XXIX domenica del tempo ordinario
La risposta data da Gesù ai farisei e agli erodiani, nel vangelo di questa domenica. è diventata un modo di dire molto famoso. Viene usata spesso come fosse un proverbio, purtroppo usata male.
Di queste parole abbiamo infatti perso la forza liberante, perché l’abbiamo interpretata a partire non dalla sapienza del Vangelo ma da quella semplicemente umana.
Che cosa è successo? Abbiamo guardato ai due poteri richiamati nel vangelo e, dopo averli messi l’uno di fronte all’altro – Cesare e Dio – abbiamo tentato di stabilire ambiti, competenze, ruoli, diritti, quasi fosse possibile tracciare una linea di confine e inventare poi una sorta di armonia.
In realtà non era questo l’intento di Gesù.
Nella sua risposta non c’è la ricerca della via dell’equilibrio e della conciliazione, ma quella opposta che porta a uno sbilanciamento a favore della seconda parte: “Date a Dio quello che è di Dio”.
È in questa seconda parte che si deve cercare la provocazione liberatoria del messaggio di Gesù.
Che cosa appartiene a Dio e che cosa non appartiene a Dio? Nulla, tutto è suo.
Giuliana di Norwich, una mistica inglese del XIV secolo, nel Libro delle rivelazioni, scrive: “Dio mi mostrò una piccola cosa, grande quanto una nocciola nel palmo della mia mano, rotonda come una palla. “Io la osservai e mi chiesi: «Cosa mai può essere?» E questa è la risposta che mi fu data: «È tutto quanto il creato». Io ero sorpresa che una cosa simile potesse durare, perché non svanisse nel nulla: «Dura e sempre durerà, perché Dio la ama».
“E così tutte le cose ricevono vita dall’amore di Dio”. Nulla dunque si sottrae alla signoria di Dio. I beni della terra li consideriamo troppo spesso nostra proprietà, come se la morte non avesse nulla da insegnarci: abbiamo la pretesa di estendere il nostro possesso anche al di là della morte, quando, come spesso dice papa Francesco, il sudario non ha tasche, ovvero, nella bara non ci portiamo nulla di nostro.
Noi non siamo padroni di nulla… tutto ci è affidato e anche il nostro “dare” a Dio è soltanto un “restituire”. Nella prima Lettura, dal profeta Isaia, abbiamo sentito ripetere: “Io sono il Signore e non c’è alcun altro; fuori di me non c’è Dio”. Gli uomini non potranno mai usurpare quella signoria assoluta che è soltanto di Dio. Perciò il Signore dice: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”: niente di meno, ma anche niente di più di quello che gli è dovuto.
Che cosa in particolare gli è dovuto?
È illuminante a questo proposito il gesto di Gesù: “Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?” chiede indicando la moneta del tributo. Se una moneta di metallo porta l’iscrizione del potente di turno, noi non possiamo dimenticare che siamo la “moneta di Dio”, fatti a sua immagine e somiglianza.
Anche noi portiamo dentro un immagine e una scritta che vengono a stabilire una particolare ed esclusiva appartenenza a Dio. C’è in noi qualcosa di trascendente di cui nessuno può disporre all’infuori di Dio.
Perciò la parola di Gesù dovrebbe suonare così: “Non lasciatevi conquistare da nessun Cesare di questo mondo. Non rinunciate alla vostra libertà interiore che è il dono più grande. A Cesare date tutto, ma non date l’anima”.
Pensiamo al figlio prodigo, il quale non aveva capito che proprio per il fatto di essere nella casa del padre, era «libero». Andò via in paesi lontani e consumò la sostanza della sua vita. Alla fine capì che, proprio per essersi allontanato dal padre, invece che libero, era diventato schiavo…
Questa è stata anche la grande tentazione dell’epoca moderna. Prima si pensava e si credeva che, accantonando Dio ed essendo noi autonomi, seguendo solo le nostre idee, la nostra volontà, saremmo divenuti realmente liberi, potendo fare quanto volevamo, senza che nessun altro potesse darci alcun ordine. Ma dove scompare Dio, l’uomo non diventa grande, perde anzi la dignità divina, perde lo splendore di Dio sul suo volto.
La testimonianza di tanti perseguitati per la fede è stata, al contrario, proprio questa. I potenti, i nemici, ci possono incatenare, deportare, ammazzare, ma non possono toglierci Dio.
Se ci leghiamo ai “Cesare” del mondo ci verrà tolta la libertà e le monete che abbiamo prima o poi finiranno nelle loro tasche. Solo uniti a Cristo diventiamo moneta viva, da spendere donandoci come Lui. Oggi è la giornata mondiale missionaria. In questo giorno vogliamo rinnovare tutti l’impegno e la gioia di “spenderci”, come monete, dicendo con coraggio e fiducia: “Eccomi, manda me!”
Ma oggi chi porta il nome di Cesare?
In passato sarebbe stato più facile rispondere perché il potere aveva un volto facilmente riconoscibile. Oggi invece il potere ha tanti volti, e questi sono per lo più nascosti e invisibili. Si sa, per esempio, che esiste un potere economico, ma è difficile accertarne le sue diverse espressioni e ramificazioni. Eppure questo potere invade, occupa, condiziona, controlla il consenso popolare attraverso i mass media, ha l’ambizione di imprimere il proprio sigillo all’interno delle coscienze. È un potere che non si limita a coniare le monete, ma vuole coniare anche l’uomo.
“Date a Dio quello che è di Dio”. Non consegnatevi alla logica del mondo, ma a quella di Dio, con la certezza che non si tratta di rinunciare alla libertà, ma di ritrovare la pienezza della libertà.
Perché Dio, il nostro Dio, è amante della libertà. E noi apparteniamo a Lui.
Scarica Foglietto Avvisi Settimanale
Stampa Articolo