XV domenica del tempo ordinario
La storia del profeta Amos è interessante e originale.
Forse la possiamo sentire vicina alla nostra.
Riceve una chiamata improvvisa, pur non essendo particolarmente idoneo, sul piano umano, a fare il profeta; è un uomo semplice, rude e schietto. Un contadino e mandriano.
Da contadino-allevatore impreparato si trasforma in un batter d’occhio nel più virulento profeta del Vecchio Testamento.
Amos rimase colpito dalla corruzione dilagante che egli individuò in due settori soprattutto: l’ingiustizia sociale e la degenerazione del culto. Egli interviene contro tale stato di cose con la forza della parola profetica che da lui erompe implacabile e terribile; il suo ministero non dovette durare più di un anno. Ma in un anno la sua voce fu sentita sia dal Regno del Nord che da quello del Sud.
Non era tra i suoi progetti o tra le sue ambizioni esercitare questo ministero: si trova costretto.
Osserviamo il tratto determinante della personalità di Amos: la libertà.
Libertà verso il prossimo: non essendo un profeta di corte, si può permettere di dire senza peli sulla lingua quello che pensa e non ha paura che il re lo mandi via dal suo palazzo, dove i falsi profeti di Geroboamo possono mangiare, bere e divertirsi a scrocco.
Libertà verso le cose e il possesso: ha lasciato greggi e piantagioni e vive con il cuore leggero, senza necessità di accumulare. Non gli si può portare via nulla!
Libertà verso Dio: dimostra una capacità di lettura della propria vocazione molto originale. Ha accolto il dono profetico e le persecuzioni che esso comporta. Ma non ha nulla da recriminare contro Dio. Pace!
Invece il profeta di corte Amasìa e il re Geroboamo non hanno questa triplice libertà: vivono nel continuo timore del linguaggio politically correct, della diplomazia, delle alleanze di convenienza, del calcolo, del tornaconto personale. Sono attaccati ai loro possedimenti e non hanno un rapporto libero con Dio: lo temono e non sanno bene cosa prepari loro nel futuro.
Nelle istituzioni del Vecchio Testamento ci sono tre pilastri fondamentali: il sacerdozio, la monarchia e il profetismo.
Va detto che il profetismo nel senso stretto della parola non è mai, in Israele, una vera istituzione, come la regalità e il sacerdozio: Israele può darsi un re, ma non può darsi un profeta; questo è un dono di Dio, oggetto di una promessa, ma accordato liberamente. Profeta si diventa per una speciale chiamata e iniziativa divina, non per designazione o consacrazione degli uomini.
Ciascuno dei tre pilastri ha il suo luogo particolare: il sacerdote sta nel tempio, il re nel palazzo e il profeta nel mercato.
Il mercato è il luogo in cui si raduna la gente povera, gli anali di Yahwé, coloro che sono stati scelti come popolo santo. Nessuno conosce gli umori del popolo di Israele come il profeta.
Il re, dal lusso del suo palazzo e il sacerdoti, dall’alto del tempio, ricevono solo voci di seconda mano. Il loro mondo è ovattato dalla barriera del prestigio, che crea separazione, dell’essere una classe eletta (che crea snobbismo) e del lusso (che anestetizza la coscienza).
Delle tre istituzioni di Israele solamente la profezia non dipende da legami familiari.
È dono gratuito di Dio.
Dio sceglie in modo umanamente pazzesco, senza badare al blasone, alla cultura, alla classe sociale.
È per questo che i profeti sono la linfa vitale di Israele.
La maggioranza di loro, dopo essere stati isolati, criticati e perseguitati, hanno subito il martirio.
Ma hanno custodito sempre il loro elemento caratteristico: la libertà esteriore di dire ciò che pensano, quella interiore di essere in pace con Dio, e quella “ecologica” di essere in pace con le cose del mondo.
Il ritratto del profeta del Vecchio Testamento, lo ritroviamo, aggiornato e riveduto dallo Spirito Santo, nel Vangelo di Marco. I discepoli sono i nuovi profeti, gli annunciatori del Regno che viene.
Anch’essi godono della stessa libertà di Amos.
Non hanno bisogno di due bastoni o due tuniche, non cercano di essere approvati dagli ascoltatori, ma annunciano con libertà e letizia che il Regno è vicino, hanno un rapporto di profonda amicizia con Gesù, che considerano Amico, Messia e Signore.
Potremmo dire che in più hanno la dimensione carismatica: guariscono gli infermi e scacciano i demoni. Soprattutto hanno potere sugli spiriti impuri: è un dettaglio importante ed è l’unica motivazione del loro invio.
È vero, anche Eliseo e qualche altro profeta hanno compiuto qualche segno, ma il nuovo potere di scacciare i demoni è il sigillo evidente che la potenza di Dio è entrata nel mondo in modo nuovo. Nella persona di Gesù, il Cristo di Dio, e attraverso il potere della liberazione, comunicato ai discepoli, si rende presente il regno di Dio.
Questi prodigi sono il segno che siamo entrati negli ultimi tempi. Gesù è la manifestazione ultima di Dio: attraverso di lui si compie la nuova ed eterna alleanza (non occorre aspettarne altre).
Anche la seconda lettura, in un certo modo, segue lo stesso filo delle altre due.
Dio ci ha scelto per la vocazione profetica, in virtù del nostro Battesimo, non a causa della nostra appartenenza a qualche casato o perché abbiamo qualcosa in più degli altri. La sua chiamata è totalmente libera e gratuita, come quella di Amos.
Ci ha predestinati ad essere più che profeti: figli adottivi.
Scrive Paolo: “Avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità”.
La differenza tra pegno e caparra sta nel fatto che il primo può essere qualsiasi oggetto dato per avere in cambio del denaro, mentre la seconda è una parte del dono finale.
La caparra è della stessa natura del full payment. Il pegno no.
La gioia che i cristiani possono sperimentare in questa terra è della stessa qualità di quella che avranno in cielo. L’unica differenza è la quantità: in questa vita ne riceviamo solo qualche briciola, in Paradiso la vivremo al 100%.
In conclusione, anche noi, come Amos, Paolo e i discepoli del Vangelo odierno, siamo stati chiamati da Dio a testimoniare la sua Parola. Anche a noi viene conferita la triplice dignità: sacerdotale, profetica e regale.
Primo: si tratta di un sacerdozio diverso, rispetto al Vecchio Testamento. Possiamo rivolgerci al Padre direttamente. Non c’é più il velo del tempio che ci separa da Dio. Nel Corpo di Cristo abbiamo accesso al cuore del Padre. Direttamente.
Secondo: si tratta di una regalità diversa rispetto a quella di Geroboamo: possiamo servire Dio e i fratelli. “Servire Dio è regnare”.
Terzo: si tratta di una profezia diversa e nuova. Possiamo testimoniare con la vita. Qualche volta (ma solo qualche volta) anche con le parole. Mentre la profezia di Amos era tutta imperniata sul parlare, noi siamo chiamati a manifestare con la condotta il nostro essere scelti, figli, eredi, predestinati.