cammina con noi, che ci accompagna, che ci porta, certo, in cima a un alto monte, isolato, dove ci si può anche sentire soli: ma lui è con noi. Ed è in cima a questo monte, è al termine di questo faticoso cammino che il Signore si “trasfigura”, ci rivela “il meglio di sé”, ci fa vedere le cose belle e gloriose che la vita ci riserva, se abbiamo il coraggio di continuare a camminare dietro a lui e con lui.
A patto che ci sentiamo sempre in cammino; a patto che non smettiamo mai di camminare; a patto che non ci sentiamo mai appagati, mai realizzati, perché il rischio peggiore è quello di volersi fermare, soprattutto quando il cammino ci conduce a pause di felicità, di gioia, di serenità, e vorremmo che quei momenti non finissero mai. La tentazione di “piantare la tenda” è sempre dietro l’angolo; la tentazione di “fare delle capanne” perché “è bello stare qui”, come Pietro sul monte della Trasfigurazione, è spesso più forte del desiderio di rimettersi in piedi e di tornare a camminare.
Anche perché la strada del ritorno dal monte non è sempre facile, e di certo non lo è solo per il fatto di essere in discesa. Le nubi sono sempre in agguato; la nebbia che ci impedisce di vedere dove mettiamo i piedi è un’insidia che ci porterebbe, responsabilmente, a prendere la decisione di fermarci e ad aspettare. Invece no: la nostra Guida ci impedisce di stare fermi. Ci dice di continuare a camminare, di continuare la nostra discesa. Ci dice di fidarci e di metterci in ascolto della sua Parola, che ci fa capire dove, bene o male, mettere i piedi, fissare i nostri passi, uno dopo l’altro, per arrivare fino a valle.
Non è facile, continuare a camminare: la paura, la stanchezza, la fatica, il timore di non farcela, di perdere la strada, e spesso anche il desiderio di sentirsi “a posto”, di stare bene in un luogo sicuro piuttosto che affrontare l’incertezza di un nuovo tratto di strada, sono una tentazione troppo forte, talmente forte che a volte il buon senso ci porta a dire “basta così”.
No, non smettiamo mai di camminare dietro a lui; faremo fatica, zoppicheremo, ci lamenteremo per le fiacche sotto i piedi… ma finché siamo in cammino siamo vivi, e finché siamo vivi, il Dio della Via è con noi.
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