XV domenica del tempo ordinario
La liturgia ci mette davanti all’episodio evangelico dell’uomo incappato nei briganti e del Samaritano che lo soccorre. Un racconto stra-conosciuto, che purtroppo ha perso mordente alle nostre orecchie. Proviamo ad ascoltarlo con nuova attenzione, consapevoli che il Signore ripete la parabola a noi oggi.
Un dottore della Legge, con intenzione polemica verso Gesù (per metterlo alla prova) gli chiede cosa fare per avere la vita eterna e il Signore lo invita a cercare indicazioni nella Legge: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Il notabile coglie subito la risposta nei due comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo espressi in diversi testi (Dt 6,5; Lv 19,18) e Gesù gli da ragione. Il dottore della Legge rimane spiazzato perché non si aspettava una conferma e quindi per giustificarsi insiste: «E chi è il mio prossimo?». Anche in questa domanda c’è una provocazione perché all’epoca il “prossimo” per un ebreo era unicamente colui che apparteneva al popolo ebraico. Gesù stavolta risponde con una parabola, che è un genere molto particolare di comunicazione. Essa serve a provocare l’interlocutore in modo indiretto, attraverso un racconto che alla fine funziona da specchio per l’ascoltatore stesso e lo sollecita a fare giudizio sui propri pensieri e atteggiamenti.
Lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico c’è un uomo caduto nelle mani dei briganti, che gli hanno portato via tutto, lo hanno percosso a sangue e se ne sono andati, lasciandolo mezzo morto. Chi non si fermerebbe a soccorrerlo? Tutti si fermerebbero!!! Non è vero, la riposta non è così scontata. C’è di mezzo tanta paura…
Passano un sacerdote ed un levita, due figure “religiose” che probabilmente avevano svolto il loro servizio nel tempio della città santa. Entrambi vedono l’uomo a terra e passano oltre, anche dall’altra parte. Non succede così anche a noi? Non ci capita mai di cambiare marciapiede per non incrociare il mendicante o l’ambulante fastidioso? Non ci capita di evitare di visitare anziani e malati giustificandoci con espressioni del tipo “mi fa tanto male vederlo così” o “non so cosa dire”? C’è di mezzo tanta paura…
Il testo non dice cosa provano il sacerdote e il levita. Verosimilmente il loro atteggiamento trova giustificazione nelle prescrizioni della Legge che vietava loro di contaminarsi toccando cadaveri (cf Lv 21,1) e il poveretto era mezzo morto! Quell’uomo rappresenta per loro un rischio di impurità, di contaminazione.
Poi passa un Samaritano, che per gli ebrei era un eretico, un diverso, appartenente ad un popolo scismatico e detestato. Per capire bene questa figura, dobbiamo mettere al suo posto quelle persone che disprezziamo di più, quelli che ai nostri occhi sono i peggiori. Lui, il disprezzato ed estraneo, è capace di coinvolgersi con l’uomo che giace ferito.
Sacerdote e levita vedono e passano oltre. Del Samaritano si dicono più cose. Intanto che è in viaggio e quindi in una condizione disagevole e in una terra ostile; poi che passa accanto, cioè ha un atteggiamento di relazione (gli altri due sono passati ma non accanto); poi che vede e prova compassione. Non la commozione mielosa e inutile, ma la com-passione che nasce da una sensibilità di ascolto verso il dolore altrui, che spinge a far qualcosa perché quel dolore termini o sia almeno alleviato. Il dolore dell’altro, recepito nella compassione, mette in moto il Samaritano, lo fa avvicinare di più per prendersi cura dell’uomo maltrattato e abbandonato. I suoi gesti sono descritti lentamente e accuratamente proprio per indicare una attenzione piena, non superficiale e frettolosa.
La domanda finale di Gesù rovescia la prospettiva del dottore della Legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Il prossimo non è una persona-oggetto inserita in una categoria (nazione, religione, etnia, razza) ma una persona-soggetto, colui che si fa prossimo di un altro, di chiunque sia nel bisogno.
Veniamo a noi
La domanda «E chi è il mio prossimo?» la poniamo spesso anche noi al modo del dottore della Legge che ha bisogno di incasellare gli altri in tipologie prestabilite per vedere se li deve amare o no, se lo riguardano o no. Il dottore della Legge siamo noi quando cominciamo a discutere e a distinguere su chi sia il nostro prossimo. Oggi questa tentazione è più forte che mai perché da una parte il pensiero dominante spinge ad essere centrati su se stessi e sui propri bisogni e dall’altra la situazione sociale ci pone di fronte a tanti problemi e contraddizioni (interculturalità, povertà, disagio, sfruttamento). E’ certamente vero che questi nostri tempi non sono facili, ma la Parola del Signore ci aiuta a viverli, ad affrontare incertezze e paure, ad accogliere sfide e a cercare soluzioni.
Il Vangelo ci parla di durezza e di misericordia fra esseri umani al di là delle differenze, ci mostra cuori di pietra e di cuori di carne, si rivolge a noi per ricordarci di restare umani e cristiani. Per farlo, dobbiamo rimanere fortemente fondati nell’ascolto della Parola; lì ritroviamo la nostra identità più profonda, autentica. Prima di ogni altra cosa, prima di ogni altra determinazione, siamo di Cristo. Dobbiamo vivere, vedere, discernere, decidere a partire da questo.
C’è tanta paura oggi… e la paura genera chiusura e paralizza. Il Vangelo ci spinge in senso contrario, all’apertura, alla grandezza di cuore, alla compassione che si traduce in opere di misericordia e di salvezza.
Sacerdote e levita non vogliono rischiare nulla, perdere nulla. Il Samaritano perde il suo tempo, perde i suoi soldi, probabilmente perde delle occasioni, perché mette la vita dell’altro al primo posto. In lui avviene qualcosa di vitale: si fa prossimo e in questo farsi c’è un divenire. Quell’incontro non programmato, del tutto gratuito, lo fa fermare e avvicinare ad un altro, un estraneo, lo distoglie dai suoi affari, lo impegna nel presente per il primo soccorso e nel futuro per i giorni della guarigione. Questa disponibilità indubbiamente cambia il corso del suo viaggio (metafora della vita?), indubbiamente comporta dei rischi e delle perdite ma anche lo arricchisce enormemente, ne fa una persona nuova capace di custodire la vita di un altro. La sorte dell’uomo mezzo morto dipende da chi passa per quella strada. Il Samaritano gli dona una nuova possibilità e speranza di vita.
Le letture
La prima lettura ci dice una cosa bellissima e molto confortante: la Parola del Signore non è estranea, non è lontana, non è irraggiungibile. Il bello è che è proprio molto vicina, addirittura interiore, nella bocca e nel cuore. Dio ci ha fatto questo dono, la sua Parola risuona nel nostro essere e prima di tutto ci fa conoscere quanto il Padre ci ama. Ma la Parola ha anche una esigenza, vuole essere realizzata, vuole diventare carne in noi, «perché tu la metta in pratica» (Dt 30,14). Superiamo la paura!
La seconda lettura parlandoci del Signore Gesù, dice anche di noi. Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile e sappiamo che ora il Signore si rende visibile continua la sua missione attraverso di noi. Egli è anche il Capo del corpo, che è la Chiesa cioè noi. Non dovranno le membra sentire e agire in accordo con il loro Capo? È il riconciliatore e il rappacificatore di tutte le cose. Non dovremo vivere nella sua pace e come operatori di pace? Superiamo la paura!
Il “Buon” Samaritano
I Padri della Chiesa hanno visto nel Samaritano il Signore Gesù che si china sull’Adamo ferito dal peccato. In Lui, il Dio lontano si è fatto prossimo a noi, si è curato di noi e ci ha portati in salvo. Noi per primi siamo l’uomo che giace mezzo morto, siamo i feriti nel corpo e nello spirito, bisognosi delle cure di Dio; dobbiamo innanzitutto riconoscere la misericordia di Dio per noi. Questo è il primo passo, ma c’è anche quello successivo. Il Signore conclude il dialogo con il dottore della Legge dicendo: «Va’ e anche tu fa’ così». Non è moralismo, allora, dire che dobbiamo essere dei buoni samaritani anche noi, ad immagine del Buon Samaritano che è Cristo, icona dell’amore di Dio, che ci libera da ogni paura.