III domenica del tempo ordinario
Pronti…via! Si parte! Inizia la nostra “avventura” in compagnia dell’evangelista Matteo, che da oggi scandirà il ritmo dei nostri passi durante il percorso del Tempo Ordinario, fino al termine dell’Anno Liturgico, eccezion fatta per il periodo quaresimale e pasquale. Il vangelo che si rifà alla figura del pubblicano di Cafarnao, in realtà è il frutto del lavoro di una comunità; una comunità molto particolare, quella di Matteo, perché composta per la maggior parte da gente che proveniva dal mondo giudaico, dalla fede ebraica (non così per gli altri evangelisti, che avevano a che fare con gente proveniente per lo più dal mondo greco o comunque pagano). Era una comunità, quella di Matteo, situata con ogni probabilità in Etiopia, in Africa: e se la componente principale era di gente proveniente dal giudaismo, tuttavia risentiva di influssi esterni che spingevano verso un rinnovamento della fede ebraica in vista del riconoscimento di Gesù come Messia.
Insomma, la comunità di Matteo era combattuta tra chi avrebbe voluto rivoluzionare la fede ebraica in nome della novità del Vangelo e chi, invece, avrebbe voluto mantenersi fedele alla tradizione dei padri pur riconoscendo Gesù come il Messia. Matteo è chiamato quindi a scrivere un Vangelo che tenga conto di questo, soprattutto puntando a dimostrare chiaramente che Gesù fa nuove tutte le cose e porta a compimento le promesse dell’Antico Testamento. Addirittura, nel suo Vangelo si preoccuperà di mostrare che Gesù non solo è il discendente di Davide, il figlio della promessa di Dio, ma il nuovo Mosè, colui che è venuto a liberare il suo popolo. Da quale schiavitù? Quella del peccato o quella di Roma? I suoi contemporanei pensavano più alla seconda, al punto che lo metteranno a morte per quello: Matteo ci aiuta invece a capire che Gesù vuole liberarci da una visione sbagliata di Dio. Dio non è più quello del Monte Sinai, dei Dieci Comandamenti, della Legge data a Mosè, delle istituzioni, del tempio di Gerusalemme e dei sacerdoti: Dio è il Dio delle periferie, degli ultimi, dei poveri, dei lontani, dei pagani, della Legge basata sull’Amore, delle Beatitudini.
E allora, prima che settimana prossima Gesù proclami la sua Nuova Legge (con il discorso della Montagna, appunto), oggi inaugura il suo ministero proprio a partire dagli estremi confini del Regno d’Israele, dalle periferie, da luoghi che tutti consideravano privi della presenza di Dio perché vi si era radunata un’accozzaglia di gente molto poco raccomandabile. Il Nord della Galilea, infatti, era stato invaso da varie popolazioni proprio perché ai confini del Regno, ed era divenuto una sorta di campo profughi permanente, dove non esistevano regole, dove la gente viveva di espedienti, dove ogni tanto l’esercito romano veniva a compiere spedizioni punitive perché covo di terroristi. E Gesù parte da lì, dopo che Giovanni viene arrestato: sente che la “Galilea delle Genti”, quell’accozzaglia di popoli, è più sicura della Giudea, di quella Gerusalemme che arresta e ammazza i profeti.
Perché è sempre così: Dio non va nei luoghi del potere, dove l’apparente sicurezza alla fine te la fa pagare. Dio va nei luoghi più sperduti, apparentemente pericolosi e poco raccomandabili, d’altronde, quella è la sua terra; ma nemmeno sceglie il suo paese di Nazareth, va piuttosto a Cafarnao, ancor più al limite, in zona di frontiera e di dogane (oggi diremmo di contrabbando), perché vuole essere luce per chi sta nelle tenebre, e da lì non grida invettive né minaccia distruzione, tutt’altro. Annuncia che “il Regno di Dio è vicino”. E poi inizia a scegliere i suoi collaboratori, i suoi discepoli, quelli che devono annunciare il Regno, gli uomini che Dio ha scelto perché aiutino il Messia a salvare il suo popolo. Quindi, ci vuole gente preparata: gente che ha studiato, che sa teologia, che conosce la Bibbia, che “ha fatto il seminario”… Infatti… i primi quattro – oltre che galilei – sono pescatori, categoria disprezzata perché compivano un lavoro considerato impuro in quanto a contatto con pesci buoni e cattivi, perché erano sempre immersi nel “mare”, luogo biblico per eccellenza del “male” del mondo. Li chiama, li sceglie senza tanti colloqui di lavoro o presentazione di curriculum: a lui è sufficiente guardarli negli occhi.
Ma propone loro qualcosa che cambierà la loro vita: diventare “pescatori di uomini”. Se fino ad ora avevano tolto il pesce dal suo ambiente vitale per dargli morte, ora toglieranno gli uomini dal mare del peccato per dare loro vita. E per fare questo, le reti, la barca e il padre non servono più: di certezze la vita ne ha gran poche, e di sicuro non sono quelle della quotidianità. L’unica cosa certa della loro vita, adesso, è il loro Maestro. Questi sono i primi quattro, e sono già scandalosi per i motivi di cui sopra: tra gli altri che sceglierà, nessuno scriba, nessun fariseo, nessun dottore della legge, nessun sacerdote, bensì l’usuraio che sta narrando questi stessi fatti, un terrorista del gruppo degli zeloti, e qualcuno che un po’ di dubbi sulla sua persona li avrà sempre, anche dopo che l’avrà visto risorgere. Come se non bastasse, ne sceglierà anche uno che poi lo tradirà.
Ma Dio è così: di certezze umane ne vuole poche, al suo seguito, non sa che farsene, l’unica certezza è lui e il rapporto col Padre suo. Ora, bisogna farlo capire al popolo d’Israele, che è proprio come la comunità di Matteo: alcuni sono legati alla certezza della sinagoga e del tempio (e lì andrà a “insegnare”, cioè a fare il dottore della Legge, il cattedratico), altri invece vivono nei villaggi e sono piagati nel corpo e nello spirito. A quelli non insegna nulla, per ora: solo, annuncia che è arrivato il Regno di Dio e guarisce ogni sorta di miseria e di infermità.
Ce n’è per tutti, insomma: basta avere voglia di credere in lui e di seguirlo. Ma siamo solo all’inizio…