IV domenica di Pasqua
Oggi la liturgia ci presenta questi tre versetti di Gv, che estrapolati dal loro contesto, sono un po’ incomprensibili.
In questo vangelo Gesù rivela che Lui è Uno, cioè Dio, perché in Lui si mostra e si rivela il Padre, cioè Colui che dà e comunica vita al popolo. Allora c’è un conflitto tra Gesù, il vero Tempio di Dio, perché in Lui il Padre si manifesta e si fa vedere (e le sue opere lo testimoniano) e il Tempio di Gerusalemme (dove Dio si chiama Convenienza, Interesse, Tesoro).
Quindi iniziamo un po’ prima (da Gv 10,22) per capire cosa dice il vangelo di oggi.
10,22 Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno.
LA FESTA DELLA DEDICAZIONE=(in ebraico Hanukkah) è una festa popolare molto importante; è la festa delle luci e si svolge nel mese di dicembre, più o meno quando da noi c’è Natale. Questa festa ricordava la riconsacrazione del tempio al tempo di Giuda il Maccabeo (165 a.C.).
ERA INVERNO=è un particolare che non è necessario. Un po’ come se si dicesse: “Quest’anno ci sarà Natale e sarà in inverno”. Certo che sarà in inverno, è sempre in inverno! Perché allora Gv lo inserisce? Questa è un’indicazione teologica: l’inverno è la stagione del freddo, della morte. E’ il clima interiore che si respira lì, nel tempio.
23 Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone.
GESÙ CAMMINAVA NEL TEMPIO=che Gesù sia di nuovo nel tempio è segno di una grande libertà di quest’uomo perché nel tempio hanno già tentato più volte di catturarlo (Gv 7.30.32.44; 8,20) e anche di lapidarlo (Gv 8,59).
NEL PORTICO DI SALOMONE=Il portico (stoà) è dove si insegna la Legge. E’ l’ultima volta che Gesù va nel tempio. Infatti questa volta, subito dopo questi versetti, in reazione di questi versetti, tenteranno di lapidarlo come bestemmiatore (Gv 10,31-39). C’è un’incompatibilità tra Gesù e l’istituzione religiosa.
24 Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”.
GIUDEI=non sono gli ebrei ma i capi religiosi.
GLI SI FECERO ATTORNO=lett. “lo attorniano”; il verbo è ostile e indica un accerchiamento.
FINO A QUANDO CI TERRAI NELL’INCERTEZZA?=lett. “fino a quando ci togli la vita?”.
Ciò che per Gesù è dare la vita, per i Giudei è togliere la vita! L’azione di Gesù di comunicare vita al popolo significa togliere potere ai Giudei che pretendono di sottomettere gli uomini. Gesù comunica la vita e questo toglie “vita, spazio” ai capi religiosi perché loro non comunicano la vita, ma la morte.
SE TU SEI IL CRISTO, DILLO A NOI APERTAMENTE=non vogliono saperlo per amor di conoscenza ma perché lo temono. Infatti, la tradizione popolare diceva che quando il Messia sarebbe giunto avrebbe fatto piazza pulita di tutta la classe e la dirigenza religiosa corrotta.
25 Gesù rispose loro: “Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me”.
VE L’HO DETTO, E NON CREDETE, LE OPERE CHE IO COMPIO…=Gesù non risponde con dottrine: sono le opere che rispondono per lui.
“Ma guardate i fatti”, dice Gesù! “Io faccio questo!”: cosa dite? Chi posso essere se faccio questo? Io non devo difendermi perché ciò che faccio già parla per me. Gesù arricchisce e dà la vita alla persone. Se Gesù fa così (dà vita alle persone) allora Gesù viene da Dio (perché Dio è Colui che dà vita e vuole che tutto ciò che esista viva).
Molte volte le persone si chiedono: “Ma questa esperienza, quest’incontro, questa proposta, viene da Dio? Come si fa a saperlo? A chi devo chiedere?”. “A nessuno. Basta farsi una semplice domanda: “Questa esperienza mi fa veramente Vivere di più?”.
Questo è un criterio fondamentale: se uno ti fa vivere, se uno ti dà veramente la Vita, allora, si chiami in qualunque nome, annunzi qualunque teoria, viene da Dio. Dio è Vita e tutto ciò che ti dà Vita vera viene da Dio.
Quindi non guardare più ai titoli o ai ruoli ma poniti una semplice domanda: “Questa persona, quest’esperienza, magari faticosa, magari difficile, mi fa vivere di più?”. Se la risposta è: “Sì”, allora quella esperienza viene da Dio.
Io sono la Vita… ma tu vivi!
Gesù stesso si era definito poco prima: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Nel libro “Vivere, amare, capirsi”, Leo Buscaglia scriveva: “A ridere c’è il rischio di apparire sciocchi; a piangere c’è il rischio di essere chiamati sentimentali; a stabilire un contatto con un altro c’è il rischio di farsi coinvolgere; a mostrare i propri sentimenti c’è il rischio di mostrare il vostro vero io; a esporre le vostre idee e i vostri sogni c’è il rischio d’essere chiamati ingenui; ad amare c’è il rischio di non essere corrisposti; a vivere c’è il rischio di morire; a sperare c’è il rischio della disperazione e a tentare c’è il rischio del fallimento.
Ma bisogna correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla. La persona che non rischia nulla, non è nulla e non diviene nulla. Può evitare la sofferenza e l’angoscia, ma non può imparare a sentire e cambiare e progredire e amare e vivere. Incatenata alle sue certezze, è schiava. Ha rinunciato alla libertà”.
Solo la persona che rischia è veramente libera. La vita è il dono che Dio ci fa: una vita vissuta è il mio dono a Lui. E una vita sprecata è il peccato.
Ma cosa aspetti a vivere? Quando non avrai più la vita non potrai più farlo, sappilo!
5 uomini in un locale videro una donna bellissima che mangiava da sola. A tutti batteva il cuore.
Il primo disse: “Cosa non farei per averla, per conoscerla. Ma se mi faccio avanti, chissà cosa potrebbe pensare! Manco la conosco. Penserà che sono un poco di buono e che ci provo con tutte”. E lasciò stare anche se gli rimase sempre il rammarico di cosa sarebbe potuto succedere.
Il secondo: “Se solo fossi bello! Se avessi qualche carta da giocarmi!… Se vado lì cosa le dico? E se magari ha già un altro? E poi, io posso ambire ad una donna così? E se poi mi dice di no?”. Così per non rischiare se “la mise via” perché, si giustificò, “non erano donne per lui quelle”.
Il terzo non vide l’ora di tornare a casa. Prese la sua chitarra e compose canzoni stupende piene di emozione, di amore e di desiderio che lei però non sentì mai.
Il quarto andò a casa, telefonò agli amici e raccontò a tutti di aver visto la donna più bella del mondo e che nessuno di loro mai avrebbe potuto capire quanto bella fosse.
E il quinto? Il quinto si alzò dal tavolo, le si avvicinò e chiese di sedersi vicino. La donna gli disse di sì e quella sera rimasero insieme, ma anche quella successiva e anche quella successiva ancora e per tutte le sere della vita.
Dio non vuole la morte ma la vita
Cosa mi dice questo vangelo? Mi dice: “Vivi!”. Dio non vuole la morte ma la vita.
Cosa ha fatto Gesù in tutte le pagine del vangelo? Aiutava la gente a vivere per davvero.
Se uno era cieco: “Apri gli occhi non nasconderti la verità” = “Puoi vivere di più”.
Se uno era paralitico: “Smettila di piangerti addosso… alzati in piedi… affronta le difficoltà e fai la tua strada. = Vivi in prima persona, perché ne sei capace”.
Se uno era morto (tipo l’amico Lazzaro): “Vieni fuori. Smettila di morire: vivi… senti… emozionati… slegati da ciò che ti fa morire… esprimiti… realizzati”.
Se uno era imprigionato dalla religione, Gesù gli diceva: “Vivi. Dio non vuole da te che ti sveni; Lui non è sanguinario, lui vuole la vita”.
Se uno era imprigionato dai sensi di colpa per la sua vita, come la peccatrice, Lui le diceva: “Vivi. Avrai sbagliato, ma tu sai amare. Adesso torna ad amare perché tu lo puoi”.
Se uno era ingabbiato da tristi e ottuse leggi religiose, Lui gli diceva: “Vivi! La religione, il sabato, le regole religiose sono fatte per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.
Se uno era insoddisfatto, Lui: “Vivi! Seguimi! Se vuoi la vera felicità devi trovare un senso alla tua vita e un modo per spendere ciò che sei e metterlo a servizio degli altri”.
Se il tuo rapporto con Dio ti spegne questo non è il Dio del vangelo.
26 Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.
MA VOI NON CREDETE PERCHÉ NON FATE PARTE DELLE MIE PECORE=La denuncia di Gesù è veramente tremenda. Gesù sta parlando ai capi religiosi e dice: “Voi non siete parte del gregge di Dio”. Un po’ come se qualcuno oggi dicesse: “Voi preti e vescovi non siete parte del gregge di Dio!”.
Allora, se non fanno parte delle pecore di Gesù, che cosa sono? Gesù lo ha detto in questo capitolo: chi non è parte del gregge di Gesù o è un brigante e un ladro (Gv 10,1.8) o è un mercenario (Gv 10,12) o è un lupo (Gv 10,12). Quindi, sono dei nemici di Dio.
E perché sono nemici di Dio? Perché non ascoltano la voce di Dio. Coloro che dovrebbero insegnare agli altri ad ascoltare la voce di Dio, loro stessi, non la ascoltano. I capi dominano il gregge mentre Gesù è venuto a liberare il gregge.
Per questo poi tenteranno di lapidarlo (Gv 10,31), perché Gesù sta apertamente dicendo: “Voi siete i nemici di Dio; voi siete degli impostori; voi siete dei ladri (Che cosa rubano? Il vero volto di Dio!)”.
Ed ecco i versetti di oggi che si situano in questo contesto.
27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE =le pecore sono i credenti che lo ascoltano. Perché lo ascoltano?
1. Perché Gesù propone un messaggio di vita e non impone nulla: “Se uno mi vuol seguire…”. “Fai come vuoi! Ti va di vivere in pienezza, di più? E’ una possibilità, non sei costretto. Tanto io ti amo lo stesso! Lo vuoi?”.
2. “Finalmente! Queste sì che sono parole di vita, che fanno vivere!”. Nelle parole di Gesù i credenti (=le pecore) sentono la risposta di Dio al bisogno di pienezza che ogni persona si porta dentro.
IO LE CONOSCO=non è una semplice conoscenza ma è un verbo che indica un’esperienza profonda. Questo verbo si utilizzava per i rapporti sessuali (quando un uomo conosce una donna non è una conoscenza del tipo: “Ciao, io sono Luigi, e tu?”. “Io sono Chiara!”, ma nasce un figlio!).
E da cosa le conosce Gesù? Perché fanno come Lui: anche loro danno la Vita agli uomini.
ED ESSE MI SEGUONO=perché lo seguono? Perché si fidano del pastore che dà la vita per le sue pecore.
Un vero pastore (ma vale per ogni cosa: un buon insegnante, un buon padre, un buon maestro) dà la vita, cioè rischia, lotta, si batte per ciò che crede, per i suoi valori e non si tira indietro (come il mercenario) nel momento del pericolo. Se qualcuno gli dice: “Chi è stato?”, lui dice: “Io!”. E’ uno che ci mette la faccia, che non fugge e non scappa. Per questo le sue pecore lo seguono e lo amano perché quello che dice lui lo fa e lotta per quello che dice e per quello che fa.
E come il pastore si impegna per “dare la vita”, per fare il bene dell’uomo, così anch’esse lo seguono nel dare vita, vitalità, libertà, ecc, all’uomo.
Quando Kruscev pronunciò la famosa denuncia dell’epoca staliniana, si dice che qualcuno, in parlamento, abbia esclamato: “Dov’eri tu compagno Kruscev, quando tutte queste persone innocenti venivano massacrate?”. Kruscev smise di parlare, girò lo sguardo nella sala e disse: “Per favore si alzi chi ha detto questo”. Ci fu grande silenzio e tensione nella sala. Nessuno si alzò. Allora Kruscev disse: “Bene, ora hai la risposta, chiunque tu sia. Io ero allora nella stessa posizione in cui tu ti trovi ora”.
Aldo Moro, Enrico Mattei, Anwar Al-Sadat, Martin Luther King, persone che proponevano visuali diverse, altre, sono stati tutti uccisi perché hanno avuto il coraggio di sostenere ciò che credevano fino in fondo.
Don Primo Mazzolari o don Lorenzo Milani sono stati confinati in paesetti sperduti e gli è stato impedito di predicare, perché erano pericolosi. Ma la verità ha le sue ali e a suo tempo prenderà il volo da sé. Niente può fermare la verità.
28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
IO DO LORO LA VITA ETERNA=l’indicazione di Gesù è molto chiara. Gesù non dice: “Io darò loro la vita eterna”. Cioè: Gesù non parla al futuro ma dice: “Io do (adesso, ora, in questo momento) la vita eterna”. La vita eterna è una possibilità del presente a quanti lo seguono. E’ eterna perché non tanto per la durata indefinita ma per la qualità indistruttibile. A quanti lo seguono Gesù dà loro la vita eterna, cioè una vita di una pienezza tale che la morte non potrà scalfire.
E NON ANDRANNO PERDUTE IN ETERNO=significa “mai”.
E NESSUNO LE STRAPPERÀ DALLA MIA MANO=questo è un avvertimento molto chiaro alle autorità religiose: “Non provate a riprendervi il gregge (le persone) che io ho già liberato perché io lotterò per questo”.
29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
IL PADRE MIO, CHE ME LE HA DATE=lett.: “Ciò che il Padre mio mi ha dato (cioè il gregge) è più grande di tutti”. Qui la traduzione è difficile e non si capisce se è il Padre o il gregge che è più grande.
E NESSUNO PUÒ STRAPPARLE DALLA MANO DEL PADRE=il gregge (che è il popolo liberato da Gesù) nessuno lo può strappare da Dio perché la mano di Gesù è la mano del Padre. C’è piena identità tra Gesù e il Padre e poiché Gesù è Dio, nessun’altro, in nome di Dio può strappare il gregge da Gesù.
30 Io e il Padre siamo una cosa sola».
IO E IL PADRE SIAMO UNA COSA SOLA=”Io e il Padre siamo Uno” e non “una cosa sola”.
Quando Gesù dice questo, sta bestemmiando perché Uno è solo Dio. Uno è la cifra di Dio (Zac 14,9). Cioè, Gesù rivendica per sé la pienezza della divinità. “Dio è come me”; “Io e Lui siamo la stessa cosa!”; “Io e Lui siamo un’unica cosa (Uno)”. Sono parole forti e possiamo capire la reazione ovvia dei Giudei, nel versetto successivo: “I Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo” (Gv 10,31).
Il tentativo di ucciderlo, quindi, avviene dentro al tempio. Più i luoghi sono sacri, più i luoghi sono religiosi e più sono pericolosi per il Figlio di Dio. Gesù, il Figlio di Dio, corre il pericolo della morte, dove? Nel luogo più sacro della terra, il Tempio di Gerusalemme.
31 Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. 32 Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?».
VI HO FATTO VEDERE MOLTE OPERE BUONE DA PARTE DEL PADRE: PER QUALE DI ESSE VOLETE LAPIDARMI?=qui Gesù li prende in giro! Mentre i Giudei prendono le pietre per ammazzarlo Gesù gli dice: “Ah sì, volete uccidermi? Per quale opera buona volete uccidermi'”. Quali sono queste opere? “Volete uccidermi perché ho guarito il paralitico (Gv 5)? Volete uccidermi perché ho ridato la vista al cielo (Gv 9)? Volete uccidermi perché ho resuscitato Lazzaro (Gv 11)? Per quali di queste volte uccidermi?”. Se Gesù fa questo, questo dovrebbe dire chi è, ma invece…
Questo anche per noi dovrebbe essere un criterio: se un’esperienza, se un gruppo, se una teoria fa del bene alle persone (guarisce, fa tornare la voglia di vivere o di amare, guarisce fisicamente, fa tornare il sorriso, ecc.), magari a noi non piace, ma dovremo non essere categorici o giudicanti, perché Dio si manifesta sotto molte forme e sotto molte spoglie, anche in modi molto diversi dai nostri.
Dovunque c’è il bene (il vero bene), quello viene da Dio.
Quindi se in un luogo cresce l’amore, cresce l’evoluzione delle persone, la disponibilità, la generosità, anche se non è secondo i miei canoni, anche se non è secondo ciò che io penso, potrei accettare che lì Dio c’è.
33 Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
NON TI LAPIDIAMO PER UN’OPERA BUONA, MA PER UNA BESTEMMIA=quello che è il progetto di Dio sull’umanità, cioè che l’uomo diventi figlio di Dio, divino, che abbia la condizione divina, per i rappresentanti (presunti) di Dio è una bestemmia che merita la morte. E perché? Perché perdono tutto il loro potere, il loro prestigio e il loro dominio sul popolo: se seguono Gesù nessuno seguirà più loro.
Se nell’uomo c’è già Dio, da chi si rivolgeranno adesso le persone? I capi religiosi hanno bisogno di detenere il potere: “Noi abbiamo Dio”. Se hanno Dio solo loro, allora solo loro possono decidere cosa viene e cosa no da Dio. Gesù, invece, dice: “Dio è già in tutti”. E dicendo così, loro non hanno più nessun potere. L’istituzione religiosa, infatti, era l’intermediaria tra Dio e il popolo. Ma se adesso l’uomo può rivolgersi direttamente a Dio senza l’istituzione, a cosa serve ancora? A niente! Per questo Gesù, che sanno che è Dio, lo devono uccidere: perché è un attentato alla loro esistenza.
34 Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? 35 Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, 36 a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? 37 Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; 38 ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre».
La polemica continua. Gesù poi dice:
SE NON COMPIO LE OPERE DEL PADRE MIO, NON CREDETEMI=Gesù non si muove sul piano dottrinale ma sull’azione, sulle opere: “Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi!”. E’ che le opere che Gesù fa non si potevano negare!
MA SE LE COMPIO=”Anche se vi sto antipatico e sono uno che vi disturba, ok, non credetemi; se non volete credere a me, va bene, ma credete almeno alle mie opere”. Le opere di una persona definiscono quella persona: “Se io porto la Vita alle persone, se io ridò loro dignità, voglia di vivere, energia, voglia di ricominciare, guarigione, credete almeno a questo. Se non lo fate falsificate la realtà”.
39 Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Il luogo più pericoloso per Gesù è il tempio di Gerusalemme.
La mia guida
Questo breve vangelo esprime l’esperienza che vivevano i primi cristiani.
Per la nostra società industrializzata l’esperienza del gregge è un’esperienza rara: quando passa qualche gregge per scendere o salire in montagna desta gioia, sorpresa e meraviglia. Non siamo più abituati. Ma per secoli e secoli il gregge è stata un’esperienza normale, quotidiana, ovvia.
I primi cristiani sentivano il Risorto così: loro erano delle pecore e Lui era il pastore, colui che le conduceva.
Gv usa quest’immagine per tutto questo capitolo (Gv 10) per dire fondamentalmente questa cosa: il Signore è la guida della tua vita e tu seguilo.
Per definire il ruolo di guida avrebbe potuto usare come immagini il re o il comandante: ma erano esempi che potevano essere troppo aggressivi o autoritari. Il pastore, invece, intratteneva con le pecore un rapporto particolare: ci passava tutto il tempo, le conosceva una ad una (a uno esterno sembrano tutte uguali, ma non per lui che le conosce!), parlava loro e soprattutto si preoccupava della loro sorte, difendendole da ogni pericolo.
Gli ebrei nell’A.T. avevano per pastore Dio: Dio li ha condotti dalla schiavitù verso la terra promessa. E ogni volta che non hanno ascoltato il pastore e che hanno fatto di testa propria, gli ebrei (le pecore) sono finiti in qualche dirupo o in pasto a qualche lupo. Mose stesso viene definito come il pastore che libera il gregge di Dio dai lupi dell’Egitto.
A noi si pone la domanda: “Chi è la mia guida? Chi mi guida?”. Tutti seguiamo qualcuno: io chi seguo?
Farsi guidare non dagli altri (fuori) ma dal nostro Maestro interiore (dentro)
In queste righe vi sono due relazioni paterne: Dio-Gesù e Gesù-credenti. Il padre è stato per il figlio come un buon pastore: lo ha condotto e lo ha guidato un po’ come ogni buon pastore conduce, guida e protegge le sue pecore. Gesù stesso, dopo aver interiorizzato l’essere guidato, è diventato a sua volta il Risorto che guida. Gesù è il maestro interiore che ci guida, che ci dice cosa fare, se lo ascoltiamo.
E’ sempre così: prima si riceve e poi si dà ciò che si ha ricevuto. Non si può mai dare ciò che non si ha o ciò che non si è ricevuto. Non si può insegnare il Francese se non lo si sa; non si può insegnare l’arte del falegname se non lo si è, non si può insegnare a suonare il pianoforte se non si è capaci di farlo.
E se questo vale per queste cose a maggior ragione per le cose essenziali della vita. Non si può insegnare la fede, la fiducia, la passione per Dio se non la si vive; non si può trasmettere l’amore se non lo si vive; non si può chiedere che l’altro faccia o viva quello che noi non siamo in grado di fare o di vivere.
Gli apostoli fecero un’esperienza terribile. Gesù era sempre stato con loro, li aveva protetti e difesi. Allora dentro di sé pensavano di essere preservati dal pericolo, dal rischio, dall’esporsi e dal contrasto. Ma dopo che il Capo se ne era andato, dopo che Gesù era morto, si trovarono loro stessi in prima linea. Lì sperimentarono la fatica, la persecuzione, la lotta, sulla loro pelle. Lì nacque la chiesa. Solo perché Gesù se ne era andato loro poterono prendere il suo posto. E’ per questo che nel vangelo troviamo espressioni “buone” dove il Risorto le conosce, dà a loro la vita eterna cioè la vita vera, ma anche espressioni “dure” dove si parla di rapire e di strappare.
All’inizio di fronte alle prime difficoltà gli apostoli dissero: “Ma dove sei Signore?”. E’ il bambino che parla così, che vuole la mamma, che pretende che qualcuno gli risolva i suoi problemi. Poi trovarono la risposta: “Tu ci sei in noi. Tu non ci sei più, ci siamo noi. Gesù vive in noi”. Questo è l’adulto: non mi aspetto da nessuno quello che posso e che devo fare io.
I primi cristiani dicevano: Dio ci guida ma non ci porta in carrozzina.
Diventare adulti
E’ sempre così nella vita: finché c’è una madre che ti preserva dal pericolo (ed è buono che sia così) tu non puoi veramente crescere perché non puoi sperimentarti e conoscere i tuoi limiti e le tue forze.
Gesù per gli apostoli era stato come una madre. Li aveva protetti, custoditi, nutriti, preservati. Ma dopo la resurrezione il Gesù materno che proteggeva/custodiva i suoi figli (apostoli) diventa paterno. Il Risorto li manda nel mondo: “Io non ci sono più, adesso tocca voi”.
E’ così che un genitore deve fare: “Adesso figlio te la sbrighi con le tue forze e con le tue energie”. E se il figlio piange e fa la vittima perché è difficile, il genitore non si deve affatto intenerire.
Il bambino vive per i primi anni della sua vita nella completa fusione con la madre. Questo è fondamentale perché la madre gli insegna, amandolo, a volersi bene, ad accettare se stesso e ad accudirsi. La madre è colei che dice al figlio: “Stai qui perché fuori è pericoloso e ci sono tanti nemici”. La madre lo terrebbe sempre in casa, non lo lascerebbe mai uscire nel mondo. La madre lo confermerebbe sempre: “Ma che bello che sei! Ma sei il mio tesoro! Sei il mio amore!”. Ma così il figlio rimane nella ragnatela di sua madre per sempre: rimane dipendente.
La madre è colei che dice: “Stai qui”. Il padre invece deve dirgli: “Fuori!”.
Allora deve intervenire il padre nella crescita: “Sei grande, esci e cammina sulle tue gambe”. E’ la prima grande ferita della vita per tutti noi: la separazione dalla madre, dal paradiso, dal calduccio, dove si stava bene e si era rassicurati.
1. Il primo trauma della nostra vita è la nascita: dover respirare da soli, assumere cibo da soli. Tutto è così tremendamente complicato mentre prima nel pancione della mamma tutto era garantito.
2. Il secondo trauma è lasciare la madre: non c’è più chi ti protegge, chi ti rassicura, chi fa per te, chi ti difende in ogni caso; adesso ti devi arrangiare da solo. E’ così difficile fare da soli!
La madre proteggerebbe sempre e se potesse eviterebbe ogni pericolo al figlio. E’ per questo che interviene il padre e che lo sottrae alla madre: “Vieni via da lì, altrimenti rimani sempre un bambino”. Se rimani dipendente dalla madre tu non puoi essere te stesso. E tu non sei tua madre.
Cosa succede se la separazione non avviene? Il bambino “piange” per tutta la vita. Diventa uno di quei tanti criticoni che ce l’hanno con il governo, con i preti, con il sindaco, con il vicino di casa, uno di quei tanti che si lamentano sempre: il bambino che aspetta la mamma! Uno di quelli insoddisfatti che se la prendono con gli altri invece di prendere in mano la propria vita.
Abbiamo bisogno di padri e di condottieri
Il padre insegna al figlio che non si può crescere senza ferite e senza perdite. Bisogna salire su qualche croce per diventare grandi. Per inseguire e vivere ideali alti bisogna saper soffrire, resistere, lottare, faticare, sputare sangue e sudare.
Il padre insegna che ci sono dei limiti: Dedalo dice ad Icaro, inascoltato, prima che prende il volo: “Figlio mio, stai attento! Non volare mai troppo in alto, perché il sole farebbe sciogliere la cera, né troppo basso, perché le penne potrebbero essere inumidite dal mare”.
Il padre insegna a perdere: “Vivere non è avere tutto quello che si vuole, non si può! Vivere è osare; vivere è imparare ad arrendersi a ciò che non possiamo avere, raggiungere o essere; vivere è mettercela sempre tutta; vivere è sbagliare ma non provarci per paura è uno sbaglio ancor più grande”. Il padre è colui che insegna: “Se vinci imbrogliando, il risultato non è tuo. L’hai ottenuta ma hai perso la tua dignità; se ottieni una cosa rubando ce l’hai ma hai perso la tua faccia davanti a te”. Guardate cosa succede in tv o nello sport: si è disposti a tutto pur di primeggiare.
Dove sono i nostri condottieri? Dove possiamo trovare chi ci insegna ad essere noi stessi, a lottare per ciò che crediamo, a cercare in noi la forza? Se ci guardiamo attorno, dove troviamo esempi e modelli?
La nostra società è terribilmente “materna”. Tutto ciò che è fatica, lotta, sacrificio, è da evitare.
A scuola: un ragazzo non riesce a rispettare le benché minime regole di vita sociale. La madre, in cinque anni di elementari, lo ha cambiato di classe tre volte perché le maestre non lo capiscono e lo puniscono sempre: “I bambini vanno sempre trattati bene”, dice lei, il che equivale a dire che fanno quello che vogliono.
Pianoforte: la maestra dice ad un ragazzo che se non studia almeno mezz’ora al giorno lei non lo segue più perché non serve. La mamma: “Poverino il mio bambino; ti capisco, com’è faticoso!”. Tradotto: “Hai ragione tu!”. Ma brava! E quando ci sarà da sostenere la fatica di una relazione, che farà?
La società è terribilmente “materna” perché garantisce ai nostri giovani un sacco di cose materiali. Mater e materia hanno la stessa origine: la madre, infatti, crea, genera, la materia. La madre presiede ai bisogni materiali (primari) del ragazzo: mangiare, bere, lavarsi, dormire, ecc.
E’ il padre che lo introduce nei bisogni dello spirito: trovare se stesso, trovare un senso, Dio.
Tutto arriva subito: il cellulare, lo smartphone, il motorino e tutto quello che i figli chiedono. Sembra “brutto” farli soffrire. E invece dovremmo dirgli: “Quando ci saranno i soldi lo compreremo; non si può avere tutto”.
Il motorino: “Ma i miei amici ce l’hanno…” così il genitore si sente un genitore meno degli altri (basa il suo valore di genitore non sull’amore ma sul fatto che può dargli meno cose): fregato!!! “I tuoi amici ce l’hanno perché hanno degli altri genitori, tu hai noi; ti dai da fare e ti metti via i soldi”. Oppure: “Noi ci mettiamo i 2/3 e tu ti guadagni il resto”, così il ragazzo impara che le cose costano, che non cadono dal cielo, che se si vuole qualcosa bisogna faticare, impegnarsi, lottare, desiderare.
Perché oggi è così per il motorino ma domani sarà così per la relazione di coppia, per rimanere onesti nel lavoro, per affrontare le proprie paure e i propri mostri, per non rimanere degli eterni infantili.
Quanta gente dice: “Ma è faticoso!”. E cosa non c’è di faticoso nella vita? “E’ difficile guadarsi dentro”? E cosa c’è di facile nella vita? Nessuna cosa grande è facile!
C’è un ragazzo di trent’anni, con tanto di lavoro, che assilla il padre perché gli regali la moto: “Ma non si discute neanche. Sei grande: se hai i soldi te la compri, altrimenti fai a meno!”. E’ il bambino che vuole il biberon dalla mamma. E se il padre lo ama, guai se gli dà la moto! Quanti Peter Pan ci sono in giro? Grandi e grossi ma mai cresciuti!
Prova e vedrai che ci riuscirai
Anche la chiesa è molto “materna”. Non ci aiuta a formare delle personalità autonome, decise, che non temono di dire le cose come stanno; personalità vere e autentiche.
I valori che ci sono stati trasmessi sono: l’ubbidienza, la fraternità (che vuol dire a volte fare come tutti), la dipendenza dall’alto, il non esporsi, il culto dell’autorità, nascondimento, ritiro nel misticismo, non conflittualità (un buonismo con spesso un giudizio sottile e a volte feroce), il conservatorismo.
L’energia della madre è conservativa: preservare, difendere, proteggere, custodire, mantenere. Guai se non fosse così nei primi anni di vita. Moriremmo. Il suo simbolo è l’abbraccio e la casa: “dentro”.
L’energia del padre, invece, è trasformativa: vuole cambiare le cose, vuole fare diverso questo mondo. Il suo simbolo è il lavoro e la strada: “fuori”.
La “madre” è conservatrice; il “padre” è un progressista. La donna è portatrice della vita e la accoglie. Il maschio è portatore di un seme e lo semina: vuole creare, trasformare e cambiare. Abbiamo bisogno di padri dello spirito, di conduttori dell’anima, di profeti di Dio.
La grande esperienza degli apostoli fu il mondo. Il Risorto li ha mandati! Li mandava per cambiare il mondo, per farlo diverso, per convertirlo, per portare l’amore. Il Risorto li spingeva fuori: “Io sono con voi… ma adesso andate voi”.
Finché c’era Gesù gli apostoli dicevano: “C’è Lui”. Finché c’era Gesù rimanevano piccoli, non adulti. Ma adesso Lui non c’è più e tocca a loro andare. E… andando gli apostoli scoprirono che davvero ne avevano le capacità.
Perché finché non provi non sai; finché non fai, finché non ti butti dentro, non puoi sapere di averne la capacità.
E’ il padre che ti introduce nel mondo. Perché il padre ti deve insegnare: “Figlio mio tu hai la forza per vivere e per plasmare il mondo”. Devi uscire e non aver paura del mondo, di confrontarti e di batterti.
Una società senza padri è una società di uomini molluschi, marmellata, pongo. Di uomini che vivranno nella paura della propria ombra.
E’ il padre che ti porta all’asilo, a fare sport, che ti insegna le regole di vita sociale; è lui che ti deve dire: “Provaci! Dai, fallo! Meglio sbagliare che non provarci!”. E’ il padre che va a scuola (dovrebbe!) perché è lui che si interessa della vita sociale del figlio. E’ il padre che ti mette il gusto per la politica, per cambiare il mondo, per la giustizia, per l’equità.
Una volta uscivano per andare nel sindacato, al partito, in parrocchia, in comune, per la riunione di questo o quell’altro. Adesso dove sono i nostri padri? Davanti a Sky, alla Playstation, a guardarsi le partite della Champions? Dove escono i nostri padri? Se vanno nel mondo, vanno al bar o al lavoro.
Abbiamo bisogno di padri dello spirito
Qui il vangelo dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. E’ il vissuto dei primi cristiani, quello che loro avevano visto e capito. Dio era stato il Padre di Gesù e gli aveva trasmesso una fiducia enorme: “Tranquillo nessuno ti può veramente rapire, sottrarre, portare via dalla mia mano. Magari ti possono uccidere ma nessuno ti può strappare da me”. E infatti così è andata.
Gesù risorto, adesso, era il padre degli apostoli: “Voi ascoltate me, seguite la mia voce, per voi ho dato la vita, voi siete al sicuro, non spaventatevi nella difficoltà, nessuno vi può strappare da me”.
Come Gesù si era ancorato su suo Padre, così gli apostoli si ancorano su di Lui. Dio aveva creduto in Gesù e lui con questa forza era andato nel mondo. Gli apostoli credono in Gesù e con questa forza vanno nel mondo.
Tutti noi abbiamo bisogno di due cose: 1. di qualcuno che creda in noi; 2. di qualcuno che ci possa trasmettere la sua forza (sentendo la sua fiducia noi scopriamo la nostra). Perché ci sia un figlio, ci vuole un padre!
Robbie Low ha fatto una ricerca approfondita nel 2002 che ha dato un esito sconvolgente: il fattore decisivo del passaggio della pratica religiosa alla generazione successiva è il padre. Se il padre non va in chiesa, 1 bambino su 50 frequenterà la chiesa da adulto, indipendentemente da quanto ci va la madre. Se il padre la frequenta regolarmente, ci andranno da 2/3 a 3/4 dei loro figli, indipendentemente da quanto lo fa la madre.
Il padre nella nostra vita presiede al viaggio, all’esperienza del muoversi, dell’andare. Dove possiamo trovare i Gandhi, i M.L. King, i don Lorenzo Milani, i don Primo Mazzolari, condottieri dello spirito e di Dio, che ci appassionano per le cose vere, grandi, per cui si può vivere e morire?
C’era un faro che tutte le notti faceva luce. La sua luce si vedeva lontano, lontano e i marinai quando si trovavano in difficoltà “ringraziavano” il faro. Quante volte senza la sua luce molte barche si sarebbero perse nella nebbia o nella tempesta. Nessuno aveva mai ringraziato il faro ma per tutti era un riferimento. Quando, vecchio e decrepito, fu abbattuto, tutti ne sentirono la mancanza. Di notte o quando si era in difficoltà nel mare, chi si guardava adesso?
Per che cosa si battono i giovani d’oggi? Per che cosa lottano? Non sono capaci di battersi per qualcosa che non riguardi “loro”: la loro carriera, le loro comodità, i loro interessi, i loro soldi. I nostri giovani, figli di noi adulti, sono troppo concentrati su di sé, hanno un Ego troppo grande, gigante. Non sono capaci di dare più niente; sono solo capaci di prendere, di possedere, di accaparrare: “Fatti la tua famiglia!; fa le tue cose e fregatene degli altri; fatti gli affari tuoi; gli altri si arrangino; nessuno ti regala niente; prenditi tutto quello che puoi; non ti interessare degli altri che hai solo grane”.
Il volontariato ha avuto un grande boom anni fa, ma oggi è in calo. In parrocchia anni fa c’erano molti animatori che donavano gratuitamente il loro tempo per gli altri: oggi è difficile trovare qualcuno che lo faccia. Ma ci chiediamo: un ragazzo che non sa donare tempo “gratuito”, che non vive l’esperienza dell’amore gratuito, della bellezza e della gioia del donare senza ritorni qualcosa di sé agli altri, di quale amore vestirà i suoi figli? Che società avremo se nessuno è disposto a fare qualcosa per gli altri?
Roger Schutz (fondatore di Taizé), come molti altri, parlava di contemplazione e lotta. Gesù si ritirava nel monte a pregare, da solo, per poi di nuovo tornare a lottare per la verità, contro l’ingiustizia e per l’affermazione del regno dell’amore. Tutta la vita di Gesù fu lotta, impegno, contrasto, scontro aperto, dichiarato e duro.
Sacrificium non è umiliarsi, rinunciare, star male; sacrificium, dal latino “sacrum facere” vuol dire la disponibilità al sacrificio, cioè la capacità di donare e di offrire qualcosa di sacro, anche se può essere faticoso. Dove sono i nostri fari? Dove trovo i condottieri dell’anima? Chi può insegnare la strada dello spirito? Una società senza “padri” non ha futuro perché non può più presiedere al passaggio della saggezza. Di questi pastori abbiamo bisogno, altrimenti non saremo che pecore perse e in preda ai lupi.
Se i nostri figli muoiono di noia, di ecstasy, è perché siamo una società senza pastori, senza padri, senza condottieri.