IV domenica di Pasqua
Brano densissimo questo di san Giovanni. L’ovile, il riparo sicuro, la Chiesa e il pastore, il Cristo che la custodisce e la conduce alla salvezza. Dentro l’ovile le pecore, vale a dire noi. Non un gregge indistinto, ma ogni pecora amata in quanto unica: “egli chiama per nome le sue pecore”, le conosce una per una. Non le spaventa entrando da qualche altra parte, come fosse un ladro, ma entra per la porta facendosi riconoscere perché “le pecore ascoltano la sua voce”. Lo stesso custode, delegato a custodire il gregge, lo ascolta e gli apre perché sa che è il Signore. Si mette davanti le sue pecore, le conduce fuori indicando la strada e dando l’esempio.
La strada è quella da seguire, come fanno le pecore, perché è quella del Salvatore che si è definito via, verità e vita, tre termini tra loro strettamente interconnessi, ciascuno dei quali giustifica l’altro. Il Signore conosce il suo gregge nell’intimità più profonda, non è estraneo a nessuno di coloro che lo seguono. Questo rapporto di confidenza fa sì che le pecore diffideranno degli esterni, li “fuggiranno, perché esse non conoscono la voce degli estranei”. Come fanno tanti a seguire falsi profeti se non addirittura falsi messia? Non riconoscono la voce del pastore. Non hanno con lui un rapporto di familiarità e, quindi, non sono in grado di riconoscere la sua voce.
Per questo, anche tra i presenti, ci fu chi non capiva quello che diceva loro. Allora il Maestro ammonì: “chi entrerà per me sarà salvo ed entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Cioè troverà la vita vera, quella che per le pecore dipende dal pascolo. Sarà salvo, troverà la vera vita. È questo lo scopo della sua incarnazione: “sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza”. Chi entra nell’ovile per altri scopi pensa solo a se stesso. Entra solo per rubare o distruggere o sgozzare. Solo il pastore difende con la sua vita le sue pecore. Per questo i falsi pastori, prima o poi, si manifestano per quello che sono e le pecore finiscono per non ascoltarli.
Pietro ci ricorda che chi ha gustato la voce del Signore non teme i falsi profeti, anche quando soffre proprio a causa dei richiami del pastore e ci incoraggia dicendo che la sofferenza “è la vostra divisa, poiché anche Cristo soffrì per voi, lasciandovi un esempio” da seguire. Il Signore patì per noi, “Lui, che peccato non fece e nella cui bocca non fu trovato inganno”. Non si mise sullo stesso piano dei suoi persecutori, ma pregò ed espiò anche per loro.
Si mise al nostro posto, come vittima di espiazione: “portò nel suo corpo i nostri peccati sulla croce”. Ci diede così l’esempio di cosa significhi vivere per la giustizia. Dalle sue sofferenze siamo stati guariti e giustificati. Eravate tutti “come pecore erranti, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime”. Occorre rimettersi in silenzio, non solo per meditare questi insegnamenti, ma per ascoltare. Il nostro è un Dio vivente e, se è tale, ci parla.
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