VII domenica del tempo ordinario
Dopo aver proclamato le beatitudini sul monte, il Signore rilegge – secondo il primo Vangelo – le prescrizioni della Legge, non per abolirla ma per darle compimento (cf. Mt 5,17), Essa, infatti, resta valida ma viene portata alla sua perfezione nella presenza e nella vita stessa di Gesù. C’è un oltre, un orizzonte più profondo; l’autorevole ”ma io vi dico” del Signore svela il senso autentico e la vera natura della giustizia secondo il Padre, apre questa realtà alla piena intelligenza del cuore.
Oggi siamo di fronte ai due brani conclusivi di questa parte, due testi che confluiscono l’uno nell’altro e che presentano il vertice, il punto più alto dell’identità cristiana: l’amore al nemico ovvero l’amore universale senza limiti e confini, che tutti include e non conosce esclusioni. È l’amore di Dio per noi, ed è l’amore di Dio in noi.
La formula occhio per occhio e dente per dente esprime la cosiddetta “legge del taglione”. Questa legge non era esclusiva di Israele, ma si trovava presso il diritto di tutti i popoli antichi. L’Antico Testamento la presenta nei vari codici legislativi del Pentateuco. Lo scopo era quello di porre un principio di proporzionalità nella vendetta e nella pena.
Infatti, il peccato originale del rifiuto di Dio (cf. Genesi 3) ha dato l’avvio all’inimicizia e alla violenza fra gli uomini; avviene il primo omicidio per mano di Caino e poi risuona il canto di Lamech, suo discendente, che esalta la vendetta personale portata all’ennesima potenza (cf. Gen 4). Dunque, la Legge si è resa necessaria per contenere il dilagare della violenza e della prepotenza, agendo come argine o deterrente attraverso l’imposizione di misure “ragionevoli”. Ciò, però, non estingue la realtà del male; nessuna legge positiva ha la forza di eliminare il male dal cuore dell’uomo, sanandolo alla radice. Questa è l’opera di Dio, in Gesù.
Con Gesù giunge il tempo del compimento anche per la Legge e il compimento/perfezione sta nell’amore. Ciò che vince il male è solo l’amore. Ecco allora che il Signore sostituisce al male per male ben misurato della legge del taglione la proposta del bene per male smisurato di una legge di misericordia. Con le sue “ipotesi eccessive”, caratterizzate da una misura di bene abbondante, ci sollecita a sorvegliare i nostri sentimenti e dinamiche interiori e ci indica un modo possibile di vivere le relazioni conflittuali.
Non opporsi al malvagio = opporsi vuol dire vuol dire porsi/agire contro, contra-stare e riferito al male in modo astratto ed ideale va benissimo. Ma Gesù parla del malvagio, cioè dell’uomo che fa il male. La sua considerazione si posa su di lui in quanto persona, perché chi fa il male è la prima vittima del male, è il primo ad esserne oppresso. Non opporsi vuol dire non rivolgersi a chi è ostile in modo uguale e contrario perché questo non solo non ferma il male ma lo rinforza. Il Signore ci invita a dare al malvagio una risposta diversa, che nasca da un cuore mite, comprensivo e misericordioso perché il malvagio ha bisogno di misericordia.
L’immagine del porgere l’altra guancia, che genera sempre tanta derisione da parte del mondo, suggerisce molto plasticamente che si rifiuta così totalmente di far male da preferire riceverne il doppio piuttosto che renderlo, si sceglie di subire l’aggressione piuttosto che aggredire, si preferisce restare vittima pur di non moltiplicare la violenza. Gesù ha vissuto questa scelta: Lui è l’Agnello che si è caricato dei nostri peccati (cf. Gv 1,29) e che nella Passione non si è opposto al malvagio. Gesù è l’uomo nuovo delle beatitudini, mite ed umile di cuore (cf. Mt 11,29). Ci deve essere e deve maturare una opzione fondamentale in colui che appartiene a Cristo e vuole seguirlo ed è quella della mitezza.
A chi ti vuole togliere la tunica…lascia anche il mantello = la tunica era l’abito fondamentale mentre il mantello serviva come coperta di notte. La prima si toglieva agli schiavi, mentre il secondo, anche se era stato preso in pegno per qualche motivo, doveva essere restituito al tramonto del sole. Questi indumenti rappresentano quanto necessario alla persona e alla sua dignità, alludono al proprio legittimo diritto. Qui i verbi sono togliere e lasciare. Nella vita incontreremo chi ci vuol togliere il nostro per brama di possesso, per invidia, per rancore. L’invito del Signore, il quale è stato privato della tunica nella sua crocifissione, è a rinunciare anche al proprio diritto pur di non mancare all’amore, pur di non entrare in contese cariche di odio e risentimento.
Se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due = c’è il verbo angareuō/angariare. L’ “angaria” nell’impero romano era un servizio di trasporto imposto ai soldati o ai civili (pensiamo al Cireneo “angariato” dai soldati romani per portare la croce del condannato Gesù, cf. Mt 27,32). Nella vita ci sarà qualcuno che ci caricherà dei suoi pesi, forse lo farà volontariamente per egoismo o forse, involontariamente, per bisogno. Il Signore ci dice di accogliere questi pesi con generosità, di trasformare quella pretesa/costrizione nei nostri confronti in accompagnamento dell’altro. Paolo dirà: “portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2).
Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle = sembra l’enunciazione più leggera, ma in realtà la dinamica è la stessa: quando ci viene chiesta la nostra vita (tempo, beni, attenzione…) in tanti e svariati modi, dobbiamo darla, lasciare che sia presa perché è vita dei figli di Dio che si dona. Non voltare le spalle vuol dire rimanere in relazione, volto verso volto.
La seconda parte del Vangelo ci fa raggiungere la vetta: l’amore verso i nemici. Se tutto quello che ha preceduto già suonava troppo difficile, qui sembra di essere alla follia completa! Si, la follia di Dio!!!
Il Signore lo sa che possiamo amare con l’amore di Dio in noi, lo sa che siamo liberi di amare perché Lui ci ha donato lo Spirito dell’Amore, Lui ci ha resi liberi. Siamo noi che non lo sappiamo.
Dobbiamo ascoltare questo Vangelo lasciando fuori le banalità, la superficialità, la paura; dobbiamo ascoltarlo rientrando nel nostro intimo, per riconoscere la verità e la giustizia della Parola del Signore, per gustare la gioia e la pace che ne scaturisce, per imparare ad attingere alla Croce di Gesù il coraggio dell’amore.
Lasciamoci interrogare dalla Parola, permettiamole di scrutare il nostro cuore e la nostra coscienza:
• quanto dentro di noi siamo ancora “l’uomo della pietra e della fionda” nelle nostre reazioni e relazioni? quanto comprendiamo e desideriamo vivere la libertà del mite, dell’operatore di pace e di giustizia?
• siamo informati e consapevoli che ancora oggi ci sono molti paesi dove la pena di morte (= legge del taglione) non è abolita o lo è solo formalmente?
• ci rendiamo conto chiaramente di quanta violenza si abbatta sui minori, sulle donne, sui deboli (abusi, bullismo, femminicidi, esclusione sociale); da quanta aggressività sia caratterizzata la comunicazione sul web, di quanto linguaggio “muscolare” o “menefreghista” risuoni nella politica mondiale?
• ci accorgiamo di quanta opposizione incontra il Papa nell’annunciare l’amore evangelico, nel ricercare la giustizia dentro e fuori la Chiesa, nel percorrere cammini di pace e di fratellanza universale?
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