VI domenica del tempo ordinario
Spero che chi oggi prende sul serio la propria fede – la fede in Cristo Salvezza di Dio – quando fa il suo esame di coscienza e si relaziona con Dio Padre nella preghiera, non abbia in testa di “fare i compiti” tipo: “fammi vedere se sono stato buono o cattivo”. Spero non viva la sua fede solo come un dovere, come un insieme di regole e norme da seguire ma, finalmente, prenda coscienza che la fede è, soprattutto, un percorso vitale, e che la fede in Cristo è una chiamata vocazionale a vivere tale percorso che, in fondo, altro non è che il percorso della chiamata alla santità, ad essere come Lui e vivere, dietro di Lui, come Lui stesso ci ha mostrato. Chi è chiamato a questo cammino di sequela e santità, deve anche prendere coscienza che il vivere che si “trascina” nelle logiche di questo mondo non ha niente a che vedere con la fede, anzi ne è profondamente nemico (Dio o mammona, Lc 16,13) come spesso ci ricordano gli evangelisti.
Il brano del Vangelo di oggi sottolinea fortemente questa linea di “divisione” fra ciò che è nel piano di Dio e ciò che non lo è, l’evangelista Luca usa due parole importanti: Beati e Guai. Sono parole riferite relativamente ad un “voi” che sembra essere generico ma, in realtà, è un “voi” preciso e puntuale, come puntuali e precise sono le divisioni che questo mondo, spietatamente, fa degli uomini.
Quando Gesù parla di questa separazione, fra chi crede e chi no, chi si salva e chi no, siamo portati a vederlo come colui che attua, ordina, questa divisione: questo è un errore gravissimo poiché Gesù non divide ma ci aiuta a prendere atto che, di fronte la salvezza da lui annunciata e realizzata nella sua passione, morte e Resurrezione, Lui è la pietra di scandalo dove tutti gli “scandali” di questo mondo si fermano e non possono andare oltre, come Lui è la salvezza e tutti coloro che gli appartengono saranno pietre, con Lui, della Salvezza nella Resurrezione. In pratica, se pensassimo più a Gesù nei reali termini della Salvezza, come Lui ci invita e ci offre in continuazione, capiremo che non si tratta semplicemente di scegliere da che parte stare, come se ci fosse una linea tracciata, o quale squadra tifare, come fosse una partita di calcio, ma qualcosa di più importante, si tratta di essere o non essere, e non sarà Lui che sceglie (e quindi divide!) ma sceglierà l’essere a cui abbiamo deciso di far aderire il nostro essere: se il nostro il nostro essere si rende “compatibile” con l’essere di Dio che, ricordiamolo, è amore, allora saremo “beati” nonostante questo mondo ci tratti da disgraziati e perdenti, come se il nostro essere si rende incompatibile con l’essere di Dio, non essere amore, non potremmo arrivare ad essere con Lui “per sempre” perché, semplicemente, non saremo compatibili. L’incontro con Gesù, nell’incompatibilità con Lui, si traduce semplicemente in un mancato riconoscimento di Gesù stesso: Lui sarà sicuramente ad aspettarci con le braccia aperte per abbracciarci, ma la domanda è: vorremmo farci abbracciare da Lui?
Ma quale l’identikit di chi abbraccerà Gesù e con Lui la vita eterna? Qual è la fisionomia di questi beati? Beh, la risposta è tutta nelle beatitudini di oggi che, prese sul serio, non indicano una sorta di riscatto dei poveri in sé ma la carta d’identità di coloro che guarderanno al Salvatore come unica fonte di gioia, consolazione e speranza. Sono coloro che, nonostante le vicissitudini avverse e l’odio del mondo, affideranno il proprio essere all’amore di Dio che provvede e provvederà a loro, facendo così l’esperienza di quell’amore che mai li abbandonerà. E quale l’identikit di colui che si ritroverà nei “guai”? Al contrario di chi ha “spazio” nella propria vita per ospitare Dio stesso ed il Suo amore, coloro che si riempiono di ogni soddisfazione senza amore, nell’egoismo e delle glorie di questo mondo, non potranno né fare esperienza dell’amore di Dio né “allenare” il proprio amore ad essere l’unica realtà per la vita eterna.
Possiamo capire che la questione non è essere ricchi od essere poveri in sé, nelle sostanze, ma lasciare abbastanza spazio nella propria vita per incontrare Dio e per accogliere il Suo amore, e poi crescere in esso affinché diventi questo diventi essenza del proprio essere – diventare “divini” nella via della Santità è in fondo solo questo! – l’unica realtà di riferimento per questa vita e, soprattutto, per la vita eterna, la Resurrezione.
Il rovesciamento di prospettiva di ciò che viviamo in questo mondo, su chi è beato e chi no secondo Gesù, è comprensibile solo nell’ottica dell’amore e del progetto di salvezza che Dio ha per noi. Se alla sequela di Gesù, come lo erano le folle ed i discepoli di cui ci parla il primo versetto del Vangelo di oggi, capiamo che le parole di amore e di speranza che Lui ci dona sono l’unica realtà possibile, non faremo fatica a credere di essere beati (fortunati) anche nel pieno dei bisogni e nei dolori che questo mondo ci impone. Fortunati perché amati e graziati da Dio, proprio da colui che per farci capire il primato dell’Amore e di come stanno veramente le cose, sceglierà, liberamente, la via della croce, la via più infame tutte!
Rimane, però, un grosso dilemma, come possiamo parlare noi oggi delle beatitudini e dell’amore di Dio che predilige e salva chi gli fa spazio perché povero, affamato, insultato, perseguitato? Semplice, continuiamo a percorrere la strada dietro Gesù, alleniamoci a crescere nell’amore che ci è stato dato e che abbiamo riconosciuto come realtà del nostro essere, e l’amore, si sa, cresce, aumenta e si perfeziona solo quando se ne dà, e più se ne dà più esso cresce, aumenta e diventa perfetto in noi ed in chi ne riceve da noi. Attraverso il nostro amore si può far fare l’esperienza dell’amore di Dio. Su questa strada possiamo capire anche che i poveri, gli affamati, i bisognosi, i perseguitati nascondono in sé Gesù perché è Gesù stesso che, attraverso loro, ci dà l’occasione di capire l’amore, di avanzare nell’amore, di far si che l’amore diventi già qui, in questo mondo, la realtà totalizzante. Più amo, più ho “carità” per chi ne ha bisogno più ne riceverò anche io e crescerà come mio “io”.
Riconosciamolo, anche noi battezzati siamo troppo impegnati a risolvere i problemi di questo mondo che rischiamo di guardare il mondo come il mondo guarda se stesso e non come lo guarda Dio: ci siamo troppo abituati a dare una misura all’amore, e a conservarcelo per le “occasioni giuste”, che rischiamo di riempircene senza lasciare spazi all’amore di Dio, l’amore vero. Se proviamo a rovesciare la prospettiva secondo la prospettiva di Dio padre, forse ci accorgeremo che proprio quelli che oggi sono disgraziati per il mondo, ma beati per Gesù, ci vengono incontro per darci un’occasione, per darci una possibilità di uscire fuori dai “guai”, perché quelli che sono “guai” per Dio sono beatitudini per il mondo e viceversa, ma l’unica realtà che vincerà questo mondo, questo stato di cose, è l’eternità dell’amore, nella quale entreranno solo coloro che si saranno allenati e si rendono “compatibili” con esso.