V domenica del tempo ordinario

La liturgia odierna ci presenta, nelle tre letture, tre differenti vocazioni: quella di Isaia, quella di Paolo e quella di Pietro. Ogni vocazione è una storia unica e irripetibile. È difficile, e forse non è neppure bene, fare dei confronti.

Tuttavia possiamo osservare alcuni elementi comuni alle tre chiamate, che possono farci del bene e aiutarci nella riflessione:

La coscienza del peccato

Isaia, chiamato da Dio ad essere profeta, esclama: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito!”.

Paolo, scelto per essere apostolo dei pagani, scrive: “Cristo risorto apparve a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto”.

Pietro, invitato da Gesù in persona a diventare pescatore di uomini, gli risponde: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!”.

Definire se stesso come “un uomo dalle labbra impure”, o “un peccatore” o addirittura “un aborto” è qualcosa che fa riflettere profondamente.

Innanzitutto dimostra che c’è una auto-conoscenza matura. Quando ci dichiariamo peccatori, diciamo la verità su noi stessi. La confessione dei peccati è l’unico processo in cui colui che si dichiara colpevole viene assolto: esattamente l’opposto di ciò che accade nei processi umani.

La nostra condizione di peccato non deve essere un ostacolo nell’accogliere l’amore di Dio.

La Bibbia ci dice che proprio gli uomini e le donne che più hanno sperimentato il peso e l’oltraggio dei propri peccati, hanno maggiormente fatto esperienza dell’amore di Dio.

Una prima riflessione per noi potrebbe essere questa: per incontrare Dio non devo avere paura dei miei limiti, non occorre che li nasconda o che indossi una maschera per apparire migliore.

“Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.

Quell’avverbio “anzitutto” vuol dire prima di tutto, per prima cosa.

In questa antichissima professione di fede, che Paolo scrive ai Corinzi, forse il primo Credo della Chiesa apostolica, si dice la cosa fondamentale, cioè che Cristo morì per noi peccatori.

Il riconoscimento della nostra condizione di peccato non è solamente il primo passo che noi facciamo verso Dio, ma anche il primo passo che Dio fa verso di noi.

L’individualità della scelta

Isaia si sente rivolgere una domanda precisa da Dio: “Chi manderò e chi andrà per me?”.

Paolo sente la voce di Gesù che lo chiama ad essere apostolo tra le genti, e in virtù di questa chiamata avverte di essere il più piccolo tra gli apostoli, indegno perfino di essere chiamato apostolo perché ha perseguitato la Chiesa di Dio.

Pietro riceve l’invito chiaro del Cristo: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”.

Che si tratti di diventare profeta, apostolo delle genti o pescatore di uomini, all’origine di ogni vocazione c’è sempre una chiamata intima e personale.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della chiamata individuale che tutti abbiamo ricevuto, mediante il Battesimo, in questi termini: “La Santissima Trinità dona al battezzato la grazia santificante, la grazia della giustificazione che: 1) lo rende capace di credere in Dio, di sperare in lui e di amarlo per mezzo delle virtù teologali; 2) gli dà la capacità di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo per mezzo dei doni dello Spirito Santo; 3) gli permette di crescere nel bene per mezzo delle virtù morali. In questo modo tutto l’organismo della vita soprannaturale del cristiano ha la sua radice nel santo Battesimo” (CCC 1266).

Siamo stati chiamati, come Isaia, Paolo e Pietro, a credere nell’amore di Dio, sperare, amare. Possiamo agire sotto l’azione dello Spirito e crescere nel bene.

Tutto questo si realizza all’interno di un rapporto personale, unico e irripetibile, basato sulla mutua conoscenza e sul dialogo interiore.

La risposta personale

Abbiamo ascoltato Isaia rispondere deciso: “Eccomi, Signore, manda me!”.

Paolo scrive in una sua lettera “Ti rendo grazie perché sei tu che mi hai dato la forza, Gesù Cristo nostro Signore, perché mi hai giudicato degno di stima chiamandomi al ministero””

Pietro dichiara sinceramente a Gesù: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo”.

Tutti e tre questi personaggi hanno avuto il coraggio di dire “Sì” e di accettare la sfida.

Scrive P. Rondet SJ: “I santi hanno cercato la volontà di Dio con tutto il loro cuore, hanno avuto una coscienza assai viva di essere stati prevenuti, preceduti dall’amore di Dio, un amore che non finiscono mai di riconoscere nell’azione della grazia. Nella loro scelta, essi hanno proceduto a tentoni, esitato, talvolta dubitato, per affidarsi infine allo Spirito che li guidava verso il Regno. Essi hanno saputo vedere la grazia negli eventi più disparati, glorificando Dio nella prova come nel successo. La risposta alla chiamata di Dio recherà il segno del materiale utilizzato, ma più ancora quella dell’architetto che noi siamo e che ne è responsabile. Non si può far tutto con tutto, ma si può sempre fare di una vita un’opera. L’amore può far scaturire la santità nei peggiori contesti umani: la testimonianza di coloro che hanno consacrato la loro vita all’amicizia degli emarginati, dei diseredati, degli esclusi, non cessa mai di ricordarcelo. Ci chiediamo se si possa parlare di una volontà particolare di Dio su ciascuno di noi. La Chiesa, facendoci vivere la comunione dei santi, ci ricorda che sarebbe più esatto parlare di una risposta personale da parte di ognuno di noi al desiderio di Dio”.

L’esperienza del perdono

“Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”.

“Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e il suo perdono in me non è stato vano”.
“Non temere, Pietro!”.

I tre personaggi che sono al centro della liturgia di oggi hanno fatto esperienze forti di perdono e sono diventati a loro volta annunziatori del perdono.

Ci sarebbero varie citazioni che si potrebbero fare, a questo proposito.
Ne scegliamo tre.

“Venite, e discutiamo, dice il Signore; anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana” (Is 1, 18).

“Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Col 1, 13-14).

“Fatevi battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti e la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore, Dio nostro” (At 2, 38-39).

È vero che nel Padre nostro diciamo “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, per cui se vogliamo essere perdonati da Dio, dobbiamo noi per primi perdonare. Ma è vero anche il contrario: solo ci ha ricevuto il perdono di Dio può perdonare veramente gli altri.

Isaia, Paolo e Pietro ci insegnano proprio questo: dopo aver sperimentato di essere peccatori, chiamati individualmente, capaci di accettare la chiamata, essi di dicono che il perdono ricevuto diventa in noi sorgente di vita nuova nei confronti degli altri.

Preghiamo perché possiamo essere fedeli alla nostra vocazione battesimale e possiamo imitare questi esempi biblici, che la liturgia pone davanti ai nostri occhi.

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