XXVII domenica del tempo ordinario
È la terza domenica in cui la parola di Dio ha nel centro del suo messaggio l’immagine della vite e degli inviati a lavorarla perché questa vigna produca frutti. Ci sono un paio di punti in comune in questi tre Vangeli in cui è protagonista la vigna: il primo è che la vigna è di un solo padrone: in ebraico/aramaico non si dice che “un tizio HA” qualcosa, bensì che “di qualcuno É quella cosa”. Restando all’immagine della vigna del vangelo, è utile ricordare anzitutto che quella vigna è del Signore e il testo di questa domenica lascia intendere che nessuno se ne può appropriare, nemmeno se vi lavora e crea una certa confidenza e magari presunta intimità con essa.
Il secondo punto di contatto è che è proprio il padrone della vigna a mandarvi i lavoratori, vale a dire che offre ad altri, con tanta fiducia, la possibilità di lavorare nella sua vigna. Abbiamo visto, due domeniche fa, questo mandare a lavorare, da parte del padrone, diversi gruppi di operai in diverse ore differenti, abbiamo potuto così riflettere sul fatto che c’erano alcuni – i primi mandati alla vigna – che alla fine della giornata mormoravano contro il padrone, non tanto perché avevano lavorato e avevano ricevuto la giusta paga, ma perché avevano sopportato il peso della giornata ed il caldo. In altre parole, hanno mancato l’opportunità di godere del risultato del loro impegno. La domenica scorsa, l’iniziale rifiuto di godere di questa opportunità si trasforma – in seguito ad un semplice pentimento – in un concreto e magari anche gioioso impegno nella vigna.
Il vangelo di questa domenica porta ad un livello superiore sia l’immagine della vigna, sia la riflessione che ne segue. Intanto, viene sottolineato ancora una volta il fatto che questa vigna è di un solo signore, e che lui la affida a dei lavoratori affinché questa vigna, lavorata, possa portare i suoi frutti al tempo opportuno. Cosa che avviene: la vigna porta frutto, magari anche abbondante, segno che quei lavoratori lo hanno ben lavorato. Se nella prima ricorrenza della vigna, come pure nella seconda (le domeniche scorse) non si menzionava al frutto, e l’accento cadeva sull’atteggiamento dei lavoratori nei confronti del padrone, il vangelo di questa domenica fa emergere anche questo dettaglio: la vigna è stata lavorata bene e ha portato frutto.
Il vangelo di questa domenica verte non tanto sulla produttività della vigna, quanto sul rapporto tra la vigna e i lavoratori e tra i lavoratori ed il padrone della vigna. Quest’ultimo, il padrone, ha dato la vigna ai vignaioli con molta fiducia. Ora è il tempo di ricevere i frutti sia della vigna, quanto della fiducia. Ma avviene una cosa strana: i vignaioli non solo consegnano il frutto dovuto al padrone, ma tradiscono anche la sua fiducia. Si mettono insieme d’accordo per bastonare, lapidare e addirittura uccidere: diventano criminali, uccidendo sia dei servi, sia il figlio del padrone. Cosa è successo in realtà? Il testo lo dice esplicitamente: vogliono diventare padroni della vigna! Per questo cambiano le regole dell’atteggiamento nei confronti della vigna, dei servi, del figlio, quindi anche nei confronti del padrone. Si dimenticano che il padrone non potrà mai essere espropriato della sua vigna perché è a lui che essa appartiene e apparterrà sempre. E su questo ultimo fatto il vangelo insiste nella parte finale, quando il padrone prevale su quei vignaioli presuntuosi ed proprio per questo ingenui, non vigilanti su se stessi. Si scordano di rimanere lavoratori, beneficiari del dono della fiducia del padrone: è la stessa cosa che Gesù dice a Pietro quando questi vuole fare il “Padre eterno” della salvezza degli uomini. Ed è stata e lo sarà sempre: Dio rimane Dio, nonostante tutto. Sulla stregua del vangelo di oggi, dove è detto: “a voi – che volete cambiare regole della proprietà della vigna – sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti “, lo ricorda molto bene anche San Paolo nella Lettera ai Romani.
Allora, la sfida concreta del vangelo di oggi potrebbe essere questa: la vigna è e deve rimanere del Signore. I lavoratori a cui lui affida la vigna devono sempre ricordare di essere solo dei beneficiari del dono della fiducia del padrone. Le regole di come si lavora nella vigna le fa il padrone, nessun altro: chi vuole lavorare nella vigna deve accettare tutto come dono… soprattutto i bisogni reali della vigna. Perché non si va a lavorare la vigna con il trapano o con il bulldozer; l’innesto si fa secondo le possibilità autentiche della vigna, non del proprio immaginario. Se non si rispetta l’identità dei bisogni autentici della vite, il rischio è quello di farla diventare selvaggia (come dice la prima lettura) o addirittura di farla seccare. E se il padrone della vigna si accorge di questi trattamenti dannosi, è possibile che la vigna passi ad altri e i lavoratori perdano la fiducia e siano espulsi… fuori dalla vigna.
Applicando alla vita concreta: conosciamo i bisogni reali della vigna del Signore per farla crescere? Oppure vogliamo imporle dei bisogni che in realtà non ha, solo perché così vogliamo noi? Accettiamo con gratitudine che i modi di nutrire la vigna sono stati delineati dal padrone, e che non è rispettoso imporli noi solo perché siamo “più moderni”? Ricordiamoci: è la vigna del Signore, non la nostra. Non usurpiamo – alla stregua del peccato originale – la padronanza del Signore nei confronti della sua vigna: è lui che ci dice come va lavorata, che metodi adoperare in modo che produca uva, non acini acerbi!
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