IV domenica di Avvento
Che bella, la vita dei bambini piccoli, soprattutto quella dei neonati! Mangiano, ridono, giocano, dormono, e sono privi di preoccupazioni. E se a volte strillano, è perché una di queste cose manca loro, e fanno di tutto per ottenerla. Poi, però, si cresce, e quella beata e innocente semplicità che fa dormire sonni tranquilli, a poco a poco viene meno e progressivamente ci abbandona del tutto. Ci piacerebbe tanto, a volte, tornare bambini, e non avere altra preoccupazione se non mangiare, dormire e sorridere alla vita. Ma non è così: purtroppo o per fortuna si cresce, e la beatitudine lascia il posto alla cruda realtà della vita dove, per sopravvivere, devi lottare e tirare fuori gli artigli. Che sarebbe il meno peggio, alla fine: ci sta, di lottare e faticare durante il giorno per guadagnarsi il pane quotidiano. Ma che anche la notte, spesso, diventi una lotta e una fatica, questo è un po’ più difficile da accettare. Certe notti – e per qualcuno sono numerose – paiono interminabili, infinite, perché la mente non riesce a prendere sonno, a volte perché il corpo con i suoi acciacchi glielo impedisce, a volte perché è la mente stessa che si diverte a stare sveglia, facendo passare dentro e davanti a sé tutti i pensieri immaginabili e possibili.
E le ore non passano più. Per fortuna, nemmeno i campanili, nella stragrande maggioranza dei casi, scandiscono più le ore, altrimenti sentire il tempo che passa accompagnando una notte insonne diventerebbe ancora più angosciante; o forse, può anche far piacere sentire il rintocco delle campane che, forse, ci fa sentire meno soli, appartenenti – nonostante la notte infinita – a una comunità viva.
Quando, poi, non ci si mettono i sogni brutti, a fare la loro parte: forse saranno le conseguenze di un programma televisivo serale poco romantico, o forse la forchetta della sera un po’ più abbondante del solito, o forse anche solo la mente che durante il giorno è assorbita da mille preoccupazioni le quali, invece di starsene in soggiorno, in cucina, in ufficio o in fabbrica ad attendere l’alba, si infilano con noi sotto le coperte e ci tormentano. E magari, nelle notti precedenti, avevamo fatto dei sogni tanto belli che, al risveglio, avremmo voluto non svanissero nel nulla, e continuassero a darci pace e serenità… Invece, certe notti, sono proprio gli incubi ad avere la meglio sui sogni.
Avrà sognato anche Giuseppe, prima di vivere l’incubo di certe notti. Un incubo durato parecchie notti, forse, tanto da riuscire a sconvolgere radicalmente i sogni fatti pensando a Maria, la sua fidanzata, con la quale stava preparando casa, pronti a vivere – come si dice – “due cuori e una capanna”, nella semplicità, progettando una famiglia con tanti figli e tanti parenti, com’erano allora le famiglie di Nazareth. Sogni, come dicevo, infranti dall’incubo di certe notti, causate da ciò che – purtroppo – incubo non era, e neppure sogno, bensì una cruda e drammatica realtà: incredibile, inimmaginabile, ma purtroppo realtà. La realtà di diventare padre di un figlio non suo, ma solo della sua promessa sposa. E per quanto poetica e piena di alti tratti di spiritualità potesse essere stata l’annunciazione a Maria, da un punto di vista genuinamente umano, nel cuore di Giuseppe rimaneva l’atroce dubbio relativo al suo futuro: un figlio non suo, avuto non si sa bene da chi, che lo costringeva a prendere delle decisioni riguardo al suo rapporto con Maria. Ed ecco che i sogni si trasformano in incubi e tormenti, e le notti magiche e piene di fascino diventano “certe notti”, notti oscure, passate a rigirarsi sul giaciglio, a cercare la posizione migliore per non vedere la luce e nascondersi dalla vista di certi fantasmi che aleggiano nella stanza, e che hanno i nomi più terribili: “adulterio”, “tradimento”, “violenza”, “accusa”, “lapidazione”, “ripudio”, “licenziamento in segreto”, “abbandono”… E pensare che, prima, Maria era solo motivo di pensieri felici, puri, santi, immacolati, irreprensibili, dolci, romantici, e chi più ne ha, più ne metta.
Perché, ora, questo tormento? E soprattutto, perché Dio, dietro tutto questo? Sarà stato davvero lui? Potrà ancora, Giuseppe, sperare e avere fiducia nel Dio dei Padri, delle promesse, delle attese, della vita? Mi immagino già Giuseppe pregare con le parole di un altro salmo: “E ho detto: Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo”.
Ma Dio è fedele, e non abbandona il giusto suo servo. Dio torna a far sognare Giuseppe. Gli incubi lasciano spazio ai sogni, e nei sogni Dio torna a parlare, e invita Giuseppe ad avere fiducia: “Non temere, Giuseppe”. Non avere paura, Giuseppe: continua a sognare, perché Dio non smette mai di sognare con te e per te. Quel che è generato in Maria viene dallo Spirito, e lo Spirito – si sa – soffia dove vuole e fa quello che vuole, ma lo fa bene, e lo fa sempre per il bene.
Non avere paura, Giuseppe, e continua a sognare: perché nessuno è mai morto di sogni, chi uccide sono gli incubi.
Non avere paura, Giuseppe, e continua a sognare un futuro di amore e di luce con Maria e con quel figlio che nascerà, a cui tu darai il nome, perché di fronte al mondo e alla storia sarà sempre tuo figlio.
Non avere paura, Giuseppe, e continua a sognare, pensando a quel nome, Gesù, di fronte al quale si piegherà ogni ginocchio in cielo, sulla terra e sottoterra, e sarai stato tu a darglielo.
Non avere paura, Giuseppe, e continua a sognare nonostante tutto, ma insegna anche a noi a sognare: aiutaci a non smettere di sognare, anche quando i sogni hanno le tinte buie e crude degli incubi.
Facci avere fiducia nei sogni, Giuseppe: e ricordaci che la dura realtà della vita non è un sogno, ma sono mille sogni.
Stampa Articolo