V domenica di Quaresima
Nell’affanno della nostra esistenza, spesa fin troppo a cercare che qualcuno ci guardi, ci veda, ci riconosca, si alza oggi il grido più profondo dell’anima: ‘Vogliamo vedere Gesù!’. Ci prestano la loro voce alcuni pagani, convertiti al giudaismo perché instancabili cercatori di verità. Proprio come noi, ogni volta che non ci accontentiamo delle illusioni regalatici dal mondo.
La Parola oggi risveglia il nostro desiderio: non di certezze, non di garanzie, ma di un incontro, di un volto. Di una alleanza, dunque, con Qualcuno che ci indichi la via della felicità. Il nostro è il desiderio di ogni uomo, di tutti i tempi, lo stesso che condusse il popolo di Israele per le vicissitudini dell’esodo e, tra un tradimento e l’altro, lo sospinse anche alla prova dell’esilio. Là, nella lontananza, simbolo di ogni nostra lontananza dalla Fonte, sgorga imperioso lo stesso grido: ‘Vogliamo vederti, o Dio!’. Ma, con esso, anche una promessa, la Sua: ‘compirò la mia alleanza per sempre, iscrivendola nel tuo cuore’.
E così ciascuno di noi, senza differenza di età o di appartenenza, può divenire la terra in cui si deposita e sprofonda il mistero di debolezza di un chicco di grano. Lo sguardo che cerca Dio, infatti, abita in un corpo ferito dal peccato, eppure impregnato di Infinito. Per il battesimo siamo immersi nell’Eterno, ed Egli stesso, in Gesù, torna a cercarci e a venirci incontro per restituirci la pienezza perduta a causa del peccato.
C’è da lasciarsi penetrare. Per vedere Gesù c’è da abbassare la fronte orgogliosa e contemplare il miracolo di un Dio che scende, scende instancabilmente. Non ci si inerpica nei podi né su per i gradini del potere, per essere visti da chi brama l’amore: Gesù lo sa bene. E scende, scende dal Cielo alla terra, dalle stelle alla polvere, e ancora più giù, nelle viscere dell’umanità. È stato embrione nel grembo di una madre, diviene cadavere nella pancia della terra. Muore, proprio come il chicco di grano, che soltanto così può dare sfogo alla potenza della vita.
La vita, infatti, non può essere trattenuta né spenta. Soltanto, essa desidera scendere fino in fondo, anche negli spazi che teniamo rigidamente nascosti alla sua forza. Così la vita ce li rivela, e li redime. La vita esplode in Gesù, Dio fatto uomo fino a imparare con l’uomo l’umiltà del dolore, per trasformarlo nell’incontenibile vigore dell’offerta.
‘Vogliamo vedere Gesù!’: è l’invocazione fiduciosa, non più angosciata, di chi si riconosce piccolo perché creatura, e allo stesso tempo capace di accogliere in sé la vita. Perché Gesù è la vita, ed Egli, nello scendere in grembo, desidera rinnovare il mistero della fecondazione dentro il cuore di ciascuno di noi. La discesa non è soltanto fisica, ma è soprattutto spirituale. Gesù lo si vede con gli occhi dell’anima: abbiamo bisogno di scendere dentro la nostra anima, di ritrovarla, di abitarla. Lì incontriamo Lui, ad attenderci. Perché mai più ci ha lasciato, dopo aver fecondato la terra della nostra umanità con la Sua vittoria sulla morte. Lì, nell’intimo, con Lui possiamo dimorare.
È giunta l’ora, per ciascuno di noi, di gustare la gloria di un Dio disceso agli inferi della nostra interiorità per illuminarla di Sé, della vita, dell’amore. Egli ha vinto la morte, che paralizzava l’incontro di noi stessi con la nostra miseria. Egli si è immerso nelle pieghe della nostra anima, per rimanervi risorto e trasfigurare fin d’ora i nostri volti mendicanti di amore.
Così, ora, ci volgiamo a Lui, attratti dalla potenza della Croce, riconoscendoci compresi, perdonati, ricreati d’amore. Il grido trova quindi compimento: siamo attirati, perché fatti della stessa pasta. E Colui che è disceso ritorna alla Gloria, innalzato ma mai più solo: nella risurrezione ormai ci ha coinvolti, sollevando – ora sì, senza orgoglio – il nostro volto innamorato.