II domenica dopo Natale
La liturgia di questa domenica ripropone il Prologo del Vangelo di san Giovanni, proclamato solennemente nella terza messa del giorno di Natale. Questo mirabile testo esprime, nella forma di un inno, il mistero dell’Incarnazione, predicato dai testimoni oculari, gli Apostoli, in particolare da Giovanni il quale, come afferma san Cromazio di Aquileia: «era il più giovane di tutti i discepoli del Signore; il più giovane per età, ma già anziano per la fede».
Quando leggiamo: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio», l’Evangelista – paragonato tradizionalmente ad un’aquila – si eleva al di sopra della storia umana scrutando le profondità di Dio; ma ben presto, seguendo il suo Maestro, ritorna alla dimensione terrena dicendo: «E il Verbo si fece carne». Il Verbo, afferma J. Ratzinger, è «una realtà vivente: un Dio che… si comunica facendosi Egli stesso Uomo». Infatti, attesta Giovanni, «venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria». «Egli – commenta san Leone Magno – si è abbassato ad assumere l’umiltà della nostra condizione senza che ne fosse diminuita la sua maestà». Secondo sant’Agostino queste parole andrebbero scritte a caratteri d’oro sul frontespizio di ogni chiesa.
Ebbene, il Logos, la Parola, il Verbo di Dio si è fatto carne, uomo, persona umana come noi. L’infinito si è fatto finito, l’invisibile si è fatto sensibile. La Parola di Dio, quindi, è entrata nella nostra umanità, è diventata soggetto di storia, parte attiva nelle vicende umane.
La parola «carne» indica anche che Gesù ha scelto una modalità umile per presentarsi all’umanità. Lui, seconda persona della Santissima Trinità e Figlio di Dio, si è abbassato facendosi in tutto simile a noi fuorché nel peccato.
Il Logos si è fatto «carne»: è la stessa parola (sarx) che Giovanni usa per indicare l’Eucaristia (cf Gv 6, 51-52). Questa Parola che si è fatta carne ha donato se stessa per salvare tutti noi e, di questa carne, noi abbiamo il grande onore e privilegio di potercene nutrire: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo» (cf Mt 26, 26).
Gesù, Parola di Dio, è colui che illumina ogni uomo: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Questa luce, che è stata testimoniata dal Battista, si fa rivelazione del vero volto di Dio e dei suoi progetti. Nell’Antico Testamento si legge: «tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (cf Es 33, 20). Questo è il modo per esprimere la santità di Dio, la verità del Dio che non può ricevere un volto dall’uomo, ma che mostra lui stesso la sua immagine e si consegna per farsi conoscere nella sua Parola. Ecco perché il credente dell’Antico Testamento chiede con insistenza a Dio di mostrargli il suo volto: è la domanda di Mosè (cf Es 33, 18), è l’invocazione del salmista (cf Sal 43, 3; 63, 3), ma questo volto è svelato all’uomo solo al di là della morte.
Ebbene, l’umanizzazione di Dio in Gesù ha reso possibile la visione del suo volto già qui sulla terra, sicché nella conclusione del prologo, l’evangelista Giovanni scrive: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato». Ciò significa che chi vede il Cristo, chi contempla la sua vita conosce il Padre, perché nella carne di Gesù il Dio invisibile ha reso visibile la sua gloria. Cristo Gesù, dunque, è l’epifania, la manifestazione di Dio per gli uomini.
Giovanni, inoltre, annota che: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». L’apostolo vuol dirci che questa luce è destinata a suscitare la fede e a separare gli uomini in credenti e non credenti, tra chi si lascia illuminare e chi preferisce le tenebre; ma, chi accoglie la luce diventa figlio di Dio: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».
Ed infine, leggiamo ancora nel Prologo: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia». Qual è la prima grazia che abbiamo ricevuto? – si chiede sant’Agostino e risponde – «È la fede». La seconda grazia, subito aggiunge, è «la vita eterna».
Gli ebrei erano orgogliosi di poter dire di avere Dio vicino, così vicino ogni volta che lo invocavano (cf Dt 4, 7). Noi possiamo dire molto di più, perché Dio per parlarci si è fatto visibile, uomo tra gli uomini, ha assunto la nostra carne. In questo mistero dell’Incarnazione Gesù, sapienza di Dio – abbiamo ascoltato nella prima lettura – scende tra gli uomini, alza la sua tenda in Giacobbe e condivide fino in fondo l’esperienza umana.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo dice ai cristiani di Efeso di lasciarsi guidare dalla sapienza, per condividere la vita di Dio. Una sapienza che faccia comprendere a quale speranza siamo stati chiamati. San Leone Magno dice: «Riconosci o cristiano la tua dignità!».
Chiediamo a Dio Padre, re d’eterna gloria, che nel suo unigenito Figlio, sapienza incarnata, ci ha scelti e amati prima della creazione del mondo, di illuminarci con il suo Santo Spirito, perché accogliendo il mistero del suo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno.
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