V domenica di Pasqua
Gesù ci parla oggi di gloria e di amore. Siamo nel contesto dell’ultima cena, dopo lo sconvolgimento della lavanda dei piedi. In tempo pasquale, non si tratta di un salto all’indietro, bensì di una riconferma: non c’è Resurrezione senza passione. La Pasqua è un unico mistero, di morte e di vita, di tenebra e di luce, di consegna e di pienezza. Come la vita nostra. Solo che con la Pasqua la vita con le sue contraddizioni tende definitivamente verso il polo della luce e della pienezza.
Per comprendere il mistero, c’è da stare, però, dentro la contraddizione. Guardiamola con gli occhi di Gesù. Egli parla non appena Giuda “fu uscito (dal cenacolo)” (v. 31a). Pochi versetti prima, l’evangelista ci ha consegnato il dramma più atroce: si è compiuto il tradimento. Sì, perché il tradimento più duro da digerire è quello del cuore, ancor prima e ancor più profondamente che nei fatti. Nel cuore di Giuda è entrato Satana. Per questo egli è uscito, cercando di fuggire da Gesù. Che con Satana non può coabitare.
Siamo a questo punto del dramma della passione, e Gesù parla ai suoi. Parla a noi. In maniera sconcertante: ci parla di gloria! “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato” (v. 31b)…! Ora. Non dopo. Anzi, soltanto dopo lo glorificherà Dio, il Padre, che a sua volta “ora” è stato anche lui glorificato in Gesù. Tremenda affermazione: quest’ora è l’ora del tradimento! È il momento in cui la notte scende tenebrosa nel cuore di Giuda ed egli sceglie anche la notte esteriore per compiere il suo misfatto, allontanandosi dallo sguardo di Gesù, che è la luce. Dunque, se questa è l’ora, è proprio Giuda con il suo tradimento che glorifica il Figlio, e con lui il Padre. Come è possibile ciò?
Come può la notte essere gloria, cioè luce? E se gloria è manifestazione folgorante, come nelle scene roboanti del Sinai anticotestamentario, di che gloria parla Gesù? Non è ancora nemmeno sulla croce, non si è esposto al martirio e al vituperio. Non possiamo quindi pensare nemmeno che sia la gloria di un eroe. Eppure, questa è l’ora. E Giuda ne è il protagonista: in qualche modo va detto – tremenda verità – che egli glorifica il Figlio! O, se lo avesse compreso!
Che cos’è, allora, Signore – perché solo tu ce lo puoi spiegare – la gloria di cui parli? Comprendiamo il cuore di Gesù attraverso il comandamento nuovo dell’amore, che subito dopo il Maestro consegna ai suoi “figlioli” e a noi, desiderosi di essere discepoli. Se Gesù, che ha appena lavato i piedi ai suoi, affida il mandato dell’amore reciproco, forse è proprio lì che troviamo una pista. Da percorrere, più che da ragionare. La gloria, chissà, sta nella logica dell’amore.
È l’amore reciproco. È l’amore per l’altro. E l’altro, il prossimo di lucana memoria, è colui che incontro, prima ancora di colui che vado a cercare. Così viene da pensare che Gesù ha incontrato, fra gli altri, anche Giuda. Giuda è il prossimo di Gesù. Gesù dunque ha amato Giuda.
‘Certo’, potremmo esclamare convinti, ‘Gesù lo ha amato, ma Giuda ha tradito. E dunque nella notte la delusione sarà scesa dirompente nel cuore di Gesù’. Può darsi: il suo cuore era (e rimane) profondamente umano. Tuttavia, certamente c’è di più. Gesù ha amato Giuda e lo continua ad amare proprio ora, mentre l’amico che tradisce sceglie di uscire, e di allontanarsi. Gesù lo ama e in qualche modo lo segue. Sì, proprio lui: inverte il rapporto e segue lui l’amico che lo sta per consegnare, perché brama di continuare ad amarlo anche nel buio più scuro. Non lo vuole abbandonare nemmeno nella tragedia del tradimento.
La gloria del Figlio, quindi, la luminosa manifestazione della sua identità si compie proprio nell’assoluta impotenza di un amore che non riesce – e forse non vuole… – interrompere il corso della decisione libera del discepolo, ma gli si affianca e non lo abbandona nemmeno in questo rifiuto estremo del suo amore. Tanto è gratuito l’amore di Gesù, che Egli continua a donarsi proprio a chi lo rifiuta, sperando soltanto che un bagliore di questa luce impressionante penetri l’ultimo spiraglio di pentimento di un cuore indurito e visitato da Satana.
Ecco l’amore illimitato, l’amore “fino alla fine” (13,1) da cui è iniziata la cena della lavanda. Un amore che non si tira indietro nemmeno davanti al proprio carnefice, desiderando solamente che questi ne intraveda la possibilità di salvezza. La gloria di Dio, allora, del Padre e del Figlio insieme, si manifesta in questa fedele e irriducibile presenza non giudicante e salvifica a fianco di chi si ostina irriducibilmente a pensare che il proprio peccato sia più forte del perdono e dell’amore.
Proprio come il Padre e il Figlio sono inseparabili, e l’uno si manifesta nel volto dell’altro perché tutto di sé ha consegnato a Lui, così Dio mostra la propria verità nell’instancabile cammino alla ricerca pazza del figlio scapestrato, o addirittura cinico e impietrito dalla rabbia, dalla paura, dalla malvagità. È l’amore nuovo, è il comandamento che diventa buona notizia. Ma solo per chi accetta la vertiginosa sfida di abitare fino alle ultime conseguenze le contraddizioni del mondo. Che in fondo stanno dentro di sé. Perché ciascuno di noi, senza andare troppo a cercare altrove, può riconoscere nel proprio animo il paradosso di tanta violenza e autosufficienza mescolate al grido lancinante di dolore di chi solo invoca un amore gratuito per sé. Con Giuda, urliamo anche noi, nel silenzio, la nostalgia e la paura di essere amati tutti interi, senza se e senza ma! Chissà che a noi scendano le lacrime di Pietro, a sciogliere le rigide barriere con cui ci difendiamo dall’impossibile che accade!
Quando sarà, o Signore, che sapremo lasciarci amare al punto da riconoscere la tua gloria luminosa proprio nel penetrare e abitare gli angoli più bui della nostra interiorità? Accadrà come per il cielo: dalla notte più scura arriverà meraviglioso un luccichio di stelle, a mostrare – gloriosa – una storia nuova, redenta da sempre, perché amata. Ora è il tempo di scoprirlo. E non dimentichiamo: una stella manifestò, in una notte meravigliosamente pasquale, la gloria di Dio.