XII domenica del tempo ordinario
Fratelli e sorelle, probabilmente a tutti nella vita è capitato di assistere alla condanna di un innocente, a volte addirittura di essere noi in prima persona vittime di una cattiveria, di una maldicenza o di un’ingiustizia. E forse ci siamo chiesti: “Perché tutto questo male?”. O, innalzando gli occhi al Cielo: “Signore, perché permetti tutto questo contro di me, contro il mio caro, contro il mio amico? Perché, Dio, tardi a fare giustizia?”.
È in fondo la situazione del profeta Geremia (prima lettura): Dio lo ha inviato a denunciare il male del suo popolo e dei capi d’Israele e si trova a ricevere ingiurie e percosse, anche da parte dei suoi amici che attendono un suo passo falso. Ma lui non si difende, non risponde al male col male perché confida nel Signore.
Carissimi, oggi la Parola ci dichiara in modo forte come essa s’incarni nella nostra vita, nella nostra storia personale e comunitaria.
Gesù conosce bene lo scenario di tenebre che sta annunciando: quante avversità ha già sopportato contro di lui fin dalla nascita… Il “peccato di Adamo” commesso fino a quel momento dai suoi antenati e contemporanei, e che ancora l’uomo – ogni uomo! – di ogni generazione continua a compiere, arriverà a metterlo in croce: e Lui lo porterà con sé sulla croce per vincerlo con l’amore.
Dunque, «Non abbiate paura degli uomini!», «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima» perché «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati».
Perché ciascuno di noi vale agli occhi del Padre e di Gesù stesso “più di molti passeri”. Ecco la luce che brilla nelle tenebre, dentro cioè questo scenario drammatico che ci presenta oggi Gesù: la nostra preziosità agli occhi del Padre e quindi la certezza che siamo salvi.
Chi si sfoga con noi dei suoi dolori perché ci considera amici ha sempre bisogno di una parola di conforto: Gesù ci dona quella con cui possiamo veramente consolare gli afflitti per tenerla viva nella memoria del nostro cuore quando i tribolati siamo proprio noi: «Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!».
Ma prima occorre credere in questa Parola, proprio perché se dubitiamo è difficile essere credibili con i nostri prossimi. Le parole d’occasione le offre il mondo, noi cristiani offriamo parole di vita, di resurrezione e di speranza, poiché piene di Spirito Santo, così come le stiamo ricevendo in questa liturgia.
Dio è nostro Padre e noi in Gesù siamo suoi figli: di che temere? Solo del Suo giudizio!
Ascoltiamo san Paolo (seconda lettura): certo, siamo peccatori, “figli di Adamo”, ma Gesù è venuto a liberarci e a ridirci con la sua stessa vita che prima del peccato di Adamo, prima di tutto – “in principio” – in lui siamo stati creati figli del Padre suo; e con la sua morte e resurrezione ci ridona la nostra prima vocazione: la figliolanza divina.
A noi l’atto di fede: non una volta nella vita, ma ogni giorno.
“O tu, che oggi ascolti la Parola, non avere paura: perché sei figlio! Coraggio: credici! E poi annuncialo nelle piazze, sui tetti o semplicemente all’orecchio del tuo caro che cerca la tua spalla per piangere, il tuo braccio per restare in piedi, il tuo occhio illuminato dallo Spirito Santo per vedere la luce che lui oggi non vede a motivo delle tenebre che lo circondano!”.
Si tratta allora di dare testimonianza al Vangelo non solo nelle grandi occasioni – può succedere, certo! – ma anche e soprattutto nella nostra quotidianità, nell’umiltà delle nostre relazioni: cerchiamo di non perdere questi appuntamenti della grazia, perché ne va della nostra e altrui salvezza. (E forse anche di quella di chi sta facendo del male a noi e ai nostri cari, poiché il giudizio appartiene solo a Dio!).
Si tratta per noi, chiamati “amici”, di attendere non il passo falso del nostro prossimo, ma quello di resurrezione, che forse non elimina le tenebre che egli ha intorno, ma gli dà il coraggio di attraversarle fiducioso e confidente perché è figlio amato.
«Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!».
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