XXVII dom del tempo ordinario

Questa domenica la Parola del Signore ci mostra una realtà bella, logica, evidente, che sotto la pressione culturale attuale ci sembra ogni giorno più estranea. Sì, perché sembra direttiva, troppo direttiva, come se scartasse tante parti del vissuto dell’uomo al punto da sembrare disumana.
Ovviamente è l’opposto.

Cominciamo dalla parte del vangelo: siamo nella sezione del vangelo di Marco più complessa: un vangelo che sembra molto semplice e schematico (un tempo si dava da leggere a quelli che si avvicinavano alla fede perché più accessibile!) qui diventa complesso e articolato. Inizia dalla professione di fede di Pietro cui risponde Gesù con 3 annunci sulla sua Passione: ad ogni annuncio corrisponde una reazione “sbagliata”, fuori luogo (ribellione di Pietro, discussione tra i 12 su chi sia il più grande, la “raccomandazione” di Giovanni e Giacomo), a cui Gesù risponde con una catechesi su cosa significhi essere suoi discepoli, e quindi quale sia la natura della Sua missione.

Se domenica scorsa il “problema” dell’esorcista abusivo dava modo di insegnare su quante battaglie interiori dobbiamo affrontare per guardare gli altri con gli occhi del Signore, oggi questo sguardo sull’altro si sposta sull’amore.

Un amore tra un uomo e una donna, difficile eppure innegabile: difficile perché sono 2 mondi diversi e innegabile perché sorge dal profondo, basti pensare, come nella prima lettura alla gioia di Adamo quando vede Eva, gli fa addirittura dire la prima parola, quasi la prima parola di chi impara a parlare.

A volte (purtroppo spesso) lo sguardo di Dio e quello dell’uomo sono distanti, effetto del peccato originale che ci ha indurito il cuore. C’è un gioco di verbi che fa capire di cosa stiamo parlando: è lecito? Vi ha ordinato? Ci ha permesso…ovviamente non sono a caso.

La provocazione parte dal chiedere se sia lecito divorziare, in altri contesti Gesù aveva addirittura lasciato a loro stessi la risposta per non entrare nella provocazione, ma qui la posta è troppo alta: l’amore tra l’uomo e la donna Gesù lo svelerà come una via per intuire l’amore di Dio stesso, lo innalzerà a sacramento, segno visibile della Grazia, come ci dicevano al catechismo.

È lecito cedere alle fatiche della vita a due? Posso seguire il mio cuore (o forse solo i miei desideri) quando batte di nuovo per un’altra persona? Posso riprendermi la vita? Posso scendere dalla croce?

Beh bisogna essere ciechi per non vedere le fatiche e i tanti piccoli dolori e delusioni che si possono vivere nella vita coniugale – e che purtroppo delle volte la cronaca ci racconta-. Gesù non sceglie la via della legge (fin qui sì fin qua no, a queste condizioni sì e quelle altre no!), già c’era una fitta discussione rabbinica sull’argomento, svela l’ipocrisia: ve lo ha ordinato Mosè di divorziare? Ovviamente no!

L’ipocrisia è quel cocktail fatto da una parte minima di verità condita con una quintalata di menzogna, è mentire usando la verità, è come il profumo che copre la puzza: da lontano funziona ma da vicino è mefitico.

Il Signore li riporta alla Genesi, al piano di Dio prima del peccato originale: il racconto, che sembra una favola e invece è un capolavoro teologico, dice che l’uomo (l’essere umano) non è fatto per stare da solo, ovviamente perché è fatto per amare (a immagine di Dio) e non è possibile amare da soli. Lapalisse sorriderebbe ma oggi c’è spazio un po’ per tutto.

La donna che viene creata è della stessa materia dell’uomo ma diversa, non viene posta accanto (traduzione leggerina…) ma di fronte: si guardano, si possono comprendere, sono uno il mondo dell’altro o, meglio, gli occhiali per guardare il mondo l’uno per l’altro, si aiutano a vivere perché si aiutano ad amare, a donarsi.

Un progetto così nuovo e potente da rompere tutti gli equilibri precedenti (“lasciare i genitori” viene comandato già a ad Adamo e Eva che erano gli unici senza genitori!).

Nel Vangelo Gesù ne parla qui perché ha spiegato poco prima (appunto domenica scorsa) che, dopo il peccato originale, il donarci veramente ci fa paura, quasi sembra di morire, è la lotta interiore per crescere ed essere liberi veramente. La seconda lettura allora ci aiuta a vedere come la croce e la morte di Gesù non sono altro che amare fino alla fine, meglio sarebbe fino al fine, fino a far vedere il cuore di Dio: questa è la perfezione.

Allora Gesù non dà leggi: svela chi sei e ti dice che sei fatto per amare così tanto, il Regno di Dio che va accolto è l’amore di Dio che da dentro ti spinge a donarti all’altro. Per questo non si ferma, perché non finisce: nasce dal cuore di Dio, viene donato all’uomo perché vivendolo riprenda la strada verso il cielo. Non si rompe perché Dio non si stanca di amarti, non si ferma davanti ai nostri tradimenti, non si sgonfia davanti alla nostra tiepidezza, non si lascia vincere dalla nostra ottusità e piccolezza di cuore.

Questo amore ti è stato donato e hai la chiamata e la gioia di poterlo donare a tua volta: questo è il dono di Dio che va accolto con la semplicità e totalità di cuore che un bambino ha davanti ad un regalo: con la stessa luce negli occhi.

Per un bambino dentro un regalo c’è l’inizio di un’avventura: nell’amore c’è la chiamata ad essere discepoli di chi ogni giorno ci regala un pezzo di cielo.

Vedete a quanto poco si è ridotto l’amore nella nostra cultura: la fugacità di un’emozione, l’impero assoluto e tirannico del “ma IO penso che”, quello che dovrebbe servire per dare vita all’altro ridotto al salvagente della mia vita. L’amore è eterno finché dura è la cifra della tristezza e della chiusura della nostra epoca, la misura di quanto non riusciamo a fuggire dal nostro ego, tutto a nostra misura. Questa parola è forte perché ti libera, svela la menzogna ed estrae il pungiglione che avvelena la vita.

Oggi accogli il dono che ti viene fatto col cuore di un bimbo: il paradiso inizia così. Buon viaggio

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