XVI dom del Tempo Ordinario

Nel cuore dell’estate, queste parole di Gesù risuonano particolarmente significative. Tutti sentiamo il bisogno di riposare, di dare alla nostra quotidianità una forma diversa. Questa pagina del Vangelo ci offre una chiave di lettura nuova per entrare in un riposo autentico.

Rientrati dalla missione a cui Egli stesso li aveva inviati, i discepoli, dopo strade percorse e strati di polvere accumulata sotto i piedi, dopo tante persone incontrate e molte storie ascoltate, dopo chissà quante parole spese e dialoghi costruiti, sono invitati a fermarsi, a staccare la spina, come spesso capita di dire anche a noi.

Ma il riposo – sembra suggerire il Vangelo – è legato a due condizioni precise: andarsene in un luogo deserto, in disparte e da soli.

Lontani e nella solitudine. Le condizioni di un autentico riposo rigenerante sono queste: lontananza e solitudine.
Come mai? Cosa trarne per la nostra vita?

Lontano e in disparte – se sei onesto e hai gli occhi ben aperti – ti rendi conto che il mondo va avanti anche senza di te; tocchi con mano che non sei indispensabile e questo, se all’inizio ti scotta e ti brucia, poi ti riconsegna un senso di non necessità che fa molto male in prima battuta e molto bene successivamente, sul lungo periodo.

Lontananza e solitudine riducono quel delirio di onnipotenza che tutti, che piaccia o no, ci portiamo dentro e che è uno dei tanti idoli contro cui dobbiamo combattere ogni giorno per rimanere umani.

Lontano e in disparte, sganciato da una quotidianità che rischia di essere assoggettata alla mia fame di presenza e di controllo, scopro che posso stare nella vita e nelle relazioni anche lasciando andare, senza pretendere che tutto passi da me.

La smania di controllo sfuma e sorge la delicatezza di chi sa attendere, aspettare, rispettare la vita e i tempi degli altri, senza invadenze o sfruttamenti vari, espliciti o ben nascosti.

Riposi veramente quando ti fermi e ti rendi conto che tu sei più grande di tutto ciò che fai; che non sei solo ciò che produci, ciò che costruisci e che il tuo volto è disvelato anche in ciò che non fai, negli stop a cui acconsenti, nelle interruzioni che scegli tu o a cui la vita ti chiede di obbedire.

C’è vita nei giorni occupati e c’è vita anche nei giorni vuoti.

C’è vita in ciò che costruisco e c’è vita anche in ciò che resta inespresso, non realizzato, non portato a compimento.

Lì riposi: quando ti fermi e permetti ai vuoti di emergere e di raccontare quella parte di te che ancora non riesci a vedere.
C’è vita nella pienezza e c’è vita – tanta – nel vuoto.
Lontano e in disparte, poi, le cose si vedono meglio.

Troppo schiacciati sulle cose che accadono, perdiamo di vista l’insieme.

Concentrati sul tassello del mosaico, non vediamo più il mosaico.

Con il cuore e la mentre troppo dentro le cose di ogni giorno, ci manca di gustare l’orizzonte su cui le cose stesse si stagliano e si comprendono in tutto il loro significato.

Lontani e in disparte, possiamo stare nel silenzio e il silenzio ha il potere di far emergere un volto nuovo della realtà, un nitore sconosciuto ai più.

Lontano e in disparte, emerge dalle viscere della mia coscienza un gusto nuovo: non è che cambi la mia vita ma cambia il mio modo di vedere, interpretare, assegnare ed accogliere un senso nuovo.

Lontano e in disparte, poi, affino la mia capacità di pensare, di ritornare sulle cose; il silenzio è potente alleato nell’eterna lotta tra riflessività ed impulsività; tra intervenire subito, sempre e comunque e saper aspettare, saper valutare, tenendo insieme i pezzi di un puzzle complicato e che non sempre può essere colto immediatamente.

Sono questi i sentieri evangelici per un riposo vero. Che rigenera, fa rinascere, e ti riconsegna alle cose della vita forse un po’ più povero ma quanto meno più autentico e più libero.
Nel deserto e in disparte, ritrovi te stesso, ritrovi Lui.

Non c’è vera conoscenza di sé che non conduca a Lui e solo in Lui puoi trovare veramente te stesso. Portale d’ingresso al deserto e alla solitudine, chiave del riposo è una parola: Venite. Che è invito, appello, vocazione, esigenze, responsabilità, chiamata, movimento quasi a ricordarci che il luogo della fede è la strada, è il sentiero polveroso della terra di Gerusalemme, di ogni terra, di ogni vita.

Che la fede ti mette in cammino, ti disloca, ti sposta altrimenti fede non è. Se rassicura, anestetizza, tranquillizza, fede non è.

Venite, cioè unitevi a Lui, perché solo in Lui c’è il riposo vero, quello eterno, dove eterno non è solo una indicazione cronologica ma dice della qualità dei giorni che ci sono dati in questa terra, dice la qualità della vita di ogni giorno. Non è forse poco eterno un riposo che non è né in disparte, né silenzioso, che non ti riconsegna uno sguardo diverso sulla realtà? Non è forse poco eterno un riposo che non ti fa riposare e che non è altro che una tappa della frenetica corsa di ogni giorno?

Riposare – quello vero, autentico, che rigenerare e fa rinascere – coincide con l’essere sui discepoli, con il mettere le nostre orme nelle sue, nell’immergere i nostri pensieri nei suoi, nel vedere le cose come le vede Lui, nel sentire ciò che sente Lui.
Questo è il riposo vero.
Che poi, visto così, lo possiamo chiamare ancora riposo?

O non stiamo parlando – senza essercene accorti – della vita vera?

Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!

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