XXII domenica del tempo ordinario
“Solo uno è perfetto!”
E si, noi uomini siamo fatti così: euforici e felici quando le cose vanno bene, tristi e depressi quando le cose non vanno come vorremmo!
Uno potrebbe dirmi “sai che novità”, senza capire che non possiamo arrenderci a questo modo di vivere le cose, specialmente nelle relazioni e nei rapporti con gli altri.
Il Vangelo di oggi è, per così dire, il “sequel” di un altro brano famoso del Vangelo che abbiamo letto domenica scorsa, dove Pietro, secondo Matteo, è il primo ad ascoltare la rivelazione del Padre per l’ispirazione dello Spirito Santo e riconoscere in Gesù il Cristo, il salvatore figlio del Dio vivente. Gesù elogia Pietro, gli cambia addirittura nome e lo mette a “capo della Chiesa” consegnandogli le chiavi del Regno dei cieli: potremmo dire “laurea 110 e lode” e stappare lo champagne, sparare i fuochi d’artificio e sedersi in poltrona a gongolare… che vuoi di più dalla vita, no? Deve essere stato un momento esaltante ed euforico, forse qualcun altro dei discepoli c’è pure rimasto male, tanto che l’evangelista Matteo, esattamente quattro capitoli dopo (Mt 20,20-28), ci riporta l’intervento della mamma di Giacomo e Giovanni per “raccomandare” i figli affinché Gesù dia loro un “posto” ai vertici del paradiso.
Immagino Pietro che, con soddisfazione, guarda i suoi compagni e già fa i conti dove mettere questo, impiegare quell’altro, cacciare quell’altro ancora. Sembra di vedere Pietro gonfiarsi e assumere tutto un altro atteggiamento da quello del discepolo in sequela, dal discepolo ispirato dallo Spirito Santo: si gonfia a tal punto che il Maestro stesso, il Cristo di Dio, diventa “accessorio” non è più uno da ascoltare e da seguire ma, alla bisogna, uno da correggere! E così mentre Gesù continua il suo discorso, entrando nel vivo del progetto di Dio, rivelando che il piano della salvezza passerà per la sua passione, morte e Resurrezione, Pietro, ormai raggiunto ed oltrepassato il livello di Gesù maestro, si sente in diritto di intervenire, di spostare fisicamente il Maestro per metterlo in disparte, perché, ovviamente “gli altri”, nel suo nuovo modo di vedere le cose, sono fuori dell’entourage Pietro-Gesù, e di rimproverarlo pesantemente per quello che il maestro aveva rivelato, semplicemente perché non corrispondeva al suo pensiero, al suo modo di vedere! In pochi versetti Pietro ci mostra il cammino di un’anima che sbaglia strada, mettendosi fuori e sopra l’autore della vita, divenendone avversario (satana) e non più fedele seguace.
Parte da qui un fermo e deciso discorso di Gesù che, di fronte ad un Pietro ridotto ai minimi termini, disegna con forza l’identikit del fedele seguace del Cristo. Fornisce ai cristiani di ogni tempo e latitudine il modo di scoprirsi nel giusto o no: “rinnegate voi stessi se volete seguirmi”, cioè non potete pensare di fabbricarvi quello che solo Dio può dare, ne darvi da soli la salvezza che solo Dio può donare. Per questo “prendete la vostra croce e seguitemi”, si perché rinunciare al piacere della nostra volontà a vantaggio del bene -la volontà di Dio!- è per noi uomini doloroso e faticoso, annullare noi stessi per far emergere Dio può essere persino più doloroso che essere flagellati, ma questa croce ha senso solo alla sequela, è lenita solo dalla fede che, camminando, non perde d’occhio il Suo Signore. In questo si gioca la nostra vita che deve essere spesa e vissuta, non “messa in banca” o congelata per l’occasione migliore, tanto che se uno non è disposto a rischiare/investire la sua vita è persa, come quando dopo tante fatiche per fare scorte in frigo va via la corrente elettrica: tutto va a male siamo costretti a buttare tutto. Che senso ha, aver avuto ogni ben di Dio, magari pregiato e costoso, ben congelato quando poi sono costretto a buttarlo, non era meglio una bella cena fra amici subito e senza riserve e fare contento qualcuno che cibo non ne ha?
Eh si, noi uomini siamo così, fedeli adoratori di quel Cristo che fa andare tutto bene nella vita, ma anche abili avversari dello stesso Cristo quando la vita non ci sta più bene. Una frase fra tutte, la voglio riportare come l’affermazione più brutta che si può ascoltare da un cristiano: “… che male ho fatto io a Gesù Cristo per meritarmi questo castigo!”. Ecco questa frase sulle labbra di una persona di fede, pur nella prova, mi getta nello sconforto, vorrei mettermi le mani nei capelli -ed a volte lo faccio- e capire come posso “riportare all’ovile” quella pecorella, poi mi ricordo del brano del Vangelo di oggi, mi ricordo che anche io sono un avversario se non sto attento, e cerco di donare quella pace che solo la fiducia può generare, pensando che Gesù non cacciò via Pietro ma, rimettendolo al posto, gli ricordò che la sua vita è il bene da investire dietro di lui e che ogni fiducia è ripagata.
Concludendo, voglio solo dire a tutti quelli che si trovano nella prova e nelle difficoltà che sarà la fede in Cristo a tirarci fuori dai guai, fede che assume un valore immenso proprio quando è provata col fuoco, come si fa con l’oro. Voglio anche dire a tutti quelli che rimangono nella fede solo perché tutto va bene, che la fede chiede molta più umiltà, molta più pazienza proprio quando nulla sembra turbarci o colpirci, perché se non siamo provati col fuoco non vuol dire che siamo già “puri”, perfetti, perché solo uno è perfetto, tutti gli altri, noi, saremo sempre in bilico fra la gloria e la correzione di Dio, e l’unico modo per essere sicuri di raggiungere la vera gloria è stare dietro a colui che ci ama nonostante le nostre povere, ed a volte drammatiche, imperfezioni!
Una grande verità che aiuta a vivere la fede, proprio quando siamo provati è ricordare che Dio Padre corregge sempre i suoi figli, solo per poi rialzarli e sorreggerli meglio, Egli non permetterà mai prove o correzioni per distruggerci ed annientarci – come tante volte facciamo noi uomini con gli altri uomini! -, Egli si strugge per ri-portarci con Lui e fra i fratelli! Una verità, collegata a quest’ultima è che il Padre corregge coloro che riconosce come suoi figli, e se in alcuni casi sembra che questa correzione di Dio non arrivi non dobbiamo domandarci “perché Dio ritarda?” ma, piuttosto: “riconosce Dio Padre questo o quello come figli?”. (Eb 12,5-11)
Stampa Articolo