XXVI domenica del tempo ordinario
“Maestro, abbiamo visto uno che scaccia demoni nel nome tuo, uno che non è nostro seguace, e abbiamo tentato di impedirglielo”. È questo uno dei brani del Vangelo più emblematici e, per certi versi, paradossale. Gli apostoli si ergono a guardiani dell’ortodossia senza aver ancora ricevuto lo Spirito Santo e, quello che più conta, lo fanno senza interpellare Gesù che è in mezzo a loro. Questo zelo, basato su congetture esclusivamente umane, sa di ipocrisia. Non si guarda neppure alle conseguenze delle azioni, si giudica a prescindere. Sembra quasi che serpeggi un po’ di invidia, di bisogno di esclusività, di possedere un tesoro che non si vuole condividere in alcun modo.
Gesù, amorevolmente, li riprende. “Non glielo impedite”. Chi fa cose buone nel mio nome non può “dir male di me”. Come a dire di considerare il frutto delle loro azioni più che le dicerie che si sentono dire. “Chi non è contro di noi, infatti, è per noi”. Insomma, sappiate discernere. Non siate invidiosi di chi vuole fare il bene. L’invidia si mischia alla gelosia e, alla fine, ci si acceca e non si riesce a vedere chi fa veramente il bene in mio nome. Guardate invece con lealtà e semplicità di cuore. “Chiunque vi darà a bere un bicchier d’acqua per la ragione che voi siete di Cristo (…) non perderà la sua ricompensa”. Apprezzate il bene e rifiutate ogni altra congettura.
La prima lettura ci racconta un episodio analogo accaduto al tempo di Mosè quando radunò i settanta anziani per ascoltare la parola di Jahve. Costoro furono rapiti in estasi profetica quando lo spirito si posò su di loro, ma lo stesso accadde a due uomini che erano rimasti nell’accampamento. Anche qui, un giovane va da Mosè per cercare di impedir loro di parlare, ma si sente rispondere: “Sei tu geloso per me? Fosse profeta l’intero popolo!”. È questo che deve augurarsi un vero credente: che tutti possano ricevere e apprezzare i doni di Dio. Invece c’è chi, e spessissimo siamo tutti così, si sente colto nell’orgoglio di non essere l’unico a sapere, a poter dire, perdendo un privilegio che solo gli umili sanno apprezzare.
Quella gelosia, che è puro egoismo, è una sorta di verme che ci corrode l’anima, un verme, come ci ricorda il Vangelo odierno, che non muore e che il fuoco non estingue. Un verme che ci acceca e che ci porta a dimenticare che è meglio cavarci un occhio “che essere gettato con due occhi nella Geenna”. Lo scandalo, soprattutto se perpetrato verso i piccoli e gli ingenui, può risultare esecrabile e, in seguito, portare alla disperazione chi lo ha commesso.
Eppure, la modestia del Signore si accontenta di un bicchier d’acqua, perché chi ha questa sensibilità di darlo per ragione di Cristo, vuol dire che si sforza di superare il suo egoismo. Capisce, come ricorda san Giacomo, che anche l’oro e l’argento “hanno preso di ruggine”, come i vestiti più ricchi “sono stati rosi dalle tarme”. Tutto ciò è stato spesso frutto di guadagni illeciti che hanno defraudato onesto lavoratori.