III domenica del tempo ordinario
“Conversione” è una parola importante, anche nei suoi sinonimi e significati, forse una delle parole che ben descrive quel processo di “ritorno” a Dio che è allo stesso tempo scelta di vita, e affermazione della volontà personale di perseverare sulla strada migliore che porta a Lui.
Non dobbiamo infatti dimenticare che l’azione della “conversione” senza “perseveranza” rimane una parola vuota, che lascia il tempo che trova e presto viene cancellata dalle nebbie del dubbio o dalle male abitudini che trascinano “in basso”. Dubbi e mali costumi che invece di farci seguire la strada “sicura” ce la fanno perdere!
Le letture di questa domenica ci fanno riflettere in maniera piuttosto forte sulla conversione: Giona, profeta scontento perché inviato dove non vuole, è mandato agli abitanti di Ninive per richiamarli a conversione, per avere salva la vita e non essere distrutti. Certo Giona rimarrà un po’ deluso dal fatto che la sua predicazione ha successo, e che Dio, a sua volta, si converte verso gli abitanti di Ninive e li salva dal male promesso, ma ciò che toglie ogni dubbio sulle buone intenzioni dei niniviti sono i loro atteggiamenti che dicono qualcosa che va oltre le parole: digiuno e vestirsi di sacco, atteggiamenti seri a cui nemmeno il Re Davide, a sua volta, si sottrae, atteggiamenti che dicono che la strada per loro è effettivamente cambiata, dal male al bene, nonostante non appartengano al popolo di Israele, e non è dato sapere quale era, in particolare, la condotta sbagliata prima della conversione!
Anche San Paolo nella seconda lettura ricorda ai Corinti un dato di fatto che dovrebbe relativizzare le loro pazzie: il tempo è breve, tutto quello che questo mondo ci dà -anche e soprattutto nelle cose buone- è relativo, e va vissuto in maniera relativa al dato di fatto del Vangelo che i Corinti hanno già ricevuto, e che senza una perseveranza nella conversione ad esso tutto è inutile, perché questo mondo è destinato a “passare”, mentre la fede in Cristo ed il Suo Vangelo no, anzi, sono l’unico futuro!
Anche la pericope del Vangelo di Marco da subito sottolinea l’opera profetica di Giovanni con il suo richiamo a convertirsi e credere al Vangelo, e senza questa premessa sarebbe difficile capire gli altri versetti che ricordano la chiamata dei primi discepoli che, impegnati nelle loro giuste e lecite attività di vita, ricevono una chiamata alla conversione verso la strada migliore di tutte, il Vangelo in persona, Gesù!
Specialmente nel brano del Vangelo possiamo riflettere che la conversione in se è importante se la strada è quella della fede nel vangelo, cioè nella Salvezza che diverrà evidente ed operativa in Gesù, con la sua Passione, Morte e Resurrezione. Nella chiamata dei primi discepoli, dobbiamo anche sottolineare che convertirsi al Vangelo non vuol dire necessariamente “ravvedersi” e cambiare strada da una condotta malvagia (i discepoli erano infatti tutti Ebrei, onesti lavoratori, osservanti dei doveri familiari) ma prendere con decisione una strada migliore di quella seguita sino ad un dato momento, mettersi alla sequela di qualcuno che è molto più importante di qualsiasi altra cosa buona che possiamo aver ricevuto o costruito durante una vita onesta ed altrettanto buona, fermo restando, comunque, una decisa e ferma rinuncia al male ed al peccato.
Nella conversione dell’essere umano a Dio, alla sua salvezza, le differenze fra “buoni e cattivi” prima della conversione si annullano – la vita e la conversione di san Paolo insegnano -, e questo annullamento, oblio di ogni male, ma anche di ogni bene precedente, ci da le dimensioni dell’importanza del Vangelo, della fede, ma sopratutto della conversione ad esso: coloro che veramente si decidono e si convertono al Vangelo capiscono di aver trovato l’unica cosa che conta nella vita, il tesoro per cui vale la pena vendere tutto e comprare addirittura il campo dove è sepolto; capiscono d aver trovato la “perla preziosa” per cui vale la pena vendere tutti gli altri beni per averla. Un vero “convertito” entra in una dimensione nuova e totalizzante della sua vita, non interessano più le “cose di prima” ma le “cose nuove” fatte da Colui di cui ci mettiamo alla sequela.
Un conoscente, che reputo un simpatico amico, ma un poco indeciso sulla fede e sul Vangelo, pur essendo un battezzato, ma scarsamente praticante, recentemente mi ha posto questa domanda: “…in fondo, io, che non faccio male a nessuno, non rubo, non uccido e se posso fare del bene lo faccio, anche se ho i miei “peccatucci”, posso sperare che Gesù mi porterà con se quando morirò?”. Ho potuto solo rispondergli: “Gesù vuole sicuramente che tu vada con Lui! E dopo quello che Egli ha pagato per salvarci posso assicurartelo, ma la domanda vera è: se hai capito che andare con Gesù nella vita eterna è una cosa assolutamente importante, altrimenti non mi avresti fatto la domanda, e che per questo hai ricevuto la fede ed il Battesimo, sei disposto a perseverare su questa strada già adesso? Cos’è che ti impedisce di lasciare i tuoi peccatucci?”
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