XXI domenica del tempo ordinario
Conoscere, amare, servire Dio: riducendo all’osso (e di parecchio!) il pensiero teologico e spirituale di uno tra i più grandi teologi medioevali, San Bonaventura da Bagnoregio, queste possono essere considerate le tappe del cammino di perfezione del credente per giungere a un totale rapporto di intimità con Dio.
Si comincia con la conoscenza di Dio, che può avvenire nelle più svariate forme: per la maggior parte di noi, inizia sin dall’infanzia, con la fede trasmessa e ricevuta dalle nostre famiglie, poi alimentata attraverso il catechismo e la partecipazione alla vita ecclesiale. Per altri, invece, magari nati e cresciuti in ambienti familiari nei quali non viene professata alcuna fede specifica, è il senso religioso presente naturalmente nell’animo umano a spingere il singolo alla ricerca di un riferimento con l’Assoluto che a volte – ma non necessariamente – può sfociare, poi, in un riferimento di fede o in una pratica religiosa; e c’è pure chi arriva alla conoscenza di Dio attraverso la lettura, lo studio, l’indagine personale, e chissà quante altre forme a noi poco note.
Ma secondo Bonaventura, c’è un altro gradino (un altro “step”, diremmo oggi) che l’anima è chiamata a compiere in questo cammino di perfezione. Non è sufficiente, infatti, conoscere Dio: quello sanno farlo anche i demoni! Per essere incontrato dall’uomo come significativo per la propria vita, Dio va amato, proprio come lui da sempre ama noi. E l’amore che Dio insegna all’uomo è un amore fatto di servizio – siamo al terzo grado di perfezione -: qualcosa su cui l’animo umano deve lavorare parecchio, perché spesso, amando, ci serviamo degli altri prima ancora che metterci a servizio degli altri.
Gesù non aveva certo conosciuto Bonaventura, e così neppure l’evangelista Matteo: molto probabile, invece, che l’uno e l’altro abbiano ispirato il “dottore serafico” di Bagnoregio, che avrà sicuramente avuto ben presente anche quanto abbiamo ascoltato nel brano di Vangelo di oggi, dove Gesù pare proprio invitare i suoi discepoli a fare questo cammino di piena comunione con lui. E lo fa in maniera del tutto particolare e avvincente, a mio avviso.
Già a partire dalla scelta del luogo, quella città di Cesarea costruita da Erode per il figlio Filippo nella quale quest’ultimo costruì poi opere pubbliche tutte incentrate a esaltare la sua grandezza e la sua megalomania: ecco, Gesù sceglie quel luogo per un insegnamento sul servizio e su chi sia veramente Dio, su chi sia veramente signore della storia. Questo insegnamento parte proprio dalla domanda sulla conoscenza di Dio: quanto sai di Dio? Quanto conosci di lui? Gesù, potremmo dire, “la prende larga”: inizia chiedendo ai discepoli che cosa si dice di lui, ovvero quanto la gente sappia di Dio. Le risposte sono le più disparate, e nessuna di esse è errata, anzi: tutte quante vanno nell’ordine della profezia, del riconoscimento che nella dottrina di Gesù c’è molto più “di Dio” che “dell’uomo”, che la sua dottrina non è una filosofia umana, ma un vero e proprio insegnamento di fede nella tradizione dell’Antico Testamento. Insomma, si sa molto di Dio, nell’ambiente delle folle che ascoltano Gesù.
Ma per essere suoi discepoli non basta “sapere ciò che la gente sa del Dio di Gesù Cristo”: occorre la consapevolezza di chi è Gesù “per te”, di chi è Gesù nella tua vita. E questo non lo sai solo con la conoscenza: ci vuole l’amore. Non basta sapere chi è Dio: occorre sapere chi è per te, e sapere che per te egli conta, che per te lui ha dato la sua vita, che Dio ti ha amato talmente tanto da mandarti non solo profeti saggi e sapienti, ma suo Figlio in carne ed ossa. E ti chiede di amarlo. E ti chiede di fare di lui il fondamento della tua vita. I signori di questo mondo, nella loro grandezza, edificano città sublimi come Cesarea di Filippo per autoesaltarsi; il Signore della vita ci edifica sopra l’unica roccia sicura, la sua Parola. E affida questa Parola ai suoi discepoli, a Pietro, alla Chiesa, perché gli uomini e le donne di ogni tempo trovino in essa un rifugio sicuro, un riparo, una casa nella quale entrare e uscire per trovare sicurezza.
Ma le chiavi della porta di questa casa, affidate a Pietro e in lui a tutti i suoi discepoli, sono una responsabilità: se rappresentano un potere che domina, hanno fallito il loro scopo. E lo vedremo la prossima domenica, quando l’insegnamento di Gesù a Cesarea porterà i suoi discepoli – in maniera anche forte – a considerare l’ultimo gradino del nostro rapporto con Dio: il servizio.
Non c’è conoscenza di Dio senza amore per lui; non c’è amore per lui senza la capacità di metterci al servizio suo e dei fratelli. Dove c’è dominio, dove c’è desiderio di imporsi in nome del proprio potere e del proprio prestigio, non c’è vera fede, anche se ci si dice e si è veramente cristiani.
Questa esperienza di Gesù con i suoi discepoli a Cesarea di Filippo ha ancora molto da insegnarci, oggi, in ordine proprio a quel cammino di conoscenza, amore e servizio di cui parlavamo all’inizio. Non basta conoscere Dio, per essere credenti: anche chi non crede può sapere molto di Dio e di Gesù, se lo studia e ne approfondisce la sua persona e la sua dottrina. E anche chi va contro Dio può sapere molto di lui: non dimentichiamoci che nel deserto, satana cita addirittura le Scritture… Dio non va conosciuto, va amato, se vogliamo che entri a far parte della nostra vita così come noi siamo già parte della vita di Dio.
Ma anche questo può non bastare: perché dire a Dio “Ti amo”, dire a Gesù “Ti voglio bene”, pregarlo con fede e devozione più volte al giorno, e poi non metterci al servizio suo e dei suoi fratelli è come dire “Ti amo” a una persona importante, magari fondamentale per la nostra vita, e poi metterla al nostro servizio, sottometterla alle nostre volontà, considerarla “utile” a noi invece che donarle la nostra vita.
Ma per questo, appuntamento a domenica prossima.
Scarica Foglietto Avvisi Settimanale
Stampa Articolo