XII dom del Tempo Ordinario

Le letture di questa Domenica ci suggeriscono con forza l’idea che Dio ha il controllo delle situazioni della nostra vita: nulla gli sfugge. Tutto è nelle sue mani.

A Giobbe, il quale ha la sensazione che Dio non si preoccupi dei mali che gli si sono riversati addosso, il Signore risponde ricordandogli che è lui a guidare le forze della natura e gli eventi della storia.

A Paolo, che inizia a intuire quale sarà il destino di sofferenza della sua vita, lo Spirito sussurra nel cuore di non temere e di fidarsi di Colui che è morto per tutti, che ha cura di tutti, fino a donare se stesso.

Ai discepoli terrorizzati nella tempesta, tentati dall’idea che a Gesù non importi nulla della loro salvezza, il maestro risponde: “Perché avete paura?”. E li invita ad avere fiducia in lui.

Questo senso della presenza di Dio accanto a noi, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte, è bene espresso nella orazione di apertura della Messa: “Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia”.

La vita è fatta di consolazioni e desolazioni. L’invito che ci giunge è quello di accogliere le prime senza esaltarci e sopportare le seconde senza abbatterci.

Anche nelle tempeste, come in ogni situazione avversa, siamo invitati a ricordarci che Dio è misteriosamente presente e ci accompagna, camminando accanto a noi.

La voce di Gesù “Non avete ancora fede?” tocca il punto più importante per noi, su cui riflettere e si incontra con quella della Chiesa, che oggi chiede: “Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano”.

È la fede che consente a Giobbe, pur nelle sue molte tribolazioni, di sopportare le interpretazioni errate che gli vengono offerte dai suoi amici e di scoprire che perfino dietro lo scandalo del dolore e della prova più difficile non c’ un castigo ma un disegno accurato e amoroso di Dio.

È la fede che consente a Paolo di guardare Cristo non più alla maniera umana, ma in maniera spirituale e matura, fino ad arrivare alla scelta di morire per lui.

E sarà la fede a permettere agli apostoli, che oggi vediamo ancora immaturi e dubbiosi, di crescere e testimoniare fino al martirio la loro adesione al Maestro.

Il racconto evangelico di Marco, che abbiamo ascoltato, ci offre alcuni punti di riflessione sul tema della fede, quindi.

Alla sera di una giornata impegnativa e faticosa, quando verrebbe naturale andare a riposare, la richiesta di Gesù ci sorprende: “Passiamo all’altra riva”. È una esortazione che può essere accolta sia in senso materiale, come invito a passare dall’altra parte del lago, sia in senso spirituale, come richiesta di non accontentarci dell’ordinario, ma di tendere sempre più allo straordinario, a un percorso di generosità ed entusiasmo, che può farci crescere e ci può aprire gli occhi alle sorprese di Dio e ai suoi interventi miracolosi.

Gli apostoli prendono Gesù sulla loro barca “così com’era”. Possiamo immaginare che anche qui ci sia un riferimento fisico a Gesù stanco, magari sudato e accaldato. Ma si può riflettere anche su un’altra dimensione: Gesù va accolto così come è, con tutto il suo Vangelo, tutto il suo messaggio. Non si può selezionare solo le cose che ci piacciono di lui, lasciando fuori bordo quelle più difficili. Se lo accogliamo nella nostra barca dobbiamo farlo salire “così com’è”, anche con quel “Amate i vostri nemici”, oppure quel “Porgi l’altra guancia”, con i suoi numerosi “Guai a voi!” e le sue radicali esigenze, che a volte faremmo volentieri a meno di caricare in stiva.

L’annotazione “c’erano altre barche con lui” sembrerebbe solo di tipo descrittivo e ambientale, ma ci dice qualcosa di più: se accogliamo Cristo sulla nostra barca, non siamo soli. Non è possibile avere Cristo in esclusiva, solo per noi: ci sono altre barche. C’è la Chiesa, la comunità, i fratelli e le sorelle che lo seguono, lo ascoltano, lo pregano, vogliono vedere i segni e i prodigi che compie, esattamente come noi. Hanno i nostri stessi diritti.

Nel momento in cui uno meno se lo aspetta arriva, poi, la tempesta. Sappiamo che storicamente Gesù ha attraversato varie volte il lago di Genezaret, un lago abbastanza grande da essere chiamato dagli ebrei “mare”. É un lago facile alle tempeste, essendo situato in una depressione molto profonda a più di duecento metri sotto il livello del mare. É chiamato Ajn Allah, l’Occhio di Dio, ed è solitamente un lago calmo e tranquillo. Ma può succedere, magari dopo giornate calde e secche, che delle correnti discensionali piombino all’improvviso sul lago, sollevando alte onde. E accade tutto con rapidità improvvisa. Sul piano spirituale osserviamo che, al termine di una giornata ricca di miracoli, guarigioni, frutti spirituali e conversioni, accade l’impensabile: nel momento di massima grazia arriva la massima prova, una tempesta che può portare la morte. Gli apostoli dovranno imparare questo dinamismo e tenerne conto nella loro opera di evangelizzazione: molti frutti, molte persecuzioni.

Ci domandiamo come sia possibile, nel mezzo di una tempesta, stare sul cuscino di poppa e dormire profondamente, senza essere svegliati dal vento, dall’acqua, dalle urla. Lo sfinimento di Gesù, la stanchezza accumulata donando tutto se tesso alle folle che gli si accalcano attorno, mosso sempre da profonda misericordia, sono una prima risposta circostanziata. Ma possiamo vedere in questo dettaglio anche qualcosa di più: il tema del “silenzio di Dio” nei momenti difficili. È un aspetto che tocca, prima o poi, la vita di tutti. Nella sofferenza e nella prova ci si chiede: “Dove sei, Signore?”. C’è chi perde la fede. E chi invece la acquista, grazie a uno sforzo notevole, fondato sulla fiducia in Gesù, sull’affidare a lui il timone della propria vita.

L’autorità di Gesù si avverte in quell’espressione “Taci, calmati!” che ha tante volte rivolto a indemoniati e malati esagitati. Ma questa volta fa impressione vedere, come commentano gli apostoli, “che anche il vento e il mare gli obbediscono”. In entrambi i casi, la sua è una parola efficace, che compie ciò che dice. Realizza ciò che significa. Solo la voce di Cristo, ascoltata nel silenzio della preghiera e nell’umiltà di un cuore fiducioso è capace di portare calma nell’animo e sedare le perturbazioni che ci vogliono portare a vanificare il suo progetto in noi. “Non in commotione Dominus” (1 Re 19,11). Non nel fuoco, non nel terremoto, ma nel mormorio di un vento leggero Dio si manifesta. E porta la pace.

“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Sembra proprio che paura e fede si escludano a vicenda: o l’una o l’altra.
E ritornano alla mente le parole di Martin Luther King:
La paura bussò alla porta della mia vita.
Rispose la fede.
Fuori non c’era più nessuno.

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