XVIII domenica del tempo ordinario
Cari amici, se la Parola di Dio colpisce al vivo i nostri modi di pensare e di agire, i nostri attaccamenti o peggio ancora le nostre schiavitù, è buon segno… significa che non siamo ancora riusciti ad annacquarla, ad addomesticarla, a toglierle quel proprio che la caratterizza: la pericolosità. Credere infatti non è affatto qualcosa di pacifico e pacificante. Credere è lasciarsi disturbare, è avere il coraggio di diventare cristiani (forse perché ancora non lo siamo, né lo saremo mai abbastanza). Comunque, il Vangelo resta a disposizione per chi volesse tentare…
Alzi la mano chi non ha mai avuto almeno un piccolo dissidio per questioni di soldi. Ovvio, siamo persone equilibrate e oneste, è sempre una questione di principio e il tale che chiede a Gesù di intervenire con il fratello per una questione di soldi, probabilmente ha ragione: ha subito un torto e vorrebbe essere risarcito. Quante amicizie spazzate vie per questioni di soldi, quanti (fragili e superficiali) legami di parentela tramutarsi in odio viscerale per qualche metroquadro di casa…
D’altronde, siamo onesti: se gli affetti, le amicizie, le relazioni di parentela non si concretizzano in atteggiamenti di equità e giustizia, se non passano la prova della solidarietà, diventa davvero difficile capire come si concretizza il bene che diciamo di volerci. Gesù sa che dietro la domanda del rissoso fratello c’è una questione di soldi e ne approfitta per fare una riflessione sulla ricchezza.
A parole, sempre, siamo tutti liberi e puri, anzi, proviamo tutti un connaturale pudore nei confronti del denaro, lo consideriamo qualcosa di pericoloso, di sporco, di ambiguo. Gesù, paradossalmente, è molto libero a tal proposito: non dice che la ricchezza è una cosa sporca. Dice solo che è pericolosa.
Guardate al pover’uomo della parabola: un gran lavoratore, non ci viene descritto come un disonesto, né come un avido, anzi, fa tenerezza la sua preoccupazione di far fruttare bene i suoi guadagni per poi goderseli in pace… La sua morte non è una punizione, non è certo Dio a volerla, ma è un evento possibile.
Gesù ci ammonisce: la ricchezza promette ciò che non può mantenere, ci illude che possedere servirà a colmare il nostro cuore, ma solo Dio può fare questo. «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3, 1). Una vita che non ha le sue radici in cielo è «come l’erba che germoglia al mattino e alla sera è falciata e secca» (Sal 90, 5-6). L’esistenza di chi accumula ricchezze per sé è prigioniera di quegli stessi beni, che credeva potessero renderlo davvero libero e felice.
L’uomo, invece, vive di vita donata, di vita trasmessa. E quando cessi di trasmettere vita attorno a te, in quel preciso momento la vita in te dissecca. L’uomo vive anche del lieto godimento del pane quotidiano, ma di un pane che sia “nostro”, da chiedere e da donare, e che ci faccia, insieme, quotidianamente dipendenti dal cielo.
È l’ALTRO la nostra ricchezza, colui senza il quale vivere non è più vivere. Non c’è esperienza d’infinito sulla terra, non esperienza di vita riuscita, di vita bella, lontano dalle relazioni umane. E quando accogli l’altro in te, gli fai spazio nella tua vita, allora, e solo allora, ritrovi la bellezza del mondo e la bontà di tutte le cose.
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