X domenica dal tempo ordinario
Il racconto evangelico di Gesù che sente compassione per la vedova di Naim ci viene incontro con la sua semplicità e provocazione. Sappiamo, per fede, che non è solo il ricordo di un fatto perduto nel tempo e nello spazio, ma contiene l’annuncio di una presenza e di un incontro che riguarda noi oggi.
Gesù entra in un villaggio, ai piedi del monte Tabor, accompagnato da molta gente. Alla porta del paese Gesù incrocia un altro gruppo di persone, che portano al cimitero un giovane, unico figlio di una madre che già era vedova. Sembra strano che, nonostante la situazione sia tragica, Luca non descriva i sentimenti della donna e di chi l’accompagna. La storia fa un salto in avanti quando Gesù vede la donna e sente compassione per lei: egli si sente toccato dentro da quella situazione e non può andare oltre facendo finta di niente. Noi lettori ci avviciniamo alla sofferenza di quella madre con gli occhi e il cuore di Gesù: ecco perché Luca non ci ha parlato prima della tristezza della donna. È la mamma sofferente che suscita la compassione di Gesù più che il ragazzo morto. Ciò che smuove da dentro Gesù non è la morte ma il fatto che una madre, già vedova, abbia perso il suo unico figlio: egli non vuole lasciarla nel pianto. È l’unica volta che Luca descrive il sentimento della commozione di Gesù, e per questo la scena merita tutta la nostra attenzione (Luca parla soltanto altre due volte di questo sentimento, quando presenta la reazione del samaritano che si avvicina all’uomo ferito e la reazione del padre che vede da lontano il figlio che ritorna e gli corre incontro). In Gesù si manifesta la compassione di Dio per il suo popolo, che i profeti hanno espresso molte volte: una compassione paterna e ancor di più materna (nella lingua concreta della Bibbia il grembo materno è una delle parole usate per dire “misericordia”). Possiamo ricordare Osea 11,8: “Come potrei lasciarti, Efraim; come potrei consegnarti, Israele?…Si sconvolge dentro di me il mio cuore, mi si commuovono le viscera”. E anche Geremia 31,20: “Efraim è il figlio che amo, il mio bambino, il mio incanto! Ogni volta che lo riprendo mi ricordo di ciò, mi si commuovono le viscere e cedo alla compassione, oracolo del Signore”.
Mosso dalla compassione Gesù prende l’iniziativa, agisce con il suo potere sulla morte. Per la prima volta Luca lo chiama “Signore”, titolo che indica il Cristo risorto presente nella Chiesa, il Signore della vita e della morte. Il centro della scena non è il miracolo né il morto redivivo, ma la compassione di Gesù per la madre sola e sofferente: lo prova anche il fatto che l’azione di Gesù non finisce quando risuscita il ragazzo, ma quando lo restituisce alla madre, perché lei aveva suscitato la sua compassione. Grazie a Gesù, la donna che piangeva per la perdita del figlio diviene di nuovo madre. Ora la vita del figlio non viene più da lei ma dal Creatore. Gesù rende di nuovo la donna madre e il ragazzo figlio. Ancora una volta ci colpisce il fatto che Luca non dia spazio ai sentimenti di gioia della donna. Non li nega (e noi li possiamo immaginare), ma per lui è più importante parlare delle conseguenze che il gesto di Gesù provoca nei presenti.
Essi si rendono conto che Dio agisce in Gesù (questo significa il “timore” che sentono, che significa rispetto). La gente comprende che è finito il tempo dell’assenza di profeti, è sorto un “grande profeta”. I presenti vedono in Gesù l’Elia della fine dei tempi; anche quel profeta infatti aveva resuscitato il figlio di una vedova (come ci racconta la prima lettura), come Gesù aveva ricordato nella sinagoga di Nazareth. Riconoscono che è giunto il tempo della “visita” di Dio al suo popolo (come aveva annunciato Zaccaria nel suo canto di lode, Lc 1,78) perché si è ricordato della sua misericordia.
La seconda conseguenza del gesto di Gesù è che la fama di lui espande, preparando così la risposta che Gesù darà ai discepoli di Giovanni battista che chiedono a Gesù se è proprio lui il Messia. Restituendo un figlio a sua madre Gesù rivela un aspetto importante della sua missione: egli è colui che dà vita, come Dio.
Lo sguardo di Gesù sa scoprire la sofferenza nascosta e silenziosa; il suo cuore sa soffrire insieme a chi soffre. La “buona notizia” non è solo che Gesù dona la vita a un morto, ma che ridona il figlio vivo alla madre rimasta sola. Ridona vita e tutto quello che ne segue: gioia, speranza, senso. Questa è la “buona notizia” per ciascuno di noi oggi: quando la vita viene meno, nel passaggi dovuti all’età, alla malattia, alla partenza di persone care, Gesù incrocia il nostro cammino; non ci toglie le difficoltà, neppure la morte, ma sente compassione e fa rinascere la speranza, la fiducia, il coraggio di vivere con le difficoltà.
In questa pagina di Luca vediamo che Gesù fa conoscere la salvezza e l’amore di Dio mentre ricostruisce un rapporto familiare di amore, vicinanza, compagnia, protezione: ricostruisce una famiglia. Così Dio si rivela: aprendo di nuovo la strada dell’incontro, dell’amore. Se Dio si fa conoscere così, allora possiamo rispondere a Lui quando costruiamo rapporti di comunione, quando cerchiamo di restare fedeli nel momento della prova, quando sfidiamo la morte dell’egoismo con la forza della compassione e della misericordia; quando mettiamo la nostra vita al servizio di chi non può avere vita piena.
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