XXVI domenica del tempo ordinario
Ci siamo così abituati a sentirci dire che le prostitute ci passeranno avanti nel regno di Dio e forse non ci rendiamo più conto della portata di questa affermazione.
Non è certo la prostituzione stessa a rendere le prostitute esemplari. Si tratta di una delle forme più degradanti di disumanizzazione. Con essa è corrotto e calpestato uno dei doni più preziosi che il Signore ci ha fatto, vale a dire la relazione fra amore e sessualità in virtù della quale l’unione dei corpi ha senso nella misura in cui è espressione di reciprocità. Ma sé è degradante vendere il proprio corpo per ricavarne un guadagno, lo è ancora di più pagare o approfittare del proprio potere per comprare l’uso del corpo di un’altra persona, trattandola così come un oggetto. Non ci sarebbe prostituzione se non ci fossero coloro che sono disposti a pagare e a ricorrere al potere per soddisfare le proprie pulsioni. Infine, il degrado fisico e sociale comportato dalla prostituzione è ancora più deleterio. La bellezza usata come esca rapidamente si corrompe e diventa volgare. Socialmente poi la prostituzione relega ai margini della società, inquina tutte le relazioni. Ed anche quando si sono ottenuti vantaggi economici, sociali o politici attraverso di essa, il prezzo da pagare è altissimo, perché il disprezzo resta presente dietro ogni forma di adulazione.
Non è sorprendente dunque quanto il cuore di chi ricorre alla prostituzione, sia per vendere il proprio corpo che per comprare il corpo altrui, diventi la preda del vuoto, della solitudine, del disprezzo di sé.
Proprio però a causa della sua gravità estrema e del degrado che produce nel cuore umano sembra, paradossalmente, che la prostituzione predisponga ad accogliere il dono della conversione in modo privilegiato. Quando una goccia d’acqua cade su una terra fertile e irrigata non la si nota nemmeno; quando cade però in un deserto, arreca un tale sollievo, rappresenta una tale novità, che un cambiamento radicale di vita diventa possibile.
Il Vangelo ce lo attesta in diversi passaggi. La conversione di Maria di Magdala è tra le pagine più struggenti del Vangelo, soprattutto quando lava i piedi di Gesù con le proprie lacrime e li asciuga con i propri capelli. Gesù spiega che Maria esprime più ardentemente la propria gratitudine perché sa che le è stato perdonato di più, sa di essere stata amata di più, ma soprattutto fa l’esperienza, per la prima volta, nell’atteggiamento di Gesù nei suoi riguardi, di qualcuno che la guarda per sé stessa e non per il suo corpo e quindi le restituisce dignità e valore anche ai suoi propri occhi.
Tutta la predicazione di Gesù mira a condurci alla conversione perché, come lo afferma la prima lettura, se il malvagio si converte dalla malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. La conversione, la rinuncia al peccato ci fanno vivere, ci restituiscono la nostra dignità, ci strappano alla solitudine, al disprezzo di noi stessi, alla miseria: Colui che si converte ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.
Anche nel Vangelo di oggi, la differenza tra i due figli non risiede tanto nel fatto di aver accettato o rifiutato la richiesta del padre, quanto nell’autenticità della loro conversione.
Le prostitute sono quelle che hanno detto di no, ma che proprio per questo sono profondamente coscienti della loro separazione dal Signore e del loro bisogno di un pentimento profondo, di una conversione radicale per ritornare al Signore. Noi siamo invece più spesso come il figlio che dice subito di sì, ma poi agisce con incostanza, con tiepidezza e finisce con il non compiere la volontà del Padre.
Finora abbiamo considerato le prostitute come una categoria a parte, situandoci in una situazione diversa rispetto ad esse. Progressivamente, però, ci accorgiamo che anche noi siamo queste prostitute di cui parla Gesù nel Vangelo. Infatti, la prostituzione nella Bibbia è l’espressione di un peccato ancora più grave del vendere il proprio corpo, ancora più profondamente radicato nel cuore dell’uomo, vale a dire l’idolatria. In questo senso prostitute – cioè idolatri – lo siamo tutti. Se non vendiamo il nostro corpo, infatti, lo sacrifichiamo agli idoli del potere, del denaro, del successo o semplicemente del nostro ego che diventa il centro intorno al quale tutto il resto deve ruotare, al quale tutto il resto deve obbedire.
L’invito alla conversione che ci lancia il Signore, passa attraverso questa presa di coscienza: Tutti – come dice Paolo- abbiamo peccato. Tutti siamo privi della gloria di Dio. Anche quando confessiamo il Signore con le labbra, rinneghiamo con il cuore il nostro assenso esteriore. Tutti abbiamo bisogno di scoprire che possiamo essere salvati solo grazie alla misericordia del Signore, solo attraverso un pentimento ed una conversione che non devono essere tiepidi, esitanti, ma devono diventare autentici. Il pentimento autentico è quello che sa rinnovarsi ogni giorno, è quello di chi ogni giorno chiede perdono, invoca la misericordia del Padre, perdona i fratelli per essere perdonato da Dio, perdona i fratelli perché è perdonato dal Padre.
Prestiamo allora l’orecchio a questo grido del Signore: Convertitevi! Ritornate a me! E preghiamo insieme con il salmista: Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore che è da sempre. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni non li ricordare: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.