III domenica di Avvento

Con la Terza Domenica di Avvento, si accoglie l’invito che Paolo rivolge ai Filippesi: “Siate lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza presentate a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti (Fil 4, 4 – 6).

La gioia a volte viene considerata come un argomento banale e superfluo, o comunque non attinente all’ordinarietà della nostra vita, ma come cristiani dovremmo al contrario esserne l’irradiazione per tutti quanti, darne testimonianza e rendere manifesta la letizia e la consolazione.

Dovremmo anzi ritenere pertinente la domanda a noi stessi: siamo davvero contenti della venuta prossima del Signore? Avvertiamo la gioia o almeno la soddisfazione di appartenere a Colui che è, che era e che viene (Ap 1, 8)? Il cristiano dovrebbe rifulgere di gioia e di letizia nell’ordinarietà della sua vita, atteggiarsi con serenità e pazienza anche nelle avversità e nelle lotte estenuanti. Dovremmo coltivare sempre la speranza e la determinazione, reagire con forza e con risolutezza nel far fronte alle nostre sfide e accogliere il dolore come un’opportunità che accresce la forza e la virtù. Quindi in ogni circostanza sarebbe appropriato sorridere e usare ottimismo e fiducia, anche se in effetti non sempre questo è facile. :

Se osserviamo il mondo e la realtà attorno a noi, la contentezza che solitamente si vive in questo periodo è data dall’imminenza dell’interruzione dell’anno scolastico, dalla predisposizione del pranzo di Natale con i relativi inviti di parenti e amici, dalla programmazione di viaggi e crociere o passeggiate fuori porta e dall’arrivo dei figli che risiedono altrove e che a Natale verranno a trascorrere con noi almeno sette giorni. Tutto questo non smentisce la gioia e la letizia a cui il Bambino ci invita, anzi la esalta ed è molto entusiasmante anche la fantasmagoria delle luci per le strade ad accrescere in noi lo spirito di soddisfazione dell’arrivo del Dio Bambino. Tuttavia la vera gioia dev’essere fondata sullo stesso Signore Verbo Incarnato, Dio che si fa uno di noi per infonderci fiducia e speranza e per indicarci gli itinerari perché la gioia consegua la salvezza e la felicità.

La libertà è motivo ulteriore di rallegramento e di letizia. Essa lo è ancor di più quando è la risultante di un’avvenuta liberazione che ci ha riscattati.

Sofonia, nel breve poema di cui alla Prima Lettura, annuncia la gioia della liberazione del popolo di Gerusalemme oppresso e vessato dalla schiavitù di Babilonia; gli abitati della città di Gerusalemme saranno liberati e questo li rende lieti. Come quando (io ricordo nel 1989) cadde il muro di Berlino e tutti coloro che avevano vissuto sul lato est della città si sentirono affrancati da un’occlusione che li pervadeva da tanti anni e ora potevano migrare liberamente verso l’Occidente. La liberazione è aspirazione costante insita nell’animo umano e colmare le nostre lacune, trovare ciò che ci realizza abbattendo ogni ostacolo oppressivo vuol dire essere liberati da ogni vincolo e da ogni ostacolo che ci opprime. Essere liberati poi al peccato, che è il morbo della nostra convivenza per il solo fatto che allontana da Dio, è motivo di ulteriore esultanza.

San Giovanni Battista, che appare nella pagina evangelica odierna, non smentisce l’esultanza e la letizia che deve comportare la prossima venuta del Salvatore. Al contrario, la esalta con l’annuncio che “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” che sarà al presente e nell’altra vita. Ciononostante, il precursore pone una condizione perché noi si possa godere della gioia che ci viene data dal Verbo che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1, 14). Occorre che convertiamo il cuore all’arrivo di Dio e che speriamo in Qualcuno che appunto viene per noi. Del resto è proprio lo stesso Signore che ci mette al corrente del nostro peccato e della sua subdola e ingannevole identità.

L’amore di Dio in Gesù Bambino ci è ormai manifesto e grazie ad esso ora scopriamo la realtà del peccato e ne prendiamo coscienza. Gesù ci ha rivelato l’amore di Dio Padre ma allo stesso tempo ci ha anche resi consapevoli dell’entità del peccato e di chi ne è la causa: “Se non fossi venuto e non avessi parlato, non avrebbero alcun peccato, ma ora non hanno scusa per il loro peccato (Gv, 15, 22). Gesù ci ha resi consci del nostro peccato e del nostro errore, ci ha convinti di esso (Gv 16, 8 – 12) e lo Spirito Santo ci ha dato la luce necessaria per conoscere la nostra situazione, i nostri limiti, per scoprire le nostre responsabilità e per infonderci amore verso la libertà dei figli di Dio. “L’amore di Dio scopre la vera paura e il vero inferno”(Von Balthasar). In ragione di questo, non possiamo che sentirci spronati ed entusiasmati nel procedere speditamente nell’incontro che il Dio Fanciullo che viene, possiamo considerare nostra necessità e privilegio unico la possibilità di correre verso il Bambino per poi camminare insieme a lui.

Del resto, Paolo ammonisce che l’amore di Dio non cade a vuoto. Osserva Paolo infatti che non ci si può prendere gioco della ricchezza della bontà di Dio, della sua tolleranza e della sua pazienza, ma pur potendo confidare nella misericordia, va riconosciiuto che l’amore di Dio spinge alla conversione (Rm 2, 4).

Riconosciuto peraltro come il Creatore della nostra casa comune e provvidente nel nostro habitat, Dio deve essere il primo dei nostri obiettivi così come per Lui l’uomo è stato il suo obiettivo primario di amore e di salvezza e questo produce che si reimposti la vita secondo i valori inalienabili della giustizia, dell’amore e della solidarietà perché possiamo rendere conforme il nostro vissuto all’immagine del Dio Bambino.

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