XX domenica del tempo ordinario
Il brano del Vangelo di questa domenica ci presenta la fede della donna cananea, che non cede davanti al silenzio di Gesù, né al suo inziale rifiuto, e neppure davanti al suo apparente dispregio. Ella non appartiene al popolo eletto, è considerata lontana ed esclusa. Eppure è oggetto della benevolenza del Signore. L’evangelista infatti scrive che mentre Gesù si è ritirato «verso la zona di Tiro e di Sidone», ecco una donna cananea, dunque pagana – Marco con più precisione la definisce «sirofenicia» (cf Mc 7,26) -, gli va incontro implorandolo: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Essa lo acclama quale Messia, mostrando così di conoscere l’attesa di Israele; non solo, ma le sue parole indicano una grande fiducia nella capacità di Gesù di guarire sua figlia. Egli però non le risponde nulla.
Stupisce, a prima vista, questo comportamento di Gesù. Noi siamo portati a leggere il suo silenzio come una specie di distanza o di indifferenza, o peggio ancora, di ostilità. Assolutamente no! Il silenzio non è indifferenza (tanto è vero che poi Gesù compirà il miracolo, ascoltando la preghiera della donna); il silenzio invece è lo strumento di Dio per verificare i sentimenti dell’uomo e per creare le giuste disposizioni del cuore. Va detto con chiarezza che la preghiera non potrà mai essere ridotta ad un «self service religioso» o ad una distribuzione automatica di favori. Se fosse così verrebbe a mancare la pazienza, il dialogo…e quindi la fede. Ricordiamoci che a Dio non possiamo imporre il nostro criterio di bene. Dio solo sa cos’è il bene e quindi, la preghiera richiede sempre uno spazio di pura fede.
L’evangelista prosegue nel suo racconto dicendo che sono i discepoli a intercedere per la donna, chiedendo a Gesù di esaudirla «perché ci viene dietro gridando!». Ma egli ribatte: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma la donna insiste e, prostrandosi ai piedi di Gesù, rinnova con perseveranza la propria richiesta: «Signore, aiutami!». Gesù questa volta le risponde, seppur ancora in modo negativo: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini», animali impuri con cui la Scrittura designava i pagani. La fede della donna però non deflette, la sua preghiera diventa sempre più umile e fiduciosa: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Sono parole che rivelano una fede profonda e intelligente; è come se essa dicesse: «Sì, noi pagani siamo i cani; ma ho fede che Dio, il quale nel suo amore nutre tutti, non lascerà neppure noi nel bisogno». Ella resta, dunque, tenacemente attaccata alla certezza della bontà di Dio e nulla la mette in crisi.
Gesù discerne in queste parole la fede della donna e finalmente pronuncia le parole di misericordia: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri», comando efficace che causa immediatamente la guarigione della figlia. Ma questa affermazione di Gesù va intesa in tutta la sua ricchezza. Egli non pone condizioni alla donna, non le dice: «Se hai fede, farò per te ciò che desideri», così come non ha mai detto a nessuno: «Se hai fede ti salvo». No, Gesù riconosce la fede di chi gli sta di fronte e sa mettere in lui fiducia. Per questo ripete sovente: «La tua fede ti ha salvato» (cf Mt 9,22; Mc 10,52), oppure, come dice a un altro pagano, il centurione romano: «avvenga per te come hai creduto» (cf Mt 8,13). Ecco un elemento saliente dell’autorevolezza di Gesù: la sua capacità di far crescere e fiorire le persone che incontra, riaprendo per loro spazi inattesi di vita nuova.
Questo incontro con la donna cananea sta a significare che Dio vuole salvi tutti, non solamente alcuni; egli non guarda a steccati di alcun genere e non riconosce i confini che noi siamo soliti stabilire. Nessuno può sentirsi unico destinatario della bontà misericordiosa di Dio. Già i profeti insistevano su questa verità sia con le parole, che con i gesti di accoglienza e di guarigione, come il profeta Eliseo che guarì Naaman il siriano (cf 2Re 5, 1-27). Questa verità è ancor più sottolineata e realizzata da Gesù che è venuto tra noi per abbattere ogni muro di divisione e di inimicizia. Nessuno può considerare gli altri degli estranei; siamo tutti concittadini, fratelli, tutti amati da Dio, eredi dei beni da lui promessi; pertanto non è lecito al cristiano fare la lista dei «buoni» e dei «cattivi» perché Dio vuole l’unità dei popoli e non la divisione.
Ed inoltre, confrontando le parole dette da Gesù – domenica scorsa – a Pietro: «uomo di poca fede, perché hai dubitato?» con quelle rivolte alla donna cananea: «Donna, grande è la tua fede!», viene spontaneo chiederci dove possiamo collocarci: con la donna o con Pietro? Dobbiamo chiedere con insistenza al Signore di aumentare, sorreggere la nostra fede-fiducia, non dubitando di lui neppure davanti ai suoi silenzi, alla sua apparente assenza da noi e dai nostri problemi.
Impariamo a rendere grazie al Signore, «sempre e in ogni luogo», nei momenti di gioia e in quelli della prova; impariamo ad essere dei veri cristiani perché, come diceva sant’Ignazio di Antiochia: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che dirlo senza esserlo».
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