XIX domenica del tempo ordinario
Nella Parola che la chiesa oggi ci dona, si intrecciano varie tematiche: fede-speranza-attesa-vigilanza. Provando a dargli una cornice che le possa racchiudere, potremmo dargli quella del cammino, del viaggio, che ritroviamo anche nella preghiera di colletta: “O Dio, fedele alle tue promesse…donaci di vivere come pellegrini in questo mondo…”.
L’evangelista Luca infatti inserisce questo discorso di Gesù nel suo viaggio verso Gerusalemme dove compirà la sua missione con la Pasqua (Lc 9,51). È in questo contesto che Gesù pronuncia le parole: “Non temete, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”.
Gesù ci ricorda di non avere paura perché la storia di ognuno di noi è dentro un cammino che ha una meta precisa che è il suo regno, regno nel quale, attraverso proprio la sua Pasqua, già camminiamo partecipando alla vita nuova dei figli di Dio (Rm 6,4).
Tutto quello che la vita ci mette di fronte, vissuto nella fede al Signore, può sempre diventare una strada, un sentiero. Tutto può diventare una direzione verso il compimento del suo Regno.
Infatti subito dopo Gesù aggiunge: “siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” ed è chiaro il riferimento alla notte in cui il popolo di Israele è stato liberato dall’Egitto e si è messo in cammino verso la terra promessa.
Questo è l’equipaggiamento del cristiano: veste strette ai fianchi e lampade accese, cioè l’equipaggiamento dell’uomo libero che si mette in cammino, che non rimane ostaggio e schiavo delle cose, dei suoi progetti, delle sue idee. Il cristiano non sta dentro la vita come un mistero da controllare, nel quale sistemarsi alla meno peggio, ma sta dentro la vita come un mistero da accogliere nel quale cammina come pellegrino vigilante, con la lampada accesa della fede in Dio Padre che si prende cura di lui.
Tutto questo è rappresentato dal segno del cero pasquale che viene acceso esclusivamente per ognuno di noi nel giorno del nostro battesimo e quello del nostro funerale. La luce del Risorto illumina tutto il cammino della nostra vicenda terrena: nel battesimo la riceviamo per vivere come figli della luce (1 Ts 5,5), e con questa luce camminiamo verso il compimento della nostra vita nell’incontro con il Signore che viene.
La nostra fede allora non è avere risposte precise e inamovibili sulla vita, ma la fede è il coraggio di aprirsi ad un cammino illuminati dalla fiducia nel Signore. Essere quindi sempre pronti, ricettivi alle nuove partenze, agli esodi, che il Signore continuamente ci offre attraverso gli avvenimenti della storia e l’incontro con l’altro.
Ecco allora che oggi Gesù ci invita a vigilare per non rimanere schiavi dell’illusione di essere padroni e controllori di tutto.
Qualcuno diceva: “le cose e le persone o si posseggono o si vivono”. Questo è il crocevia che ci offre il vangelo, perché quando pensiamo di possedere, controllare, modellare la nostra relazione con Dio, con la vita e con gli altri, allora sia il Signore, che la vita, che il fratello si presenteranno a noi come ladri che pensiamo possano rubarci il “nostro tesoro”! Da qui l’ansia verso il futuro e la difesa dalle sorprese che Dio vuole donarci.
Siamo spesso segnati, sia personalmente che come Chiesa, dalla paura del cambiamento, dalla fatica di leggere, negli avvenimenti che accadono, il Signore che ci visita e ci apre strade nuove su cui rimetterci in cammino. Le conseguenze di questa resistenza al cambiamento non è solo restare fermi, schiavi delle nostre idee, ma può diventare una vera e propria forma di violenza: Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi…”.Contrabbandare per verità le “nostre” certezze inamovibili sul Signore, sul mondo e soprattutto sugli altri, possono tramutarsi in veri atti di violenza che la storia (anche quella della Chiesa) ci ha consegnato e ci consegna ogni giorno.
Nella conclusione del vangelo troviamo il verbo amministrare: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?”
Siamo chiamati a stare dentro la vita come amministratori dei doni che abbiamo ricevuto da Dio Padre e non come padroni. Il dono della libertà e della vita dei figli di Dio non vanno conquistati ma vanno custoditi e amministrati. Questo significa che non abbiamo più bisogno di usare la nostra vita per provare disperatamente ad apparire forti e degni di essere amati e apprezzati, ma siamo chiamati alla più grande libertà che è quella di servire.
Anche se in modi diversi, ciascuno di noi è chiamato a “dare all’altro il cibo al tempo opportuno” ed è questo il senso dell’eucarestia. Anche se nella comunità gli apostoli hanno un compito e responsabilità specifiche, nessuno è escluso dall’avere in custodia l’altro per non trovarsi a rispondere come Caino: “sono forse io il custode di mio fratello?” Sì! Siamo custodi e amministratori degli altri, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo ricevuto: l’amore con cui siamo amati da Dio ogni giorno, e con il quale siamo chiamati a servire e amare le persone che ci sono state affidate!
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