Pasqua di Resurrezione
Salutare qualcuno che ci lascia per sempre, per avviarsi verso quel Luogo in cui, in quel momento, non ci è data la possibilità di raggiungerlo, ha certamente dei contorni drammatici. Ci pare di morire insieme con lui; anzi, quando il legame è veramente profondo, l’unico desiderio sarebbe di accompagnarlo all’incontro con l’Eternità, per evitare di restare da soli a combattere in questa esistenza che, poco a poco, si rivela grama e meschina, senza di lui o senza di lei…
Allo stesso modo, poco a poco, la vita – che nonostante tutto va avanti – ci insegna a rimarginare le ferite, a rielaborare il lutto, e a trovare consolazione quantomeno nel ricordo di esserci voluti veramente bene. Straziante sarebbe nuovamente venire a sapere da qualcuno che, un giorno, quella tomba su cui abbiamo pianto e nella quale un pezzo di cuore è entrato ed ha quasi trovato dimora, viene trovata aperta e vuota.
Terribile… Sarebbe come rivivere nuovamente la morte. E in più, il dubbio e l’incertezza su ciò che, con quel corpo, ci abbiano potuto fare…
Fa impressione solo a pensarlo, vero? Beh, allora… proviamo a uscire dall’atmosfera magica di questo giorno di Pasqua, e catapultiamoci al mattino di quel giorno, il primo dopo il sabato, in cui alcune donne, discepole, profondamente legate al loro defunto Maestro, vanno al cimitero a fargli visita e trovano… la tomba aperta e vuota, come profanata.
Pensare a un ennesimo miracolo? Neanche per sogno: qualcuno ha portato via il corpo del Maestro quantomeno per vendetta, per ripicca o per un macabro gesto di malvagità! Questo è ciò che dev’essere passato nella mente di quelle donne, quel mattino di un giorno come tanti altri… un giorno feriale, non era ancora la domenica di Pasqua.
E non credo siano bastate nemmeno le spiegazioni sommarie di uno o due giovani in bianche vesti, bravissimi a fare tutta una serie di affermazioni biblicamente e teologicamente corrette che portavano a ricordare loro che il Maestro era risorto, “come aveva sempre detto”…in quel momento c’era una sola evidente, drammatica certezza: la tomba era vuota, e il corpo del Maestro svanito nel nulla! Facile da accettare, adesso, per noi, duemila anni dopo! Ma quanta fatica, allora, con il dolore nel cuore, accogliere un annuncio che diceva che in realtà non era finito nulla, due giorni prima, sul Golgota: e che, anzi, ricominciava tutto da capo! È difficile accettare di mettere una pietra sopra a una vicenda dolorosa: ma ancor più difficile è accettare di rimuoverla per iniziare di nuovo!
No, basta, per carità: il Maestro e le sue parole ci rimarranno sempre nel cuore, ma…non fateci trovare la sua tomba vuota! Perché ricominciare costa, in fondo…costa a tutti.
Perché anche noi cristiani non possiamo avere un Maestro come tutti gli altri? Uno di quelli che, durante la sua vita, crea un gruppo di discepoli, compie opere grandi, dà insegnamenti stupendi che poi mette o fa mettere per iscritto, e poi termina la sua esistenza sazio di giorni: e ai suoi discepoli rimarrebbero tutte le sue opere, da togliere dalla vetrina con frequenza e regolarità per cercare poi di metterle in pratica. E magari costruirgli anche una bella tomba, un bel monumento da visitare ogni volta che, in pellegrinaggio, lo si commemori…
E invece no! Dio per suo figlio Gesù non sa che farsene di una tomba chiusa e sigillata da visitare con regolarità. È troppo comoda la tomba chiusa con un cadavere dentro.
La “nostra” tomba, la tomba della fede dei cristiani, da quel mattino del primo giorno dopo il sabato è e resterà sempre aperta e vuota. Per cui, bisogna ricominciare da capo, e quindi tornare in Galilea, dove tutto un giorno era iniziato. È proprio una fatica, questa tomba vuota! Ma da questa fatica, un giorno, è scaturita la nostra vita, la Vita Eterna, quella che non ha mai fine, e che ogni giorno ci fa ripartire da capo.
Perché la croce e la morte, anch’esse eternamente presenti nell’uomo, non sono mai la parola definitiva e ultima sulla vita. L’ultima parola sulla vita dei cristiani ce l’ha Dio: e questa parola è una tomba aperta e vuota, è un angelo che scende dal cielo e prende possesso lui della tomba vuota, sedendovisi sopra; sono dei teli e un sudario piegati a parte, sono delle lacrime di disperazione e insieme di gioia di chi molto ha amato il Maestro, che ricompensa quell’amore salutando per prime le donne, a cui nemmeno i loro mariti o presunti tali davano credito; è un annuncio a una comunità di discepoli increduli, è una corsa affannosa al sepolcro compiuta dal discepolo più vecchio e da quello più giovane, è uno sconosciuto che cammina verso Emmaus e spiega le scritture e spezza il pane e poi sparisce, sono i segni dei chiodi dentro i quali dobbiamo sbattere il naso per credere, è una pesca miracolosa dopo una notte di inutili fatiche, è un perdono ritrovato dopo un ripetuto tradimento… è tutto, meno che un tomba sigillata, un libro chiuso, un ricordo nostalgico!
Gesù Cristo è la Novità assoluta, la Parola incarnata, il Memoriale della Salvezza che si fa presente nella nostra esistenza ogni volta in cui diciamo “no” alla morte e disperatamente ci affanniamo a ricostruire vita laddove la storia e gli uomini vorrebbero il contrario.
Certo, credere a un Dio così non è facile: non c’è stato nella storia, e non ci sarà mai, altro Dio così potente da trasformare una tomba in un altare, una croce in un albero fiorito, una notte tenebrosa in una splendida mattinata di luce.
E allora, ben venga la tomba aperta e vuota: chiniamoci dentro – come fece il discepolo amato – per guardare, vedere e credere. E poi alziamo lo sguardo verso il cielo, e cerchiamo, una volta per sempre, “le cose di lassù”.
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