XXV dom del tempo ordinario

Stando ai Vangeli di queste ultime domeniche, pare proprio che Gesù stia attraversando un momento di forte incomprensione con i suoi discepoli. Domenica scorsa ha dovuto prendere con le maniere forti Pietro, e chiedergli di tornare al proprio posto, dietro di lui, seguendolo proprio come deve fare un discepolo con il proprio maestro, e non assumendo l’atteggiamento di “avversario” (questo è il significato di quella forte espressione, “satana”) che contrasta il pensiero e l’agire di Dio. Oggi non ci sono prese di posizione accese da parte di Gesù, ma certamente nel gruppo regna la difficoltà a capirsi, a comprendersi.

Gesù, infatti, sta attraversando la Galilea e desidera farlo in incognito, perché – dice Marco – stava “insegnando ai suoi discepoli”. Era, quindi, un momento di catechesi e di formazione riservato a loro: e il fatto che si trovassero in Galilea non giocava certo a favore di questo indottrinamento. Perché? Non perché in Galilea fossero più pettegoli e curiosi che da altre parti, ma per il tema dell’insegnamento, che in una terra come la Galilea avrebbe potuto essere male interpretato. Infatti, Gesù sta parlando di se stesso e della sua missione: una missione che non è destinata a terminare a Gerusalemme in maniera gloriosa, bensì con la sua uccisione. Questo, detto agli abitanti della Galilea che erano per natura rivoluzionari ed erano in attesa che Gesù si rivelasse come il loro Messia potente, in grado di sconfiggere il potere di Roma, avrebbe rappresentato qualcosa di scandaloso e di inaccettabile: ancor più, se a questa fine così incomprensibile si fosse aggiunto un elemento ancor più difficile da comprendere, ovvero quello della risurrezione dai morti. Gesù sceglie quindi un atteggiamento di prudenza, ed evita di parlare di questo in maniera aperta alle folle della Galilea. Anche perché ha già il suo bel da farsi per riuscire a far capire questo discorso ai suoi discepoli: i quali, non dimentichiamolo, erano per lo più originari della Galilea.

Perché possiamo entrare meglio nella densità di questo brano, Marco aggiunge un particolare importante: “Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”. Come mai avevano paura di chiedere spiegazioni, come spesso avevano fatto in passato, anche quando Gesù parlava in modo un po’ “sibillino” attraverso le parabole? Questo lo si comprende dal momento in cui Gesù e i discepoli giungono in casa, a Cafarnao, probabilmente nella casa di Pietro che era il punto di riferimento per il gruppo ristretto dei Dodici. Dal momento che essi non lo interrogavano, allora inizia lui a interrogarli, chiedendo loro – con l’intento, ovviamente, di smascherarli, dal momento che già conosceva la risposta alla sua domanda – di che cosa stessero parlando lungo il cammino. È evidente l’imbarazzo all’interno del gruppo, tant’è che nessuno osa dire nulla, proprio come quando, lungo la strada, nessuno chiedeva spiegazioni a Gesù. E ti credo che non chiedessero nulla! Non era dovuto al fatto che non riuscivano a capire cosa Gesù stesse dicendo, bensì al fatto che lo avevano capito molto bene, ma non volevano accettarlo, perché quelle parole erano per loro incomprensibili.

Era incomprensibile che essi, focosi uomini della Galilea, avessero deciso di seguire il Maestro nel suo cammino trionfale e messianico verso Gerusalemme, e dovessero andare verso il fallimento della missione del Maestro, e quindi della loro stessa avventura. Prova ne è il fatto che, smascherati da Gesù, si vergognano di dire quale fosse il tema della loro conversazione: anzi, peggio ancora, della loro “discussione”. Stavano litigando alla bell’e buona: litigavano per capire chi di loro fosse il primo, il più grande, il più importante. Ovvio…se la prospettiva a Gerusalemme era l’uccisione del Maestro, bisognava già iniziare a pensare alla sua successione, a chi ne avrebbe preso il posto al comando dell’organizzazione.

Altro che fallimento, quello di andare a Gerusalemme e venire ucciso! Il fallimento più grande di Gesù è quello di rendersi conto che è seguito da un gruppo di persone che non hanno capito niente di lui, e che sono tremendamente lontani dal suo modo di pensare le cose di Dio. Talmente lontani, che Gesù è costretto a “chiamare a sé i Dodici”, a radunarli di nuovo intorno a lui, come quando all’inizio della loro storia li chiamò a sé sulle rive del lago di Galilea, perché possa far comprendere una buona volta a questi testardi il nocciolo della questione.

E la questione è una sola: stare con Gesù non significa comandare, ma servire. Essere i primi, con Gesù, significa mettersi all’ultimo posto. Significa mettere al centro non se stessi, ma il Maestro e gli altri, quelli con cui il Maestro si identifica.

E con chi si identifica, Gesù? Di chi “abbraccia” la causa? Nel brano di oggi – e non solo in quello – Marco ci mostra chiaramente, proprio con il gesto dell’abbraccio, chi è al centro dei pensieri di Gesù: i più piccoli. Questo bambino, abbracciato e messo al centro da Gesù, è il simbolo, l’emblema della causa per la quale Gesù darà la propria vita: mettere al centro i più piccoli, i più poveri, gli ultimi… e non se stessi. Facendo questo, alla fine, si mette al centro della propria vita Gesù e il Padre che lo ha mandato.

Detta a noi, oggi, questa parola cosa ci insegna? Lo stesso che ai discepoli di Gesù, quel giorno, lungo le strade della Galilea: a mettere al centro della nostra vita gli altri, soprattutto i più piccoli. E ci fa bene tornare a farlo proprio a partire dai più piccoli, dai bambini, che Gesù abbraccia e mette al centro, mentre la nostra società oggi è arrivata al punto di metterli al centro di una buca, sotterrandoli nel giardino di casa, prima ancora che possano godere della vita… E non diciamo che la cosa non ci riguarda, perché, se si arriva a questo, è perché abbiamo perso il senso della centralità della vita umana, al punto che trattiamo meglio i nostri animali domestici delle persone stesse…

Che Dio ci perdoni, per non aver capito nulla del messaggio evangelico; che ci perdoni soprattutto per quelle volte in cui, invece che metterci al servizio degli altri, ci mettiamo al primo posto solo per farci vedere. Riflettiamo su queste cose, e ci accorgeremo che quel silenzio dei Dodici, messo in atto per evitare di essere smascherati da Gesù, è lo stesso nostro silenzio, quando cerchiamo di farla franca, di passarla liscia di fronte alle ingiustizie dell’umanità, solo perché ci importa di stare bene noi… e che gli altri si arrangino…

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