XX domenica del tempo ordinario
Certo, sentir parlare di “fuoco acceso” che scalda, che dà calore, in questo periodo dell’anno può sembrare quanto meno fuori luogo. Il fuoco, lo sappiamo bene, non solo scalda e dà vita, ma anche brucia, consuma, distrugge, lasciando ben poco scampo a ciò che incontra sul proprio cammino: e questo certamente ha maggior attinenza con il periodo estivo, nel quale spesso, soprattutto in determinate aree del nostro paese, si ha notizia di incendi che distruggono buona parte del patrimonio boschivo e dei pascoli che abbiamo a disposizione. Il fuoco come elemento distruttivo ha attinenza anche con la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, e a dire il vero non è la prima volta che Luca, l’evangelista della bontà, della pace e della mitezza, ci parla del fuoco distruttore come un elemento legato alle cose di Dio.
Quando Giovanni Battista entra in campo all’inizio del suo Vangelo, presenta il Messia che sta per venire come colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco – battesimo e fuoco, le parole chiave del discorso di Gesù oggi – e brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Più avanti, nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù passa dalla Samaria e un villaggio di samaritani non lo vuole accogliere: forse ispirati dal Battista, loro primo Maestro, Giovanni e Giacomo (lo abbiamo letto nella Liturgia all’inizio dell’estate) invocano dal cielo un fuoco che li distrugga. E ora, nuovamente, queste “parole di fuoco” messe in bocca addirittura a Gesù, in netto contrasto con quell’immagine pacifica, irenica e misericordiosa con cui Luca dipinge il Maestro nel suo Vangelo; parole che assumono toni veramente accesi e violenti quando sentiamo Gesù dire “non sono venuto a portare pace sulla terra, bensì divisione”. La prima, istintiva reazione, sarebbe quella di rispondergli: “Signore, per cortesia: almeno tu! Già i notiziari quotidiani ci fanno passare da Aleppo alla Libia, dalla Thailandia al Belgio, dalla Francia all’Iraq navigando sull’onda del terrore e della violenza, ogni giorno aspettando, in modo macabro ma reale, la notizia dell’ennesimo attentato sperando sempre che ci riguardi il meno possibile: per l’amor di Dio, almeno il tuo Vangelo che ci parli di pace!”. Sono reazioni normali, istintive, e devo confessarvi che anch’io provo un certo disagio nel cercare di comprendere e interpretare in maniera corretta – e non come un’istigazione alla violenza – le parole del Vangelo di oggi, che alla fine mette la ciliegina sulla torta parlando di Gesù come segno di contraddizione capace di portare divisione e discordia all’interno delle stesse relazioni familiari.
Partiamo proprio da questi versetti finali, che non auspicano la divisione all’interno di una famiglia o di una comunità (“Un regno diviso contro se stesso va in rovina”, dice Gesù parlando della comunità dei credenti nel capitolo che precede questo brano), bensì descrivono – citando tra l’altro un brano del profeta Michea – quelli che sono i normali conflitti generazionali all’interno di una famiglia. Si parla, infatti, di “padre contro figlio”, di “madre contro figlia”, di “suocera contro nuora”, e viceversa, come avviene spesso, appunto, nelle più normali delle famiglie quando si scontrano punti di vista diversi legati alle differenze generazionali (infatti, non si parla di “fratello contro fratello”, ma di conflitti in linea verticale). Il “conflitto” di cui parla Gesù, allora, è il conflitto tra il “prima” e il “dopo”, tra il passato e il futuro, tra il vecchio e il nuovo all’interno della comunità dei credenti, di quella comunità che è il popolo di Dio, il popolo d’Israele, cresciuto nelle antiche regole della Legge di Mosè, e ora chiamato ad assumere le nuove regole del Vangelo; regole che non si basano sulla applicazione formale della Legge (quella dei farisei, per intenderci) ma sulla vita nuova in Cristo, che ha come unica Legge quella dell’amore.
Ma il passaggio da una Legge all’altra, dall’Antico al Nuovo Testamento, dal vecchio al nuovo rapporto con Dio non è qualcosa di semplice e pacifico. È un processo complicato, faticoso, penoso, che crea agitazione negli interlocutori di Gesù (al punto che molti lo metteranno a morte) e per il quale lui stesso si definisce “angosciato finché non sia compiuto”. Questo è il fuoco devastante di cui ci parla Gesù; questa è la devastante novità del Vangelo che, quando entra in una comunità di credenti, è destinata a creare conflitto, rivoluzione, turbamento, perché lui è venuto a fare nuove tutte le cose, e questo comporta, inevitabilmente, devastazione e rottura di molti schemi legati al passato.
È confortante, però, che l’immagine di devastazione sia affidata al fuoco, il quale – lo dicevamo all’inizio – non è solo distruzione, è anche fonte di energia e di calore. Allora il Vangelo, dove arriva, non solo porta contraddizione, ma anche dà forza ed energia.
Ogni comunità basata sul Vangelo, ogni comunità cristiana, è chiamata a vivere questo conflitto tra l’antico e il nuovo, tra vecchi schemi del passato e nuove prospettive per il futuro, tra la logica del “si è sempre fatto così” e la logica del “proviamo a cambiare un po’ le cose”, non fosse altro per il ricambio generazionale che di quando in quando è chiamata ad affrontare: viviamo queste cose con speranza, non con l’angoscia di chi vede nel conflitto elementi di violenza, ma con la certezza che ogni “rivoluzione” vissuta alla luce del Vangelo è fonte di vita nuova. Appunto, come un fuoco vivo, che brucia e dà energia.