Pentecoste
Quasi agli inizi della sua storia, l’umanità si sentiva già numerosa e forte. Voleva evitare di disgregarsi, voleva “farsi un nome”, voleva contare qualcosa in faccia a un Dio comodamente e beatamente seduto lassù nei cieli che si divertiva a giocare con le sue stesse creature, con leggi e doveri difficili da rispettare. E come se non bastasse, quando l’umanità provava a divertirsi un po’, il Dio dei cieli apriva le sue riserve e scaricava sulla terra una quantità tale d’acqua da annegare ogni forma vivente in pochi istanti. E allora, dopo un po’, risistemate le cose e perfettamente riasciugatasi la terra dai quaranta giorni di diluvio, gli uomini iniziarono a parlare tra di sé, e a dirsi l’un l’altro: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (cfr. Gen 11). Ossia: “Forza, tiriamoci insieme. L’unione fa la forza! Diamoci un nome, facciamo vedere a Dio chi siamo, arriviamo fin lassù e avanziamo delle pretese!”.
E non era uno scherzo. Dio stesso, che conosce bene l’uomo, sapeva che ce l’avrebbe potuta fare: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile”. E poiché Dio ci vuole bene, e usa mille modi per dirci continuamente che la nostra fortuna è quella di essere mortali, risistema le cose: capovolge la punta di quella torre, fatta di un solo popolo e una sola lingua, e la scaraventa sulla terra, creando molti popoli e molte lingue, e gli uomini non si compresero più. E questo perdura fino ad oggi, secondo la logica umana: siamo tanti, siamo diversi, abbiamo costumi diversi, usanze diverse, stili di vita diversi, lingue diverse…è davvero difficile andare d’accordo! Se poi ci si trova a vivere insieme, sullo stesso fazzoletto di terra, intorno allo stesso lembo di mare, le incomprensioni diventano tremende, e addirittura pericolose, violente, assassine… Meglio allora che si torni ognuno a parlare la propria lingua, nel proprio territorio, con i propri usi e costumi, e… alla larga chi cerca di invadere quel poco che abbiamo! È tutto perfettamente logico, secondo la logica umana.
Ma non secondo la logica di Dio. Il quale, un giorno, anzi, una sera di un giorno di festa, “mentre il giorno di Pentecoste stava compiendosi”, decide di riprendere in mano il discorso di molto tempo prima, e getta sulla terra qualcosa di fragoroso, simile alla punta di quella torre fatta di un solo popolo e di una sola lingua, e accade lo stesso di tanto tempo prima, ovvero gli uomini “parlano in altre lingue”. Ma accade anche l’esatto opposto: attraverso molte lingue la nuova umanità “annuncia a tutti le grandi opere di Dio”. Ciò che a Babele – perché idea dell’uomo – fu causa di divisione, a Gerusalemme, la sera di Pentecoste diventa motivo di unità, perché idea di Dio. Ecco il paradosso di Dio: quando l’uomo vuole unirsi per fare guerra a lui, Dio lo divide per creare unità.
E per di più, fa questo attraverso un gruppo di Galilei: pescatori, esattori delle tasse, politici eversivi, forse anche qualche terrorista…questo era, quel gruppo di Galilei. È proprio il caso di dire che Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra storia. E la storia della salvezza è piena di queste vicende.
Quando l’uomo pensa di una persona “questo è un bambinetto”, Dio lo riempie del suo Spirito e lo fa Re d’Israele. Quando uno pensa a sé come a “l’ultimo degli apostoli, l’infimo, quasi un aborto”, Dio lo riempie del suo Spirito e lo fa Apostolo delle Genti. Quando uno chiede a Dio di essere “allontanato da lui, perché è un peccatore”, Dio lo fa Principe degli Apostoli. Quando una donna viene additata da tutti come “una peccatrice”, Dio le affida l’annuncio della Resurrezione di suo Figlio. Quando i muratori gettano via una pietra perché non serve a nulla, Dio la riempie del suo Spirito, e la fa testata d’angolo.
Quando noi pensiamo che la diversità sia segno di frammentazione, di debolezza e di contrasto, Dio manda il suo Spirito, e fa dell’umanità “un solo corpo”.
Quando noi (soprattutto noi preti) pensiamo che mettere insieme molti “carismi”, molti “ministeri”, molte “operazioni” rappresenta una perdita di tempo nell’attuazione delle nostre proposte pastorali – che tra l’altro poche volte coincidono con le proposte di Dio – egli ci fa capire che la diversità è il luogo in cui si manifesta lui stesso, che è “un solo Spirito”, “un solo Signore”, “un solo Dio”.
“Eppure il vento soffia ancora”, diceva un noto cantautore italiano. E menomale! Perché quando lo Spirito soffia sulla Chiesa, anche se in apparenza sembra che venga a scompigliare le cose, così come un “vento che si abbatte impetuoso” scompiglia la messa in piega di chi si era da poco fatta bella, in realtà porta freschezza, porta voglia di vivere, porta voglia di fare, ma soprattutto porta pace.
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, Gesù sarebbe potuto entrare in quel luogo che aveva le porte chiuse “per timore”, e rimproverare i discepoli che non volevano credere all’annuncio della sua Resurrezione da parte di quella peccatrice della Maddalena. Invece, dona loro il suo Spirito, dà loro il potere di perdonare, li manda in missione, ma soprattutto dice loro: “Pace a voi”.
Certo, lo Spirito non ti lascerà in pace, ma di sicuro ti dona la pace. Come un cuore che batte, che a volte va in tachicardia e non lascia in pace il corpo, ma proprio per questo gli dà vita.
Che Dio ci liberi da una vita di fede fatta di certezze statiche e acquisite, e che, sia pur balbettanti e insicuri, bruci le nostre teste dure ancora una volta, come allora, con quelle “lingue come di fuoco”, e ci sbatta per strada a “annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”.