XVIII domenica del tempo ordinario
Il brano del Vangelo di oggi racconta il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Matteo scrive che Gesù «partì su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte» ma le folle numerose, venute a sapere della sua partenza, lo seguono a piedi, costeggiando il lago di Galilea: il loro desiderio di stare con Gesù sembra non ammettere dilazioni. L’evangelista, infatti, annota che «sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati». Il bisogno di queste «pecore senza pastore» (cf Mt 9,36) porta Gesù ad agire concretamente per loro: ancora una volta egli si comporta come «uomo per gli altri», compiendo ciò che è in suo potere per donare pace e consolazione a quanti sono affaticati e oppressi (cf Mt 11,28).
Quando scende la sera i discepoli chiedono a Gesù di congedare le folle affinché, lasciato quel luogo deserto, si rechino nei villaggi vicini a comprarsi da mangiare. Gesù però li coglie di sorpresa e li chiama a convertire il loro sguardo, replicando: «Non occorre che vadano». I discepoli dovrebbero ormai sapere che la comunione con Gesù è fonte di vita abbondante, che ascoltare lui significa mangiare cose buone, secondo le parole del profeta Isaia (prima lettura). Se aderissero dunque con piena fiducia a lui, potrebbero condividere ciò che hanno e fare ciò che egli comanda: «voi stessi date loro da mangiare». Ma la reazione dei discepoli – apparentemente dettata dal buon senso: «non abbiamo altro che cinque pani e due pesci» – mostra in verità la loro incomprensione, il cui vero nome è «poca fede», quella malattia del cuore più volte rimproverata loro da Gesù (cf Mt 8,26; 14,31; 16,8; 17,20).
Allora è il Signore stesso a prendere l’iniziativa, comandando ai discepoli di portare i cinque pani e i due pesci – «Portatemeli qui» – e alle folle di sedersi sull’erba. L’evangelista annota che Gesù, dopo aver dato questi ordini, «prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla». Sono gli stessi gesti compiuti da Gesù nell’ultima cena (cf Mt 26,26), quei gesti alla vista dei quali i due discepoli in cammino verso Emmaus lo riconosceranno come Risorto (cf Lc 24, 30-31), quei gesti che noi ripetiamo al cuore di ogni celebrazione eucaristica: sono la sintesi di tutta la vita di Gesù, spesa e consegnata fino alla morte per amore degli uomini. Ecco la realtà grande contenuta in questo segno della condivisione dei pani e dei pesci: come Cristo ha consegnato la sua vita per gli uomini, così ogni cristiano, suo discepolo, deve donare la propria vita per i fratelli.
Il brano termina raccontando che «Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene», tante quante le tribù di Israele. Il dono di Gesù, dunque, è sovrabbondante: egli è il Messia – «mite e umile di cuore» (cf Mt 11, 29) – che si prende cura di noi donandoci la sua vita per la nostra salvezza. Nessuno, pertanto, potrà separarci dall’amore di Dio, dall’amore di Cristo (seconda lettura).
Ebbene, la partecipazione all’eucaristia deve contagiarci ad amare non solo Gesù, nostro Salvatore e nostra unica speranza, ma deve animarci anche ad amare i nostri fratelli come Cristo ci ha insegnato.
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