XIV dom del Tempo Ordinario

Guardando alle prime due Letture, ciascuno di noi può attingere sia da Ezechiele che da S. Paolo la definizione di “profeta”.

È un figlio dell’uomo – ci dice la prima lettura – dunque: è un uomo. Ma, continua Ezechiele: è un uomo in cui è entrato uno spirito che gli parla, e lo manda in mezzo agli altri uomini ad annunciare ciò che gli ha detto.

S. Paolo aggiunge una dimensione del profeta che allo stesso tempo ci sorprende e ci dà speranza, frutto della sua esperienza autobiografica: l’inviato di Dio è un uomo segnato (come tutti gli uomini!) dalla sua debolezza; ma proprio in essa l’Apostolo, educato alla pazienza dalla divina Sapienza, riconosce il luogo dell’incontro e della manifestazione della grazia divina che sola opera prodigi in noi e attraverso di noi. E ci fa profeti, testimoni, apostoli.

“A te alzo i miei occhi… pietà di noi, Signore, pietà di noi, siamo già troppo sazi di disprezzo”: è la nostra supplica a Dio offertaci dal Salmo responsoriale di oggi.

È la preghiera dell’umile Apostolo delle genti, Paolo, il quale riconosce che non può vincere con le sue sole forze umane la sua debolezza e, da fedele zelante quale è, si rivolge al Signore, datore di ogni dono, supplicandolo di essere liberato da ciò che lui ritiene un ostacolo e uno scandalo a se stesso nel servizio del Regno.

S. Paolo, dunque, alza gli occhi verso Colui che sa essere il solo – se lo vuole! – che può liberarlo da questa debolezza che soffre. Ma l’Altissimo invece gli lascia questa piaga, conducendolo ad accoglierla e a riconoscerla nella fede come il luogo dell’incontro con Lui e della manifestazione della sua forza.

Con il Vangelo, l’identikit del profeta è completa: il Profeta è Gesù Cristo.

Un profeta che, al pari di Ezechiele, Gesù conferma essere motivo di scandalo, di disprezzo e di incredulità tra i suoi, cioè tra quegli uomini a cui è mandato.

Stabilisce il Concilio Vaticano II che i fedeli, incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio, sono partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo (cf LG 31).

Dunque il dono del profetismo ci viene concesso gratuitamente nel Battesimo. Ma se vogliamo vivere autenticamente la nostra fede battesimale e incarnare il carisma profetico infuso in noi non esiste altra via che quella percorsa da Gesù.

Guardiamo la nostra realtà: noi cristiani siamo ormai una minoranza in questo mondo secolarizzato; e anche nel nostro piccolo – tra “i nostri” – subiamo le stesse umiliazioni del Figlio di Dio.

Ma il Vangelo, nostra speranza, ci dice qualcos’altro: l’ostacolo non impedisce al Signore di portare avanti la sua opera.

Compie pochi miracoli Gesù nella sua patria: ma il Regno di Dio paradossalmente avanza così! Con il poco, con il piccolo, con il resto… con lo scarto.

Infatti, questi pochi uomini guariti rimarranno tra i loro parenti e compatrioti testimoni di quanto Gesù ha fatto per loro, sia che lo rinneghino, sia che lo testimonino. Chi guarda a loro (come noi oggi) vede che il Padre attraverso Gesù ha avuto con essi misericordia.

Non solo, Gesù prosegue altrove la sua missione: nulla arresta l’umile corsa del Regno!

Paolo stesso lasciando agire la grazia di Dio nella sua debolezza arriverà fino a Roma ed evangelizzerà noi “gentili”, testimone di come l’umiliazione riposta nelle mani di Dio è pedagogica per diventare veramente degni profeti del Regno: uomini tra gli uomini con una risorsa di umiltà in più nel riconoscere che è lo Spirito del Signore che ci manda e ci dà forza.

“Lo Spirito del Signore è sopra di me: mi ha portato a portare ai poveri il lieto annuncio”: parole che nel Vangelo di Luca lo stesso Gesù, l’umile Figlio di Dio, fa sue: quanto più noi, peccatori amati.

E chi sono questi “poveri” a cui siamo inviati se non proprio coloro per cui siamo motivo di scandalo, di derisione e di incredulità? Sono i poveri non solo di pane, ma di speranza: i poveri “di” Vangelo.

Fratelli e sorelle, ci conceda il Signore di essere docili all’ascolto della sua Parola per essere umili profeti di speranza tra i nostri fratelli, e di avere i suoi stessi sentimenti perché la nostra meraviglia di fronte agli increduli – i poveri! – non sia luogo di disprezzo e di sfiducia nei loro confronti, ma di ancor più compassione e desiderio della loro salvezza in Cristo Gesù. Amen.

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