XII domenica del tempo ordinario
Risuona come un ritornello che rinfranca la Parola del Signore della vita e della storia: ‘Non abbiate paura!’. Nessuna parola, nessuna esortazione è più opportuna e più attuale di questa, in un’epoca della storia dell’umanità in cui ci si è abituati a fare della paura una compagna di viaggio da pubblicizzare e sfruttare come mezzo di potere e di oppressione, e per la quale si sperimentano soluzioni e rimedi ben poco efficaci e spesso a loro volta generatori di terrore. Si parla di terrorismo ogni giorno, nei notiziari e nei social network. Ci si interroga su come debellare questa terribile piaga che ferisce non solo le vittime, ma anche l’umanità tutta nella sua stessa dignità. Ci si rimanda a vicenda responsabilità e colpe, con il rischio di alimentare soltanto divisioni e accuse tra i popoli, mossi da interessi nascosti e da sotterfugi di potere. C’è dunque da cercare di capire con più chiarezza, per lavorare a risposte più efficaci e rispettose dell’uomo tutto intero. La paura, di cui il terrore è l’esasperazione, è una pessima consigliera! Ma si ha paura quando è a rischio ciò a cui si tiene, si dà importanza; quando qualcosa o qualcuno a cui si è affezionati può essere tolto o allontanato. La paura più terribile, quindi, sembra essere quella di perdere la vita. Ma si parla anche di libertà, di valori democratici, di pacifica convivenza… Tutto questo si ha paura di perdere, nei Paesi dell’occidente, che si percepiscono in gran parte sotto un assedio imprevedibile e meschino, fatto di attacchi violenti e mortali nel cuore della normale e ordinaria esistenza della gente. Si ha paura di morire, o che muoiano le persone care! È comprensibile, è profondamente vero: alla vita ci sentiamo attaccati tutti e tanto, per questo vorremmo averla garantita e tutelata. Ma quale vita? E la vita di chi: solo di alcuni? La vita del corpo – direbbe il Vangelo di oggi – è a rischio: qualcuno può ucciderci. E quindi? Si elaborano strategie per difenderci, si cercano strade per assicurare una convivenza pacifica, si incrementano le misure di sicurezza, che poi vuol dire anche di selezione e controllo dei movimenti delle persone e dei popoli, già straziati dal dramma di migrazioni obbligate e di esodi tragici di uomini, donne e bambini inermi. E queste vite? E questi corpi? Può essere la politica della sicurezza la risposta più efficace? A dire il vero, non sembra avere dato molti risultati. O meglio: si percepisce – dietro una comunicazione purtroppo spesso deformata e manipolata – che bolle in pentola dell’altro, e che basta un qualche animo meschino e cinico per approfittare di una situazione già dura, per speculare a partire dal proprio interesse economico. Perché, infatti, la diplomazia mondiale è spesso così inconcludente? Perché è più facile vedere rinnovarsi un traffico di armi che una catena di solidarietà? Lo diciamo in maniera evangelica: perché non esiste solo il corpo, ma anche l’anima. Perché qualcuno, più o meno consapevolmente, accetta che si salvi il corpo, ma si vende l’anima e se la lascia uccidere dall’egoismo. Perché anche nella nostra ormai millenaria cultura radicata nei valori della persona e della comunità si accetta che la persona stessa venga appiattita a una visione della vita piatta e superficiale. Ecco allora che comprendiamo il monito di Gesù, così attuale e urgente: più del corpo, è necessario salvare l’anima. Perché se si perde l’anima, anche il corpo è perso, nonostante venga mascherato da decorazioni e impianti estetici vari, o adorato freneticamente nei nuovi templi del fitness e del salutismo. Ma così come c’è il rischio di perdersi del tutto, dietro l’idolatria del corpo, allo stesso modo sappiamo che chi ha cura dell’anima avrà salvo anche il corpo. Gesù non sta denigrando la dimensione fisica della persona. Egli si pone contro una logica dell’interesse egoistico, la quale emerge con chiarezza nei momenti della paura, appunto. Quando la paura intercetta la vita – e questo prima o poi accade per tutti, perché la morte è esperienza inevitabile – allora si intravede che cosa si intende quando si parla di vita, e che cosa sta veramente a cuore di una persona e addirittura di un popolo. C’è da sconfiggere la tirannia del terrore, ma in tutti i suoi aspetti. Anche nelle forme occulte del relativismo materialista, che trasforma in idolo ciò che è solo un mezzo, e storpia l’immagine della persona riducendola a un soggetto di consumo sfrenato. La paura più grande che il Vangelo ci pone davanti è quella di perdere Dio! Chi rinnega Gesù e con Lui il Padre, cioè chi rifiuta di aderire alla verità di se stesso, creatura limitata e per questo amata immensamente dal suo Creatore, si condanna da solo a far sì che ogni ostacolo, ogni situazione, ogni incontro sia una potenziale minaccia per se stesso. Chi si preclude di vivere la dimensione trascendente del proprio cuore, che racchiude in sé un anelito infinito di una Vita che va oltre, e si nasconde nelle tenebre del proprio orgoglio, alimenta da solo lo spazio per il terrore. Egli aggredisce con altrettanta rabbia e violenza chi d’altro canto si è reso strumento per esprimere una drammatica lacerazione che spacca il mondo in mille pezzi, se lo si separa dal senso profondo del suo esistere. Separare corpo e anima; separare l’uomo da Dio, sua fonte di vita; separare le persone e i popoli tra loro in virtù di presunte misurazione di civiltà e di cultura; separare la ricerca del benessere e di sicurezza dalla custodia del cuore come scrigno in cui l’uomo scopre la sua identità più vera e profonda: tutto questo è opera del Diavolo (colui che separa), e tutto questo il Signore Gesù, instancabilmente, ci spinge a vincere. Egli in sé realizza e ci dona l’unione totale tra la carne e lo Spirito, e ci addita così la via perché si compia la certezza da tutti desiderata: che non alberghi più la paura nel mondo, perché di questo mondo il Padre nostro si prende instancabilmente cura.