IV domenica di Pasqua
“Io sono la Porta!”
Questa domenica l’evangelista Giovanni ci dona un brano “spinoso” dal punto di vista dell’esegesi ma sicuramente molto bello ed affascinante dal punto di vista del messaggio evangelico in generale.
Non ho difficoltà a dire che è facile rimanere “incastrati” nelle interpretazioni autorevoli e ben fatte su questo brano, alle quali, però, dobbiamo sempre premettere una spiegazione sui termini, usi, usanze e consuetudini della Palestina e della città di Gerusalemme in particolare di duemila anni fa, per non parlare poi della concordanza con le parole di Gesù e bibliche in generale e, credetemi, non ne usciremo più, rischiando solo di complicare o sminuire quell’immagine che da subito fu tanto cara ai cristiani del “Buon Pastore” e l’immagine d’amore di Dio Padre che Gesù ci rivela col suo volto e la sua vita.
Tante volte mi sono domandato: quale è, in questo brano, il succo del messaggio che Gesù voleva lasciare nei nostri cuori? Quale la semplice ed immediata relazione con i fatti quotidiani, da tutti comprensibili, che sempre hanno caratterizzato il suo annuncio? Quale il messaggio che posso io trasmettere rispettando le regole della semplicità e della speranza?
Vi dico che non è stato facile capire qualcosa di veramente concreto fino a quando, abbandonata ogni pretesa intellettuale, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in Gerusalemme davanti a quella che ancora oggi è chiamata la “porta delle Pecore”. Una porta che viene indicata anche come “porta dei leoni” (poiché reca l’effige di due felini ai lati!) o porta di Santo Stefano poiché – dalla tradizione cristiana – nei pressi di quella porta fu martirizzato proprio Santo Stefano. Una porta che, ancora oggi, è la via più breve per raggiungere il monte degli ulivi (che a differenza di quanto il nome possa far pensare è un’area vastissima!) ed il Getsemani, che si incontra subito ai piedi del monte! Vent’anni fa era ancora possibile vedere piccoli greggi di pecore, caprette ed anche cammelli che pascolavano vicino alle case di quel monte e, ricordandomi di questo particolare e del fatto che all’epoca di Gesù doveva esserci molto più verde ed acqua, ho subito pensato che se avessi avuto un gregge dentro le mura di Gerusalemme, stipata all’inverosimile solo di costruzioni e persone, il luogo più logico per mandare il gregge a pascolare era proprio quello! Già ma che ci faceva un gregge all’interno delle mura di Gerusalemme? Un gregge di animali all’interno della Città pura e santa che difficilmente poteva ospitare animali, sia per le regole di purità che per praticità, visto l’assembramento di palazzi ed abitazioni di cui, ancora oggi se ne intuisce la “costipazione”?
Ebbene, il gregge di pecore ed agnelli c’era sicuramente ed era conservato proprio nelle vicinanze della porta delle pecore. Era il gregge delle offerte, degli animali che non potendo essere subito sacrificati, per mancanza di tempo, venivano “stipati” all’interno di un recinto in attesa del loro turno per essere portati all’altare. Addirittura, la piscina di betzetà, quella dei cinque portici, quella del paralitico che non riusciva ad entrare nell’acqua poi guarito da Gesù (Gv 5,1-17), era la piscina per il lavaggio degli agnelli prima del sacrificio – per questo era chiamata anche “probatica” (delle pecore!)- ed è situata proprio nelle vicinanze della Porta delle Pecore e quindi, presumibilmente, nelle vicinanze del recinto delle pecore.
I poveri animali potevano vivere in quel gregge anche diverso tempo prima di essere sacrificati, specialmente in occasione delle grandi feste ebraiche in cui vi era un enorme afflusso di pellegrini come enorme era, di conseguenza, l’offerta degli animali da sacrificare, ed è chiaro che questi animali, in attesa del loro turno, andavano alimentati, abbeverati ed in tutte le maniere possibili tenuti bene, ed a questo sicuramente provvedevano dei pastori “professionisti” che di certo non abitavano dentro le mura della città santa ma provenivano da fuori, avendo essi stessi, o la loro famiglia, un proprio gregge o comunque un gregge da mantenere per sopravvivere, un poco come ci descrive anche Luca con i pastori di Betlemme (Lc 2,8-20).
Quindi abbiamo: un gregge in un recinto dentro le mura a ridosso del Tempio; dei pastori che devono venire da fuori per far uscire il gregge e portarlo a pascolare; una porta che permette di entrare ed uscire da Gerusalemme vicina al recinto del gregge; un Tempio nel quale si facevano sacrifici di animali presi proprio da quel recinto e sacerdoti o inservienti che venivano a prenderli, ovviamente per portarli al sacrificio, che di certo non entravano dalla porta delle pecore ma passavano da dentro, rimanendo all’interno delle mura e che di certo non avevano bisogno di passare per la porta delle pecore; siamo anche in un tempo particolare, nel contesto della festa dei tabernacoli, quindi con un’enorme affluenza di persone e sacrifici al Tempio di Gerusalemme.
Gesù è nel vivo del dibattito con i farisei, dottori della Legge e sadducei. La questione su cui si dibatte – tutti dibattono in Gerusalemme, anche i discepoli – è di vitale importanza e la domanda non detta ma sottintesa è sempre: Sei tu quello che ci salvi? Sapendo che l’unica alternativa a Gesù era rimanere attaccati a quella Legge che prendeva corpo e anima proprio nel culto al Tempio, ma di cui erano divenuti assoluto gestori ed interpreti quei dottori della legge, farisei e sacerdoti.
Una domanda a cui Gesù molte volte aveva risposto, da ultimo anche con la guarigione del cieco nato (Gv 9,1-40), ma a cui mancava ancora la risposta definitiva della sua Passione, Morte e Resurrezione. Gesù prova a rispondere a questa domanda di fronte ai suoi ancora una volta, usando l’esempio di quel gregge destinato al sacrificio e di cui è simbolo lo stesso popolo di Israele, usando l’evidenza della vita stessa e di quello che avveniva sotto gli occhi di tutti: colui che porta alla vita il gregge, a farlo mangiare e sfamare, è colui che lo salva e vuole bene al gregge e gli dà la vita, anzi, Gesù è la porta stessa attraverso la quale si esce e si va a vivere, non a morire. Al contrario chi non passa dalla porta delle pecore venendo da fuori ma passa da un’altra parte (Gv 10,1) per prendere le pecore, è colui che vuole dargli la morte, non vuole il bene del gregge ma usarlo per i propri scopi, il proprio interesse, e questi non potevano che essere i sacerdoti o chi per loro che venivano a prendere gli animali passando all’interno.
Gesù accusa apertamente i sadducei, farisei e dottori della Legge che costituivano parte del gota del “sistema Gerusalemme” di essere ladri e briganti, di sfruttare il popolo d’Israele e sottometterlo alle logiche del proprio interesse fino a togliere la vita a quel popolo, simboleggiato proprio da quel gregge destinato al sacrificio, addirittura i sadducei, la classe sacerdotale “regnante” non credeva nemmeno più alla resurrezione, alla promessa di Dio della vita eterna. Gesù accusa quelli che hanno tutto l’interesse a tenere in quel recinto quel gregge che, invece, ha bisogno di essere liberato, portato al pascolo, amato e compreso, insomma ha bisogno di vivere e ricevere la vita. Gesù si pone come l’unica porta attraverso la quale questo è possibile, l’unico pastore, modello di tutti i pastori, che vogliono il bene e la vita delle pecore, del popolo, degli uomini che non aspettano altro che qualcuno gli dia la vita, quella vera, non quella che qualcuno sembra darti ma che, in realtà, ti costringe in un recinto aspettando solo il momento per poterti “sacrificare” per i suoi interessi sino a toglierti la vita stessa.
Quanti sono oggi i ladri ed i briganti che invece di promuovere e realizzare l’umanità e le speranze degli uomini realizzano solo se stessi a danno degli altri, sacrificando senza scrupoli e senza rimorsi ogni vita che a loro viene affidata? Quanti, anche all’interno della Chiesa stessa, invece di donare la libertà, la vita e resurrezione donano morte e disperazione?
Cristo è l’unica porta e l’unico pastore che desidera solo il bene e la “bella umanità” del suo gregge. Cristo è l’unico riferimento per capire come la vita, la nostra vita, è l’unico motivo della sua azione che realizza la volontà del Padre, l’unica speranza che può illuminare la grandezza dell’essere Figli dell’unico Padre senza dover pagare nessun prezzo, poiché l’unico prezzo da pagare per il nostro riscatto lo ha pagato Lui in persona, come fanno i veri pastori, sempre pronti a dare la vita per il proprio gregge. Lui che ha dato la sua vita ma che anche l’ha ripresa, non per Lui solo ma per tutti coloro che da lui aspettano la vita, la Resurrezione. Resurrezione alla quale si può arrivare solo per quella porta che è Gesù, unica uscita verso la vita, unico pastore che vuole la vera vita per il suo gregge a cui tutti i pastori devono dimostrare di volersi conformare per non diventare dei volgari ed inutili ladri e briganti.